Miriam Broglia, della Filcam-Cgil Roma e Lazio, risponde ad alcune domande sul problema della vigilanza privata alla luce delle esigenze particolari del nostro tempo
Secondo una recente ricerca, nel nostro Paese gli Istituti di vigilanza privata sono 1.100 e ogni anno vengono rilasciate un centinaio di nuove licenze; 40mila gli addetti con una media di 36 Guardie particolari giurate per Istituto ed un fatturato complessivo di 20 miliardi di euro. Osservando questi dati quali considerazioni fate?
È un settore in crescita, non v’è ombra di dubbio. D’altro canto l’insicurezza che pervade le nostre società sembra purtroppo destinata ad aumentare. E le recenti vicende di guerre e terrorismo internazionale ne rappresentano la conferma.
Se si guarda ai dati di questo settore, la prima cosa che si nota è l’eccessivo numero d’istituti rispetto a quello degli addetti. È possibile immaginare di rispondere ai problemi della sicurezza, della prevenzione e del controllo con una dimensione di impresa simile a quella artigiana?
Eppure la recente crescita conferma - anzi per alcune aree territoriali rafforza - questa tendenza al nanismo imprenditoriale e alla frammentazione. È un problema serio questo della dimensione d’impresa, lo è in generale per tutti i settori della nostra economia, ma qui per le implicazioni che ha è particolarmente serio.
Molto spesso, gli istituti più qualificati, nelle gare per l’aggiudicazione dei servizi, sono costretti a competere solo sui costi, e non sulla qualità dei servizi. A pagarne le spese sono molti: i committenti perché ricevono un servizio non sempre all’altezza, i dipendenti in termini di scarsa formazione e professionalità, le imprese che invece di crescere e innovare, sono concentrate sulla sopravvivenza e poco altro. E per finire potremmo dire che al di là delle cifre sul fatturato, poiché non abbiamo per questo settore dati statistici attendibili, per qualificare il settore di cose se ne potrebbero fare davvero molte. Dipende dalla volontà e dalla capacità delle associazioni e delle imprese. La strada penso sia in ogni caso quella di irrobustire i punti di forza e di valore presenti nelle grandi imprese, specializzandole nelle funzioni strategiche ed innovative. Così come vanno sostenute le piccole nella volontà di crescita e di fare sistema.
Le licenze per gli Istituti di vigilanza devono essere concesse a discrezione del Prefetto sia in quatità che in qualità o dovrebbero esistere delle regole precise a livello nazionale?
Anche su questo settore dovremmo cominciare a ragionare su scala europea, dove peraltro si sono affermati dei veri e propri colossi dell’industria della sicurezza con i pro e i contro di ciò che questo può significare. Vista la dimensione dei mercati e l’evoluzione del settore, vi è senz’altro la necessità di regole aggiornate su basi più ampie di quelle provinciali. Il punto critico non è tanto chi deve dare la licenza, ma quali devono essere i requisiti per ottenerla e chi controlla nel tempo il rispetto di questi requisiti.
È per questo che noi premiamo perché si faccia in tempi brevi una vera riforma di questo settore, che valga per tutto il Paese, capace di coniugare regole forti a livello nazionale, tenendo conto delle normative europee con demandi per le esigenze specifiche a livello locale, che può essere anche quello provinciale. In questa logica, la disciplina delle licenze potrà essere rivista e aggiornata in base anche ai tipi di attività, alla posizione territoriale dell’attività stessa e dell’impresa di riferimento.
Quale strada percorrere per una seria riforma della vigilanza privata?
Oggi la discussione si sta finalmente concentrando attorno ad una proposta unificata di testo. E se così è, la strada almeno si comincia ad intravedere. L’impianto non sembra male. Bisogna capire bene se, pur nell’ipotesi di ampliamento delle attività per esempio verso il recupero crediti e le investigazioni private (previsto nella nuova proposta), sia comunque salvaguardato il principio della distinzione tra ruolo e poteri della Guardia giurata e ruolo e poteri della Polizia. E che attiene in sostanza alla restrizione delle libertà del cittadino.
Altro elemento importante, anche questo già presente nel disegno di legge Lucidi (d.d.l. 301) che tra i primi ha saputo interpretare le esigenze del settore, è la qualifica e uno status giuridico ben preciso. Sembra incredibile, ma ancora oggi la Guardia giurata è nei fatti classificata come operaio generico. Non fa formazione degna di questo nome, non ha uno status di riferimento cioè “incaricato di pubblico servizio” che è poi uno dei pochi elementi a sua tutela. Quindi, in sintesi: distinzione dei poteri; formazione professionale esigibile e seria; qualifica; rispetto delle leggi e dei contratti; aggiornamento e rafforzamento delle regole a livello nazionale (vedi i criteri per l’assegnazione delle licenze); controlli e sanzioni per chi non le rispetta.
Questi mi sembrano i punti cardine di un tentativo serio di riforma. Assieme a un metodo che prevede la concertazione dei soggetti coinvolti, come le parti sociali con le istituzioni.
Come dovrebbe essere la selezione e la formazione del personale?
Con il tempo, e con l’uso delle nuove tecnologie, questa è diventata una attività sempre più complessa e si è arricchita di nuovi compiti e professionalità.
Intanto bisognerebbe distinguere tra formazione per l’accesso e formazione durante la vita lavorativa e no della Guardia giurata.
La formazione in ingresso dovrebbe essere essenzialmente teorica e contenere informazioni fondamentali sul proprio lavoro, di tipo giuridiche, sui diritti e doveri, quindi sul proprio contratto di lavoro, sulla sicurezza nel lavoro per sé e per gli altri, e poi altra parte importante la formazione tecnica operativa: tele allarmi, apparati radio, esercitazioni al poligono di tiro, uso dell’informatica. Questo percorso costruito, definito e governato dal sistema pubblico, impostato su programmi e normative comuni a tutti, dovrebbero completarsi con il riconoscimento della qualifica professionale di “Guardia particolare giurata”.
La formazione continua, che dovrebbe essere anche per questo settore, per ovvie ragioni, una costante nella vita lavorativa, può avere carattere di complementarietà, e fare per esempio, più riferimento alle singole specializzazioni.
Altra occasione di aggiornamento potrebbe esserci proprio nei momenti di crisi e ristrutturazione di un’impresa. Durante un eventuale periodo di cassa integrazione (peraltro questo ammortizzatore da poco introdotto nel settore già non è più disponibile per assenza di stanziamento di fondi), il dipendente potrebbe dedicarsi ad un corso di aggiornamento professionale che gli consente di rientrare nel ciclo, con conoscenze nuove e capaci di ridare linfa professionale a sé stesso e all’impresa presso cui opera. Anche qui, programmi nazionali almeno nelle linee guida e, nelle quantità minime, ruolo delle istituzioni locali.
La mancata applicazione della qualifica professionale per le Guardie giurate particolari non è un limite allo sviluppo del settore?
Assolutamente sì. L’inesistenza di un percorso professionale e di conseguenza di un sistema premiante è indice di mancanza di sviluppo. La qualifica professionale è un riferimento. Un punto di partenza su cui creare le condizioni per uno sviluppo e una crescita della categoria e quindi del settore.
Fermi non si resta, il rischio altrimenti è di tornare indietro. In qualità, in professionalità, in competenza, in sicurezza.
Nel settore, che contributo possono dare, associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali, per regolare il mercato?
Le parti sociali, nell’autonomia dei loro ruoli, possono fare molto. Questo settore ha bisogno di regole. Intanto sostenendo l’urgenza e la necessità della riforma del settore. Ma soprattutto usando gli strumenti a disposizione, come i contratti nazionali e territoriali, potenti regolatori della competizione, nella costruzione di una competizione virtuosa tra le imprese, basata sulla qualità dei servizi, e non solo sui costi.
In questo settore, fatta qualche eccezione, si ha troppo spesso l’impressione di essere in un altro tempo; dall’assenza pressoché totale di donne, a turni spesso massacranti e poco programmati, con uso smodato di straordinari, all’assenza di supporti logistici e di servizi primari, per finire con poche ferie godute e tante ispezioni fatte, più per mettere in soggezione che per altro.
Anche dal punto di vista della cultura e del miglioramento della prestazione del lavoro, si può e si deve fare molto. Per cominciare, condividendo regole e costi di partenza uguali per tutti, costruendo insieme le condizioni per arricchire competenze e professionalità dei dipendenti, migliorandone le condizioni di lavoro, promuovendo o rafforzando osservatori locali mirati ad orientare e indirizzare le trasformazioni del settore, e capaci di indicare fabbisogni e linee di sviluppo. È peraltro quello che stiamo cercando di mettere a punto nel Lazio, in questi mesi, nel confronto per il rinnovo del contratto territoriale nella convinzione che un mercato del lavoro forte e tutelato è fattore di competitività e di sviluppo qualitativo.
E ciò, sempre a beneficio di un settore che vuole definirsi sano e in grado di misurarsi con le sfide che lo attendono.
(Intervista a cura di Ettore Gerardi)
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