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marzo / aprile/2004 - Interviste
Psichiatria
Invito a cena con delitto
di Marco Cannavicci

Quasi sempre, dietro il fenomeno del vampirismo si celano gravi psicopatologie o un disturbo psichico, come nel caso quello schizofrenico paranoico

Nei testi degli studiosi del comportamento umano il vampirismo viene definito come “un periodico e compulsivo bisogno di bere sangue umano”. Tuttavia, scorrendo i vari testi di psichiatria che se ne occupano, si scopre che non esiste un accordo sulla definizione e sulle motivazioni psicologiche che sono alla base del vampirismo. In tutti i testi però si mette in risalto un collegamento tra il bisogno di bere il sangue umano ed un profondo disturbo della sessualità, spesso regredita a livello infantile.
Sul vampirismo si soffermano anche i testi di criminologia che affrontano le tematiche dei serial killer. Molti di loro, infatti, dopo l’uccisione della vittima, ne bevevano il sangue e ne mangiavano le carni. Per loro il vampirismo si sovrappone ad un altro grave disturbo psicopatologico del comportamento umano: la necrofilia, cioè il desiderio di ingerire la carne di persone morte.
Quasi sempre dietro il vampirismo si cela una grave psicopatologia, un grave disturbo psichiatrico, come nel caso di quello schizofrenico paranoico che prese alla lettera le parole di Cristo per aspirare alla vita eterna, comportandosi secondo le parole bibliche: “…colui che mangerà il mio corpo e berrà il mio sangue …”.
Alcuni dei più famosi serial killer americani hanno messo in atto comportamenti di vampirismo per rispondere all’imperioso delirio di aver bisogno di sangue fresco per la convinzione di doverlo sostituire al proprio, in via di essiccamento per l’influsso di alieni ed extra-terrestri. Ed anche il famoso Hannibal the Cannibal de “Il silenzio degli innocenti” era un pericoloso e freddo psicopatico che amava mangiare la carne e bere il sangue dei suoi nemici.
Tutti i vampiristi che sono giunti sulle pagine della cronaca, hanno in comune l’abitudine, appresa fin da bambini, all’autovampirismo, cioè si ferivano e succhiavano il loro stesso sangue. Inoltre erano affascinati dalla vista del sangue e dal commettere atti di crudeltà, che esercitavano soprattutto verso gli animali.
Ecco ciò che ha raccontato un vampirista: “Ho amato la vista ed il sapore del sangue per tutta la mia vita. Per questo leccavo i miei graffi e mi tagliavo. Avevo l’abitudine di staccare la testa agli uccelli e bere il loro sangue. Da bambino staccai con un morso la testa di un porcellino d’India e ne succhiai il sangue; un’altra volta feci lo stesso con una gallina, ne raccolsi il sangue con la mano e lo bevvi. Per procurarmi il sangue mi taglio da solo: il sangue mi rilassa e penso che se me ne potessi procurare regolarmente una certa quantità sarei a posto… È la sensazione del sangue dentro di me, non il suo sapore, ciò di cui ho bisogno. Mi piacerebbe succhiare il sangue di un’altra persona, ma finora non ho ancora programmato come realizzare quest’idea”.
Questi soggetti, di norma, sono affascinati anche dalla morte per cui la ricerca del sangue è solo un passaggio intermedio prima di arrivare allo stadio di assassini. D’altra parte, per disporre del sangue devono disporre di un cadavere e quindi devono uccidere. Peraltro non sembrano essere particolarmente interessati al sesso ed il sangue non offre loro una particolare eccitazione sessuale. Bere il sangue non è un atto che sostituisce la sessualità, soddisfa solo desideri primitivi, infantili, come il bisogno si bere, di mangiare e di sentire il piacere dell’ingestione del “cibo caldo”.
La loro avidità di sangue scaturisce dall’effetto che l’ingerire il sangue provoca su di loro, come quello di calmare la tensione nervosa. Alcune persone, in preda all’ansia, prenderebbero solo delle gocce di un sedativo, loro, per calmarsi, sono costretti a bere del sangue.
Questo implica la necessità che gli investigatori hanno, se vogliono capire le dinamiche di questo tipo di crimine, abbastanza diffuso negli Usa e fortunatamente molto poco in Italia, di abbandonare il modo comune di pensare e di cercare di immedesimarsi nei pensieri e nelle emozioni del criminale.
Se il vampirista è un pericoloso e reale assassino che uccide per bere il sangue delle proprie vittime, il vampiro è una creatura immaginaria, frutto delle fantasie e delle paure popolari.
Dal magiaro vampyr, sono definiti vampiri quei morti che, secondo le credenze popolari, escono di notte dalla loro tomba per succhiare il sangue ai viventi. La credenza che il corpo di un morto possa desiderare il sangue di una creatura vivente è comune in molte epoche ed in molte culture. Era già presente fin dagli antichi greci e di vampiri se ne parla fino nella lontana Cina.
È dal Medioevo in poi che, soprattutto nei paesi balcanici, la figura del vampiro si arricchisce di numerosissime leggende, di paurosi racconti, della sua presenza in sanguinarie pratiche magiche e rituali. Nelle leggende popolari il vampiro ha caratteristiche fisiche spiccate: ha il labbro leporino, il viso scarlatto, la lingua affilata, una sola narice, la pelle gonfia e tesa, un aspetto di animale tipo cane o rospo. Il vampiro, nelle leggende popolari, ha effetti negativi: può causare la siccità, l’impotenza negli uomini e può propagare la peste.
Si diventa vampiri attraverso una morte violenta, per ereditarietà, attraverso il nascere con i denti o il commettere particolari delitti. Inoltre il vampirismo è contagioso: il suo morso sul vivente è in grado di trasmettere questa condizione. Il vampiro ha importanti valenze simboliche come quelle racchiuse nella notte, nel buio, nell’oscurità ed in tutti i miti relativi al sangue, considerato come una sostanza preziosa e fondamentale in senso sia benefico (come nelle trasfusioni) che malefico (come nelle trasmissioni delle infezioni). Il valore propiziatorio del sangue fresco giustifica il suo uso in innumerevoli pratiche magiche e nelle ritualità del satanismo.
Come è stato detto all’inizio, al vampirismo molto spesso si associa anche la necrofilia, conosciuta negli ambienti della Polizia come antropofagia criminale e volgarmente nota come cannibalismo. È un desiderio che risale alle primissime esperienze emotive del bambino, quando succhia con piacere ed avidità il latte materno e che rimane costante nella vita affettiva della persona, non evolvendo e non maturando in altri desideri di tipo più adulto. Un trauma, un incidente, un brusco cambiamento nell’alimentazione del bambino in questi primi mesi potrebbe essere vissuto dal bambino come intollerabile al punto da aprire la strada a future psicopatologie o perversioni di tipo sessuale.
Racconta la madre di Jeffrey Dahmer, il serial killer americano che ha ucciso e divorato 11 giovani, che ha potuto allattare il figlio solo per pochi giorni perché lui stringeva le gengive e le faceva troppo male al capezzolo. Il brusco distacco dal seno materno ha causato al piccolo Jeffrey un trauma psicologico che lo ha condotto alle perversioni che da adulto sono sfociate nei drammatici atti di cannibalismo per cui è stato condannato a più ergastoli.
Il bambino molto piccolo prova piacere con la bocca, prova piacere nel succhiare e nel mordere, si può dire che conosce il mondo attraverso le sue labbra. In alcune persone questo piacere rimane evidente per tutta la vita, coprendo anche gli altri tipi di piacere più adulti, ed ecco quindi il desiderio irrefrenabile di mangiare, di fumare, di parlare, di baciare… impulsi e fantasie legate al mordere ed ingerire entrano quindi a far parte della struttura profonda della psiche umana.
Usualmente tra persone che si piacciono si sente dire “ti mangerei!”. Usualmente ci si ferma alla metafora, riuscendo a gestire e controllare queste pulsioni ed indirizzandole in pensieri ed azioni socialmente accettabili. Per i soggetti antropofagici è impossibile controllarli e si passa quindi alla messa in atto del desiderio.
La privazione precoce del seno materno alimenta ed amplifica il bisogno di appagare questo desiderio orale e vi aggiunge anche una notevole dose di aggressività, come normalmente succede quando si vive una forte frustrazione per la privazione di una fonte di piacere. Piacere orale ed aggressività normalmente sono separati, ma quando si fondono insieme in un unico desiderio sono in grado di generare un antropofago criminale.
La forza di questa unione di piaceri viene dimostrata dalla facilità con cui vengono scavalcate censure di tipo etico, morale e sociale. Il cannibalismo, insieme con l’incesto ed il parricidio, è il più vecchio, diffuso ed universale tabù. Questi soggetti si rendono conto della portata criminale ed immorale dei loro desideri, tuttavia decidono di metterli in atto ugualmente perché sono incoercibili, ingestibili, sempre presenti e continuamente alimentati da fantasie sempre più vive e coinvolgenti.
Jeffrey Dahmer ha ammesso, prima di essere ucciso in carcere dagli altri detenuti, di aver amato le persone di cui si è cibato. Anzi più le amava, maggiore era il piacere di ingerirle dentro di sé. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a desideri ed usi che affondano le loro radici nella notte dei tempi, allorquando si sono affermati rituali di cannibalismo a sfondo religioso.
Consumare il corpo ed il sangue di un dio è un rito ultramillennario. Lo stesso sacramento cristiano dell’eucarestia ha una forte connotazione di cannibalismo. Delle sacre scritture in ogni funzione religiosa vengono riportati i passi in cui Gesù Cristo invita i suoi discepoli a bere il suo sangue ed a cibarsi della sua carne. Nei riti antichi, con lo scopo di perpetrare l’esistenza del defunto più amato, c’era l’usanza di spartirne il corpo tra tutti i membri della comunità. Ed in alcune tribù amazzoniche ancor oggi è molto diffuso questo tipo di cannibalismo che non risponde alle esigenze alimentari ma solo a quelle di tipo magico e religioso.
Fin dall’antichità sono noti atti di antropofagia a scopo terapeutico, per la guarigione di malattie allora incurabili. Per finalità mediche e curative da sempre sono stati utilizzati il cuore, il midollo osseo ed il sangue non solo degli animali, ma anche di provenienza umana. Questo è accaduto sia in Oriente che in Occidente ed ha inconsapevolmente condotto alla trasmissione di gravissime malattie di tipo virale che oggi sono state identificate ed associate al cosiddetto “morbo della mucca pazza”. Dai riti antropofagici gli antichi videro che nella persona malata, dopo una iniziale ripresa del benessere, iniziavano a comparire gravi sintomi di tipo neurologico e psichiatrico. Da quei sintomi e da quella sofferenza dedussero che gli dei non gradivano la pratica del cannibalismo e che era quindi contraria al volere divino. Da tale credenza si è poi sviluppato il tabù del cannibalismo, allo stesso modo del tabù dell’incesto: per le gravi malattie che ne conseguivano e che venivano lette come delle punizioni divine.
Tuttavia fino al tardo Rinascimento sono sopravvissute credenze popolari in cui si riconosceva, ad esempio, un potere terapeutico al sangue degli impiccati o dei decapitati nei confronti dell’epilessia e della sifilide. Anche gli antichi romani credevano che il sangue uscito dalle ferite dei gladiatori morti nell’arena avesse un potere terapeutico nei confronti dell’epilessia.
Anche se non messe in atto, sono moltissime le persone che ancor oggi producono fantasie antropofagiche nei confronti di coloro per cui provano attrazione e desiderio. Ogni tanto qualcuno vince le proprie inibizioni, prende coraggio ed inizia a circuire la propria vittima di persona, per telefono o tramite Internet fino all’ultimo fatale “invito a cena” dove la vittima ha il doppio ruolo dell’invitato e della cena stessa.



BOX 1

Peter Kurten: il Vampiro di Dusseldorf

Peter Kurten nacque in Germania nel 1883. Le sue terrificanti deviazioni mentali furono il risultato di una infanzia infelice. Da ragazzo prendeva a calci e strangolava gli scoiattoli, inoltre torturava a morte i cani che riusciva a catturare. All’età di nove anni contribuì alla morte di due ragazzi in un incidente di barca.
Fin da adolescente cercava di avere rapporti sessuali con capre e pecore, che accoltellava nel momento dell’orgasmo. Dal 1905 al 1921 fu condannato più volte alla prigione per vari tipi di reato, tuttavia, non appena tornava in libertà, continuava ad uccidere e se non poteva uccidere era costretto ad incendiare.
Si guadagnò l’appellativo di “vampiro di Dusseldorf” perché amava bere il sangue delle sue vittime. Nei momenti in cui si sentiva particolarmente assetato di sangue uccise anche degli animali. Un suo divertimento era quello di incendiare di notte vecchi ed abbandonati edifici per veder bruciare i vagabondi, i nomadi e gli zingari che vi dormivano dentro.
Era un violento e un sadico sessuale, ma non in famiglia. La moglie non sospettò mai di nulla, reputandolo un uomo buono e mite. Alle sue confessioni davanti alla Polizia la moglie si sentì male e svenne.
Peter Kurten è sempre stato lucido nelle sue azioni al punto che diede alla Polizia una accurata descrizione dei 77 crimini che aveva compiuto nell’arco di dieci anni.
Amava spesso tornare sui luoghi dei suoi delitti per ricordare meglio le scene delittuose e riprovare lo stesso piacere e lo stesso orgasmo.
Il suo ultimo desiderio era “sentire il mio sangue sgorgare dal mio collo dopo essere stato decapitato”. Questo desiderio venne esaudito con la sua condanna a morte avvenuta il 2 luglio 1931.

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