Angiolo Marroni “Garante dei diritti dei detenuti” per la Regione Lazio, risponde alle nostre domande sulla situazione degli istituti sia per quanto riguarda i ristretti, che per le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria
Quale è la situazione attuale nelle carceri della nostra Regione, anche alla luce della scarsezza del personale di custodia? Come tale situazione si riflette sulle condizioni di vita dei reclusi?
La situazione è drammatica. L’affollamento ha raggiunto limiti insostenibili. Dinanzi ad una capienza teorica di 4.500 detenuti, siamo, ad oggi, a 5.600 ristretti.
Ovviamente questa situazione provoca un disagio generale sui detenuti, costretti in celle affollate in modo insopportabile, ma il disagio poi si estende anche alla Polizia Penitenziaria, agli educatori, agli psicologi, al personale sanitario, alle stesse direzioni degli istituti.
È chiaro che in questa situazione la funzione costituzionale della pena, e cioè di recupero e di reinserimento, si annulla e prevale soltanto quella meramente punitiva. Qualche volta viene da domandarsi a che serve il carcere, vista l’ampiezza del fenomeno della recidiva.
Nel Lazio (come in altre regioni) si registra un affollamento straordinario negli istituti di pena. Come ovviare a questa emergenza?
Ovviare a questa emergenza non è facile. Certo la strada non è quella sostenuta dal ministro Castelli e cioè di costruire nuove carceri in aggiunta a quelle già esistenti. In questo modo ci si morde la coda. In realtà occorre diminuire le carcerazioni preventive di chi è in attesa di giudizio, occorre arrivare a sentenze rapide; questo apre problemi di efficienza della macchina giudiziaria che da anni è sul tappeto senza una adeguata risposta.
Ma credo anche che si debba arrivare a far sì che il carcere non sia l’unica pena per tutti i delitti, per tutte le violazioni di legge. Spesso una seria punizione a carattere monetario od anche una privazione di libertà civili, può essere più pesante da sopportare rispetto allo stesso carcere.
La scarsezza di personale di custodia negli istituti del Lazio, ripropone la questione dei dipendenti della Polizia Penitenziaria che non operano nel carcere: al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono impiegati in lavori di ufficio circa mille uomini e alla sede del ministero della Giustizia in via Arenula, più di duecento svolgono servizi di vigilanza all’edificio. Non le appare questo un impiego anomalo ed eccessivo del personale che contrasta con l’art. 5 della legge 395/90?
Decisamente sì. A piazzale Clodio, vi si trova la Polizia Penitenziaria che fa vigilanza; in altre sedi del ministero è lo stesso; al Dipartimento idem. Se poi si calcola che una parte del personale è, o dovrebbe essere, addetto ai detenuti ricoverati in ospedale, e che ci sono quelli che scortano i detenuti nei loro spostamenti, e poi, diciamolo pure, le assenze che peraltro andrebbero meglio verificate e giustificate, se si pensa a tutto ciò, è chiaro che l’organigramma della Polizia Penitenziaria è carente di almeno 300 unità a detta dello stesso Provveditorato del Lazio.
Da tutto questo, ovviamente, ne consegue un peso enorme per chi è presente ed opera negli istituti nelle sezioni a stretto contatto con la popolazione detenuta e che spesso è sottoposta a turni massacranti.
Il suo incarico di “Garante dei diritti dei detenuti” la sollecita ad occuparsi della popolazione carceraria e dei problemi connessi. Quali i suoi poteri nel settore?
I poteri del “garante” sono molto forti nei confronti di quelle strutture della Regione che hanno o debbono avere funzioni e doveri anche verso i cittadini detenuti.
Ripeto sempre: i detenuti sono persone e come tali conservano i diritti costituzionali, ovviamente ad eccezione di quello alla libertà e all’affettività o meglio alla sessualità. Non perdono quindi il diritto alla salute, al lavoro, alla formazione, alla cultura e soprattutto alla dignità.
In questo senso i poteri del “garante” regionale possono essere particolarmente penetranti verso la Regione e gli uffici di sua competenza.
Altro discorso è quello relativo ai poteri verso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Qui, occorrerà un protocollo d’intesa, che possa consentire al “garante” di svolgere la propria funzione in sincera e leale collaborazione con il Dipartimento stesso e il suo Provveditorato regionale.
Ci può citare qualche caso in cui il suo Ufficio è riuscito, intervenendo, a risolvere determinate questioni dei detenuti?
Il mio Ufficio inizierà a lavorare dal momento del suo insediamento che, a sua volta, avverrà quando da parte mia ci sarà la rinuncia al seggio di consigliere regionale, carica incompatibile con quella del “garante”.
Posso assicurare che tale opzione avverrà al più presto soprattutto quando ci verrà data una sede in cui operare. Nel frattempo si sta lavorando in collaborazione con gli uffici regionali per dotare questo ufficio di tutte le strutture, umane e strumentali che ne possa consentire un pieno ed efficace avvio.
(Intervista a cura di Ettore Gerardi)
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