Gli attentati dell’11 marzo a Madrid hanno riferimenti lontani, all’occupazione araba della penisola iberica, e attuali, con obiettivi di destabilizzazione economica dell’Europa
Benvenuti nel vortice del terrore. Un annuncio del genere, se posto in guisa di segnaletica, potrebbe essere esposto ai confini del vasto territorio europeo. Appare infatti chiaro che l’attacco sanguinoso contro la Spagna abbia ormai determinato, oltre a morti e disperazione, la certezza che dopo gli Usa anche l’area del Vecchio Continente rappresenti nitidamente un target “alto” per i protagonisti dell’odierna guerra: un conflitto che, a tutti i costi, si vuole ancora tenacemente individuare con la parola “terrorismo”, ma che sempre più appare come un braccio di ferro tra entità che ben si conoscono e che, prima che con le armi, si stanno combattendo sul piano economico.
Grande, però, è la confusione sotto il cielo. Intanto perché tali considerazioni sono poste in essere da un punto di vista privilegiato: quello che appartiene, e comunque s’identifica, con la comunità cosiddetta “occidentale”; la stessa comunità che, in larga parte e pur usufruendo di ampi strumenti d’informazione, sembra non aver mai avuto piena coscienza della macroscopica diffusione dei conflitti nei più svariati luoghi del pianeta. Si aggiunga poi il dato storico che, palesemente sottostimato dalla massa (soggetto che, in quanto tale, è del tutto scevro di strumenti analitici), ha registrato l’escalation bellica e il diretto interessamento in azioni belligeranti da parte di eserciti del Patto Atlantico proprio dopo la caduta del colosso sovietico. Insomma, ciò che è risultato sensibile (e da diversi anni) a molti analisti, non può che rivelarsi, oggi, alle grandi platee.
Inevitabile dunque che all’irrompere del sangue misto all’odore dell’esplosivo direttamente nelle narici delle genti “occidentali”, queste stesse, che hanno sempre creduto di esserne esenti almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale, registrino l’evento come “eccezionale”, ovvero “realisticamente inatteso”. In questo modo, dinnanzi alla rapidità degli eventi ogni interpretazione, ogni soluzione, appaiono frutto dell’urgenza, dell’emergenza, dunque, dell’approssimazione. Ma, ormai, è tardi. Le domande si susseguono e, mentre le risposte portano in sé il gene di verità parcellizzate, sarebbe bene tentare di ricomporre i dati al fine d’incoraggiare la facoltà della comprensione.
Perché è stata colpita la Spagna?
Secondo Luis Pablo Tarin, docente di Relazioni internazionali dell’Università San Pablo Ceu, la Stato iberico è il paese europeo “dove si sono stabilite più cellule di al-Qaida”. Ma non è tutto: la Spagna - ricorda il docente - è considerata “come un paese islamico”, dunque non può che essere al centro del mirino degli integralisti islamici.
Buffo che debba essere un professore universitario a ricordare una verità che è possibile ritenere “lampante”. “La Spagna - precisa Tarin - per alcune correnti integraliste, come la salafita, è ancora considerata come un paese islamico. Lo stesso Bin Laden ha parlato di al-Andalus ed ha espresso un’aspirazione nostalgica verso una Spagna che non esiste più. A Granada il regime saudita sta finanziando la costruzione di moschee e l’acquisto di terreni per rafforzare la presenza fisica di arabi nel paese: c’è il rischio che il mito di al-Andalus sia percepito come un momento di gloria della cultura islamica, che va recuperato”.
Tralasciando l’analisi di Tarin, si veda il giorno in cui è stato compiuto l’attentato a Madrid: l’11 marzo.
Ebbene, con qualche caracollante ritardo, c’è chi ha ricordato che l’azione è stata compiuta in una data che porta lo stesso numero del terrificante attacco alle Torri Gemelle di New York, cioè l’11, allora, di settembre. Ma se ciò è da ritenersi significativo, perché non aggiungere che il mese di marzo è seccamente agli antipodi del mese di settembre? Bene, a questo punto emergerebbe che, dato l’anno solare, l’attentato di Madrid è stato attuato perfettamente sei mesi dopo quello di New York. Può bastare? Naturalmente no: anzi, quasi un grossolano gioco cabalistico.
Ma, riprendendo il ragionamento di Tarin, non sarebbe male infarcire l’argomento con un altro elemento. Con l’11 marzo, tra gli altri, il calendario ricorda Sant’Eulogio, martire del IX secolo. Chi è Sant’Eulogio? A saperlo, ecco che il suddetto gioco di date si ammanta di una particolare suspense.
La vicenda di Sant’Eulogio fa luce su una particolare situazione storica giudicata tuttora controversa. Dall’VIII al XIII secolo, la Spagna viene occupata dagli Arabi, giunti dal Nord Africa. In circa 500 anni, il dominio arabo sul paese iberico appare generalmente saggio, illuminato. Mentre altri paesi europei, in preda a lotte dinastiche e di supremazia politica, vivono un’esistenza travagliata, la Spagna dominata dagli Arabi gode lunghi periodi di pace e benessere, cioè un tempo che consente lo sviluppo di una civiltà alta, per quanto lontana da quella cristiana e diversa da quella romana. Anche nella religione, gli Arabi appaiono tolleranti. Non combattono il Cristianesimo, ma si adoperano perché esso rimanga nell’ombra, senza forza di diffusione, senza proseliti, evitando che entri in rotta di collisione con la religione di Stato, quella maomettana.
I cattolici di Spagna, però, non si adattano ai desideri dei loro dominatori e anche Eulogio, nato a Cordova da una delle più nobili famiglie della città, non si dà per vinto. Ordinato sacerdote, viene chiamato a insegnare in una scuola pubblica della propria città, allora il centro tra i più colti di Spagna. In questo modo Eulogio inizia a testimoniare la fede in Cristo e, dalla scuola cordovana, spinge l’insegnamento verso molte abbazie e numerosi conventi. Alla predicazione si aggiunge la scrittura che, con l’Apologeticum, si dispiega in un testo atto a confutare la dottrina di Maometto. Gli Arabi non accettano tanta libertà e iniziano la persecuzione. A Cordova, con il vescovo e tutto il clero, anche Eulogio viene imprigionato. In carcere scrive un’opera divenuta poi celebre, intitolata Esortazione al martirio: nel mirino, ovviamente, i persecutori arabi.
Una volta libero, Eulogio diviene vescovo di Cordova. È l’anno 859, e tutto sembra far desumere un futuro di fecondità pastorale nella propria città. Purtroppo, però, prima di essere consacrato si verifica una recrudescenza di persecuzione da parte dell’establishment arabo. Ad Eulogio, con la morte, giunge il dono della palma del martire.
Se queste sono solo ipotesi, che affondano radici in un tempo considerato lontano, che tornano però a significare per coincidenze di date ed azioni eclatanti, si vedano ora i punti di politica estera che hanno delineato l’azione della Spagna sotto la guida di Aznar, battuto alle ultime politiche.
La lotta contro il terrorismo. Già prima dell’attentato dell’11 settembre 2001 contro gli Usa, la Spagna ha chiesto misure comuni contro il terrorismo, spingendo per l’approvazione del mandato di cattura europeo. L’interesse spagnolo, in questo senso, è comunque partito da esigenze del tutto interne: la guerra contro i militanti dell’Eta, organizzazione che ha sempre avuto diverse basi operative in Francia, sì da render arduo l’arresto e l’estradizione di molti suoi esponenti. La questione, però, si è maledettamente complicata per il governo spagnolo, che si è visto negare l’adozione di misure eccezionali contro partiti politici ritenuti legati ai terroristi: l’Europa, infatti, si è opposta al tentativo di inserire il partito separatista Batasuna nella lista di organizzazioni che pongono problemi per la sicurezza europea.
Al tempo stesso, il governo di Aznar ha spinto per la creazione di una politica comune dell’immigrazione, problema sensibile per le autorità spagnole che non sono riuscite mai a controllare il flusso migratorio proveniente dal Nord Africa e, così, avrebbero voluto vedere vincente la proposta di Schroeder, ovvero la creazione di una forza speciale di controllo sull’immigrazione in Europa. Un proposito contraddittorio vista, al contempo, la forte determinazione a rafforzare i rapporti con i paesi dell’Africa mediterranea, ovvero con quel mondo arabo che permette un’ingente quantità di interessi commerciali che la Spagna coltiva, dalla notte dei tempi, con Marocco, Algeria e gran parte dell’Africa mediterranea.
Infine, un’ennesima contraddizione: un impegno spasmodico per la soluzione del conflitto in Medio Oriente. Perché? Perché la Palestina è un partner diplomatico della Spagna da moltissimi anni. Peccato che ciò mal si sia congiunto con la ferrea alleanza con il governo Bush, tra gli esecutivi Usa più filo-israeliano degli ultimi anni.
Oltre questo, gli interventi nella “guerra contro il terrorismo”, su scala planetaria.
In Iraq il contingente spagnolo ha sinora contato su circa 1300 uomini, con due obiettivi principali: assicurare nell’area assegnata la sicurezza necessaria alla ricostruzione e partecipare alla formazione delle forze di difesa civili irachene. I militari spagnoli hanno svolto la loro missione in una zona del centro-sud del paese, nelle province a maggioranza sciita di Najaf e di al-Qadissiyah. Le due province hanno una superficie di circa 36mila kmq e una popolazione di oltre 1,8 milioni di abitanti. La base principale dove è stato stazionato il contingente iberico si trova non lontano dalla città di Diwaniya, a circa 180 km a sud di Baghdad. La maggioranza dei soldati proviene dall’11^ brigata di fanteria di Badajoz, in Estremadura.
In Afghanistan il contingente spagnolo è stato rappresentato da appena 125 unità. Il 30 marzo scorso, però, il neo ministro degli esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, ha promesso che la Spagna rafforzerà il proprio contingente in questo paese. Il contingente spagnolo è inserito nell’Eurocorpo (assieme a Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo), all’interno dell’Isaf, la forza di pace diretta dalla Nato che svolge la sua azione nella capitale, Kabul, e dintorni.
A fronte del sopradetto impegno militare, adesso la Spagna figura in cima alla lista dei bersagli che al-Qaida intende colpire, per minare la sua presenza in Iraq e per danneggiare l’economia dei paesi europei. Il dato è emerso dal presunto documento programmatico, redatto da Abdulaziz al Mukrin, ritenuto il capo dell’organizzazione di Osama bin Laden in Arabia Saudita, al quale l’intelligence dei paesi occidentali sta riservando una certa attenzione alla luce degli eventi spagnoli. Nel documento, che fonti dell’antiterrorismo in Usa e Europa hanno ritenuto attendibile, gli spagnoli vengono collocati al terzo posto, dopo americani e britannici, in un elenco dei bersagli da privilegiare. Nella particolare classifica gli italiani sarebbero sesti. Secondo l’estensore del documento, diffuso negli Usa dal network tv Nbc, occorre “distruggere la statura e l’immagine dei governi presi di mira”, ostacolando “i progetti politici degli infedeli e dei rinnegati”. A questo riguardo, il documento cita come successi “le promesse fatte dagli oppositori del primo ministro spagnolo per un ritiro delle forze spagnole dall’Iraq a causa delle esplosioni di Madrid” e parla di una decisione dell’Italia “di non mandare soldati in Iraq dopo aver fatto saltare soldati italiani a Baghdad”.
Il presunto testo diffuso da Mukrin indica la necessità che “le cellule in tutto il mondo non guardino ai confini geografici, ma cerchino di trasformare i paesi degli infedeli in teatri d’operazione, tenendoli occupati”. Per al-Qaida, alcuni dei benefici di azioni come le stragi dell’11 marzo sono “gli effetti che ottengono sulle potenze economiche, come per esempio il fatto che ciò che è accaduto a Madrid ha avuto effetti sull’intera economia dell’Europa”.
Appunto, sull’intera economia d’Europa: un gran bel business, tra numeri di conti correnti e cabale per invasati, da servire nel gran piatto dell’odierno riassetto planetario. Una perplessità: questi “terroristi” sembrano mostrare logiche strategiche notevolmente somiglianti ai nemici che dicono di combattere. Possibile?
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