Il terrorismo islamico (ma sapremo mai dei registi?) pare abbia ormai adottato la tecnica del ricatto politico mediatico. È successo con la strage delle Torri Gemelle di New York, con i video di Bin Laden trasmessi in mondovisione. Ed è successo anche per i tre ostaggi italiani detenuti in una casa-prigione di Bagdad, che sono stati costretti a parlare direttamente con l’Italia per chiedere al nostro Paese di mobilitarsi per il ritiro delle truppe dall’Iraq. Quest’articolo è stato scritto il giorno dopo la trasmissione della tv Al Arabiya e ovviamente non poteva tenere conto degli sviluppi concreti di quel messaggio inquietante. Non sappiamo come potrà evolvere la situazione e soprattutto non sappiamo quale sarà il destino di tre vite umane. Sappiamo però con certezza che quei tre uomini (e qui non ci interessa neppure andare a vedere quale compito svolgessero davvero in Iraq) sono stati utilizzati come strumenti inermi in un gioco sporco, che nulla ha a che fare con la politica, con i temi della pace e della guerra, né tantomeno con l’etica e la religione.
I giornali hanno parlato piuttosto di un messaggio criptato, ovvero di una scena data in pasto a tutto il mondo, ma contenente vari piani di significati. Si è parlato cioè di un film utilizzato come spot a più livelli, un messaggio in codice appunto che aveva più referenti e più destinatari. Il primo referente era il popolo televisivo mondiale: i terroristi hanno voluto dimostrare la loro forza non solo mostrando i tre ostaggi come una sorta di ospiti di un agriturismo, vestiti abbastanza bene, senza segni di violenza (fatta eccezione per un ematoma sulla fronte di uno dei tre), perfino ben nutriti, davanti a piatti contenenti alimenti non certo alla portata di tutti nel paese martoriato da una guerra che si rivela sempre più insensata e levatrice di sempre nuove violenze. Il secondo referente erano sicuramente i parenti degli ostaggi utilizzati anch’essi come possibili masse di manovra: fare pressione sulle emozioni e i sentimenti privati per scatenare effetti a catena nella piazza mediatica e piazza reale. Non è un caso infatti che il giorno dopo siano stati proprio i parenti dei tre italiani in ostaggio a pronunnciarsi per il sì alle richieste dei terroristi; se i politici non reagiranno e sosterranno la linea della fermezza, noi comunque scenderemo in piazza. Un messaggio dunque alquanto strano e molto ambiguo dato che si è chiesto agli italiani di scendere in piazza dopo una serie impressionante di manifestazioni non solo per la pace, ma chiaramente schierate per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.
Strana richiesta dunque per un paese che, come ha scritto Giuseppe D’Avanzo su La Repubblica, ha organizzato centinaia di manifestazioni contro la guerra in grandi e piccole città e sin dall’inizio del conflitto. Soltanto dal 20 marzo al 2 aprile del 2003, durante le prime operazioni di guerra, ci sono state in Italia 516 manifestazioni a favore della pace, 289 cortei, 177 presidii, 21 fiaccolate, 20 sit-in, 18 assemblee, 15 blocchi ferroviari e 5 blocchi stradali. A chi si rivolgevano dunque i terroristi? A quale popolo vorrebbero dare lezioni di pacifismo? È evidente che il gioco sporco e squallido è di altra natura. C’era dunque un terzo referente del messaggio televisivo? Nel messaggio terroristico in arabo si fa riferimento diretto al governo italiano che non avrebbe fatto nulla (fino a quel momento) per salvare gli ostaggi. Un messaggio politico-commerciale al governo di Roma e ai suoi rappresentanti ed emissari all’estero. Il terzo livello del messaggio è stato quindi una vera e propria trattativa in diretta, un mostrare la “merce” per poter ottenere in cambio un qualche risultato; è pure evidente che i terroristi (o chi per loro) non stavano vendendo i corpi dei tre uomini, ma stavano cercando di ottenere qualcosa da qualcuno. Quale è stata la trattativa e quale partita si sta giocando davvero nel mondo? A voler essere maligni, si potrebbe anche supporre che qui la causa religiosa e ideologica c’entri davvero ben poco. Il mondo è oppresso da una guerra per bande che stanno difendendo i loro interessi strategici. Nel mondo arabo si sta giocando la guerra di potentati e gli Usa non hanno fatto altro che buttare (almeno finora) benzina sul fuoco. O meglio petrolio sul fuoco. Attenzione: il rischio è diventato troppo alto e la situazione potrebbe diventare ingovernabile.
Il gioco sporco della paura, del giocare cinicamente sulle emozioni e sui sentimenti delle persone non riguarda purtroppo solo la guerra. Anche in casa nostra abbiamo infatti un bel da fare con la violenza quotidiana e con il rischio della regressione civile. Nel Paese di Cesare Beccaria si ridiscute perfino di tortura, proprio nel momento in cui dovremmo applicare le direttive dell’Unione Europea che sta facendo un gran lavoro per costruire una nuova Costituzione basata sui Diritti Umani Fondamentali. Da questo punto di vista è avvilente l’emendamento che è stato presentato in Parlamento sulla tortura e sono a maggior ragione avvilenti alcune recenti prese di posizione di un Ministro della Repubblica. Quando si tratta di applicare le normative europee, c’è stato chi ha avuto il coraggio di distinguere tra vari tipi di tortura, anzi di avanzare spericolati sofismi che dimostrerebbero come una tortura non “reiterata” non sia in effetti vera tortura. Se ti dò cinquanta schiaffoni tutti insieme e magari ti mando in coma, non ho commesso il reato di tortura. Se invece ti dò uno schiaffo oggi; due domani, quattro alle cinque del pomeriggio e tre alle sette del mattino seguente, non ti sto torturando. Giustamente, alcuni rappresentanti dei sindacati democratici di Polizia, hanno detto che se una norma del genere dovesse passare, sarebbe la mazzata più pesante che è stata data sulle Forze di polizia. Anche qui non possiamo dire come finirà il film. Possiamo però avvalerci di un grande patrimonio civile che non vogliamo regalare a chi sta conducendo il gioco sporco del momento, né al ricatto emotivo della criminalità che guarda caso proprio ora ridiventa attiva. “Non si può tollerare che il patrimonio di tante lotte venga buttato al vento e vogliamo sperare che anche il sindacato di Polizia dimostri la necessaria intransigenza. È vero che il terrorismo ha prodotto un pesante imbarbarimento della vita politica; ma ciò non può giustificare che si imbarbariscano i metodi per combatterlo”. Queste parole sono state scritte da Franco Fedeli nel marzo del 1982.
Discorso identico, almeno per quanto ci riguarda, per la questione della cosiddetta legittima difesa. Chi vuole trasformare anche il nostro Paese in una specie di terra di nessuno, dove sopravvive solo chi è armato (o magari difeso da guardie del corpo ben allenate), è un pericoloso criminale. Nei film, come è noto, contano più i registi delle comparse.
Paolo Andruccioli
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