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marzo / aprile/2004 - Interviste
Ricerca
La riforma Moratti non soddisfa
di Giada Valdannini

Agli universitari non piace la visione di fondo del Ministro, ispirata a “mobilità” e “flessibilità” con costante ricorso ai contratti a termine

La riforma dell’istruzione targata Moratti è in rotta di collisione con ogni segmento della formazione e l’Università si è mobilitata contro questa meteora incandescente che - a detta di molti - rischia di radere al suolo gli atenei italiani.
“Giù le mani dalla ricerca libera” hanno detto assegnisti, professori a contratto e ricercatori che sono scesi in piazza insieme a studenti e docenti ordinari per dire “no” al progetto di riforma dello statuto giuridico dei professori ipotizzato dal ddl Moratti. Nelle loro convinzioni l’idea che questa riforma produrrebbe “lo snaturamento dell’università come istituzione pubblica e trasformerebbe il precariato in una condizione permanente”.
Ad aggravare la situazione anche lo stretto legame previsto dal ddl tra formazione e azienda con il conseguente snaturamento del valore culturale degli studi. Insomma, istruzione quale merce di scambio in un riordino che sacrificherebbe la cultura al mercato.
Della riforma Moratti agli universitari non piace la visione di fondo, ispirata a mobilità e flessibilità, con costante ricorso ai contratti a termine. I primi a pagarne le spese sarebbero i ricercatori, vere intelligenze a tempo determinato, costretti ad una vita di eterna incertezza. La riforma Moratti infatti infliggerebbe loro assunzioni con contratti a tempo determinato: una collaborazione continuativa e coordinata di cinque anni, rinnovabile una sola volta e di lì, o l’assunzione a tempo indeterminato o un biglietto di sola andata per la disoccupazione.
E come se ciò non bastasse i ricercatori potrebbero essere scelti direttamente dalle aziende, all’insegna del binomio “università – impresa”. Nelle intenzioni del ministro, comunque, il loro ruolo diventerebbe “ad esaurimento”.
Ma c’è già chi ha battuto tutti sui tempi. Carlo Secchi, rettore dell’Università Bocconi, accanito sostenitore della Riforma e promotore ante litteram dei precetti morattiani, commenta: “Noi abbiamo anticipato elementi della riforma Moratti nel nostro ateneo. Abbiamo deciso di non fare più concorsi da ricercatore. Da noi i ricercatori sono già un ruolo ad esaurimento. Tutti i nuovi assunti hanno un contratto di 3 anni, poi altri 3 anni dopo una prima valutazione. Ci aspettiamo che successivamente vincano un concorso da associato. Altrimenti possono guardarsi in giro e trovare nel mondo esterno qualcosa di più adatto per loro”.
E’ evidente quindi che la messa “ad esaurimento” dei ricercatori è uno strumento per non assumerne più e per negare loro l’importante ruolo rivestito negli anni.
La grande importanza dei ricercatori nella vita degli atenei è testimoniata anche dal fatto che, negli ultimi anni, sono stati presentati diversi disegni di legge, sia da parte della maggioranza sia da parte dell’opposizione, per trasformare i ricercatori nella terza fascia della docenza: dopo i professori “ordinari” e quelli “associati”.
E il Coordinamento Nazionale dei Ricercatori fa sapere che “respinge con fermezza l’ipotesi dell’articolazione della docenza in due fasce (ordinari e associati) – come previsto dal ddl Moratti – e la soppressione dei ricercatori”.
Ma la riforma lascia ben poco a che sperare. E loro lo sanno.
Un dato allarmante è che se in Europa viene speso il 2,2% del prodotto interno lordo per la ricerca, in Italia è pari allo 0,6%. Poi ci si stupisce della “fuga dei cervelli”.
A rincarare la dose anche uno dei tredici saggi che ha elaborato le linee generali della riforma: “I ricercatori godono attualmente dell’assoluta inamovibilità – dice Fabio Roversi Monaco - Nel campo della ricerca questa condizione è un errore perché non esistono misuratori precisi dell’attività svolta. E’ bene mantenere una reversibilità all’inizio della carriera, come avviene all’estero. Sarebbe però opportuno prevedere, per chi non verrà confermato all’università, un ruolo alternativo in un altro settore delle pubbliche amministrazioni”.
Antonio Marsiglia, segretario del settore universitario della Cisl, smentisce la fattibilità di questa sorta di “palliativo professionale”. Per i ricercatori “dismessi” dagli atenei non c’è possibilità di ricollocazione: “Le leggi attuali – afferma Marsiglia - non consentono tali travasi. Se un docente universitario fosse giudicato non idoneo, non potrebbe improvvisarsi dirigente di un ministero cui accede per concorso”.
A difendere il ruolo dei ricercatori è anche Nunzio Miraglia, coordinatore nazionale dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) che commenta così la proposta Moratti: “Siamo contro l’esaurimento del ruolo dei ricercatori e per il riconoscimento del ruolo di docenti effettivamente svolto da una categoria che, con 20 mila persone su un totale di 55 mila professori, corrisponde a oltre un terzo dell’intero corpo docente.”
Tanto inoltre lo sconcerto di fronte ad una proposta di legge che farebbe della ricerca un servizio finalizzato semplicemente al mercato. Si pensi che numerose innovazioni scientifico – tecnologiche degli ultimi decenni sono nate proprio in ambito universitario, nei laboratori di ricerca. Quindi tagli alla ricerca fa rima con stasi dello sviluppo.
Di fronte a questa spaventosa possibilità, l’opinione pubblica ha fatto cerchio intorno alle proteste universitarie e migliaia di cittadini si sono riversati nelle piazze per partecipare alle mobilitazioni, visto che la totale precarietà, mascherata da “flessibilità massima”, causerebbe danni a tutta la società. La ricerca infatti ha bisogno di tempi e luoghi adatti per essere sviluppata e di certo i contratti a termine e i gli istituti di ricerca convertiti in poli aziendali, non remano in questa direzione.
La riforma Moratti apporterebbe anche grandi cambiamenti nel reclutamento dei professori che tornerebbe ad essere subordinato al concorso nazionale, bandito ogni due anni, alternativamente per docenti ordinari e associati, con l’istituzione di una lista di idoneità nazionale.
Inoltre il numero dei posti disponibili per settore scientifico – disciplinare sarebbe commisurato alla richiesta dei singoli atenei. Possibilità che ha immediatamente scoperchiato l’annosa questione dei “baroni” con annesse lobby e cordate di docenti interessate a macchinare il reclutamento dei professori.
Accese polemiche anche in merito all’equiparazione, voluta dal ddl, tra insegnamento a tempo pieno e a tempo definito che, nemmeno a dirlo, favorirebbe i professionisti meno coinvolti nell’ateneo e darebbe il via libera alle consulenze extra-univesrsitarie a scapito della docenza. Tanto più che i professori dovranno svolgere attività scientifiche per 350 ore l’anno, di cui 120 di attività didattica frontale e per il resto potranno stipulare contratti ad hoc con l’ateneo.
Questo clima di crescente precarietà ha portato in piazza migliaia di persone ma il dato nuovo è che, per la prima volta, assieme agli studenti, sono stati i docenti ad occupare le università. E’ il caso di Roma, dove l’Aula Magna de La Sapienza è stata occupata da ricercatori, associati e professori ordinari. “Questa è una riforma terribile sia a livello didattico sia a livello economico. E la precarietà dei docenti mina la libertà dell’istituzione universitaria”, denuncia una delle ragazze presenti alla mobilitazione, quando i rettorati sono stati occupati e le lezioni sono state bloccate in tutto il Paese. C’è da dire che in molti vociferavano: “Erano anni che non si vedeva una mobilitazione così”.
Durante l’assemblea nell’Aula Magna de La Sapienza, il 17 febbraio, dal palco un torrente di interventi non ha risparmiato nessuno. “Qui insieme a noi – ha detto Augusto Palombini, segretario dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca – ci sono professori che questo precariato l’ hanno consentito”. E qualche “barone” seduto tra la folla ha sobbalzato sulla sua sedia.
Ma il decreto made in Moratti ha creato polemiche in ogni parte d’Italia e, da capo a capo dello “stivale”, i professori universitari hanno deciso di dare una lezione al ministro e sono scesi in piazza brandendo striscioni quantomai eloquenti “Moratti, bocciata”. Così La Sapienza da traino delle manifestazioni si è trasformata in una cassa di risonanza delle mobilitazioni attive su tutto il territorio nazionale e l’agitazione si è propagata da Roma a Bologna, da Cagliari a Padova, da Trieste a Venezia.
In Calabria il senato accademico ha sonoramente bocciato la riforma tanto nella forma quanto nella sostanza a tal punto che, all’università di Reggio Calabria, i docenti hanno definito “inaccettabile” anche lo strumento della legge delega con cui è stata presentata la riforma che, in effetti, esautora il Parlamento da una qualsiasi forma di confronto.
Pesanti come macigni le critiche del rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, che commenta la proposta di riforma con queste parole: “Si vogliono indebolire il ruolo e la missione dell’Università. E l’aspetto più negativo è una riconferma della legislazione degli anni Ottanta, che non concepisce la ricerca nel lavoro del docente universitario”.
In tutto questo malcontento, comunque, c’è ancora chi non perde la voglia di ironizzare: un ragazzo napoletano si è presentato al corteo nei viali de La Sapienza dicendo: “Sono un ricercatore precario in via d’estinzione, praticamente un dinosauro”.
La Riforma Moratti dello statuto giuridico dei professori non ha convinto neppure il Quirinale che ha presentato al Governo una serie di quesiti per capire dove il ministero dell’Istruzione intenda attingere i fondi necessari all’attuazione della proposta di legge. In caso di una mancata risposta o di una risposta poco soddisfacente c’è la possibilità che il capo dello Stato non firmi il decreto.
A Bologna il rettore, Pier Ugo Calzolari, ha parlato del contestato decreto in questi termini: “Le uniche risorse finanziarie per sostenere una ristrutturazione così costosa sembrano essere indicate nel denaro risparmiato dalla soppressione delle supplenze”.
Insieme al mondo accademico anche quello politico è insorto contro ciò che Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas, ha definito “il decretaccio”. Bernocchi ha inoltre fatto notare che, come l’università, anche la scuola versa nella stessa empasse, “grazie” alla proposta di riforma Moratti e invita a una mobilitazione comune: “La mobilitazione dell’università aggrega l’ultimo pezzo che mancava. Ora tutta la scuola è contro la Moratti, perché la mercificazione dell’istruzione inizia alla materna e finisce all’università”.
Lo stesso segretario Ds, Fassino, è sceso in campo contestando aspramente il ministro dell’Istruzione: “Non si innova precarizzando chi lavora, sbarrando l’accesso ai giovani, comprimendo le risorse a disposizione delle università”.
Perentorio anche Gianni Orlandi, pro–rettore de La Sapienza, che reputa ormai necessario: “Ritirare il disegno di legge che favorisce le università private e degrada le pubbliche”.
Ad alimentare lo scontro ancora un dato che ha creato notevole sospetto. La composizione del gruppo che ha elaborato la legge, a detta di molti, sarebbe “troppo omogenea” e rispecchierebbe nella sua composizione il tributo fatto alle aziende e la scelta di abolire la figura del ricercatore. “Una composizione – dice il ricercatore Marco Merafina, membro del cda de La Sapienza – che corrisponde perfettamente allo spirito della riforma. Dei 13 membri, otto provengono da facoltà giuridico-economiche. Tre da quelle scientifiche e solo due da quelle letterarie”. Facoltà come giurisprudenza non hanno mai accettato il ruolo del professore associato, pur di mantenere saldo il potere nelle mani del docente ordinario.
Insomma, in tutto ciò solo su un dato il ministro e gli atenei sono d’accordo: l’università così non va.


BOX 1

Il contestato decreto

CONTRATTI DI RICERCA
Aboliti i concorsi. Le università per svolgere ricerca e didattica stipuleranno contratti a tempo determinato con i ricercatori che diventeranno, comunque, una categoria “ad esaurimento”.

RECLUTAMENTO DOCENTI
Saranno banditi concorsi nazionali per ordinari e associati, con la scomparsa della figura dei ricercatori. Il numero di posti disponibili per settore scientifico-disciplinare sarà indicato dalle università. Gli incarichi a tempo determinato sarano rinnovabili una sola volta e poi si procederà o al contratto a tempo determinato o alla “dismissione” del docente dalla carriera universitaria. Le assunzioni dei professori potranno essere subordinate a convenzioni con aziende, fondazioni o enti.

STATO GIURIDICO
I docenti universitari dovranno svolgere 350 ore l’anno, di cui 120 di attività didattica frontale e per il resto potranno firmare contratti ad hoc con gli atenei. Cadrà la distinzione tra insegnamento a tempo pieno e a tempo definito, con conseguente via libera alle consulenze extra universitarie, a discapito della docenza.



BOX 2

• Docenti in attesa di collocamento

• 200mila gli insegnanti precari in Italia

• 91mila i precari con incarico più o meno continuativo, senza diritto a ferie e retribuzione estiva

• 102mila posti vacanti

• 12.500 i tagli di organico previsti per il 2004 (36mila nel prossimo triennio).

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