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marzo / aprile/2004 - Interviste
Forza dell Ordine
“Si sentiva minacciato”
di Maria Bitti Romiti

Mariano Romiti, maresciallo scelto della Pubblica sicurezza, nato in provincia di Viterbo nel 1927 e ucciso a Roma dalle Br in via dei Romanisti il 7 dicembre 1979. Medaglia d’oro al valor civile

Mariano, un uomo serio, onesto, attaccato al suo lavoro che svolgeva scrupolosamente. Un bravo padre di famiglia, un cristiano nel vero senso della parola.
Prestava servizio al commissariato di Centocelle di Roma, in via dei Gelsi, da 12 anni, come dirigente della Squadra Polizia giudiziaria. Quando ci siamo sposati, lui era una Guardia “aggiunta”; poi fece il corso per per effettivo. Poi vice brigadiere, brigadiere, maresciallo, fino a maresciallo scelto, tutto in pochi anni e sempre attraverso esami.
Amava il suo lavoro e lo faceva con tanto impegno. Diceva che per incoraggiare i giovani a lavorare, bisognava dare il “buon esempio”.
Abbiamo avuto quattro bei figli, che lui adorava; vivevamo tutti del suo lavoro in una casa in affitto; lui diceva che per fare studiare i figli sarebbe stato disposto ad andare anche senza scarpe!
Negli ultimi tempi si sentiva minacciato e pedinato; aveva ricevuto telefonate minatorie anche a casa; in quelle circostanze lo vedevo impallidire e soffrire interiormente. In famiglia non raccontava nulla, ai miei segni di preoccupazione replicava che esageravo le cose: ora comprendo il suo continuo mal di stomaco.
Si era molto dato da fare con altri colleghi per il sindacato di Polizia Siulp: organizzavano delle riunioni dopo il lavoro e quindi a casa stava pochissimo.
A tutte le ore del giorno e della notte chiamavano dal commissariato per delle urgenze. Se era notte, si alzava senza indugio e tornava a lavorare. La mattina uscendo, di solito accompagnava il figlio a scuola.
Quel venerdì mattina, il 7 dicembre del 1979, a Roma c’era la nebbia. Nostro figlio compiva 15 anni. Uscì di casa da solo perché il ragazzo sarebbe entrato a scuola alla seconda ora. Mi disse: “Pensa tu alla torta di compleanno, io vado in Tribunale e torno per l’ora di pranzo”. Ci salutò ed io lo accompagnai con lo sguardo finché non sparì nella nebbia. Dopo pochi attimi udii degli spari e urlai a mio figlio “Hanno ucciso papà!”
Me lo sentivo! Prima chiamai il commissariato chiedendo di mio marito, ma non seppero dirmi nulla. Poi uscii fuori di casa per dirigermi sul luogo degli spari, le persone che incontravo mi guardavano, ma nessuno mi diceva nulla.
Sul luogo c’era un’ambulanza vuota, qualcuno mi disse che avevano portato mio marito al San giovanni con la macchina della Polizia e si offrì di accompagnarmi. Non so se era un collega.
Per la trada pregavo la Madonna che lo salvasse, lui era tanto devoto alla Madonna! Arrivati in ospedale mi fecero attendere in una stanzetta mentre arrivava qualche parente che aveva ascoltato alla radio la notizia. Poi mi permisero di vederlo: era morto! Mi crollò il mondo addosso! Sola! A Roma vivevamo solo noi e i nostri figli! Poveri ragazzi, quanta sofferenza!
All’obitorio venne anche il presidente Pertini, io gli dissi che ce li stavano ammazzando tutti, i nostri uomini. Mi disse che non saremmo rimasti da soli.
D’accordo con i suoceri lo portammo a Vejano dove era nato per la sepoltura. Restammo tutti lì per una settimana.
Nel tornare a Roma eravamo già soli; guidava l’automobile la nostra secondogenita, che aveva appena preso la patente. Dissi a mia figlia che ormai eravamo soli e lei, piano piano, con tanta paura ci riportò a casa.
Qualcuno del commissariato avviò la pratica della pensione perché io non riuscivo a pensare a queste cose. Stavo talmente male che non riuscivo neanche a preparare il cibo ai figli! Quanta sofferenza! La notte nel letto mi sentivo soffocare, ogni tanto qualche figlio si svegliava urlando per gli incubi. Il ragazzo per lo shock non voleva più uscire di casa.
Quel primo Natale senza di lui, mangiammo una minestrina e tanti pianti, nessuno si fece sentire per sapere come stavamo, tranne i parenti.
Il 27 dicembre mi portarono lo stipendio di mio marito e nei mesi successivi ci diedero l’acconto sulla pensione: si trattava di circa 400mila lire mensili.
I ragazzi studiavano tutti, pagavamo l’affitto e rimaneva poco per vivere! Perciò mia figlia grande abbandonò il secondo anno di Giurisprudenza e iniziò a lavorare. Ci dissero che avrebbero definito presto la pratica per pensione ed invece aspettammo 6 anni.
Dei quattro figli solo due lavorano nello Stato.
Mariano ha ricevuto l’onore della Medaglia d’oro al valore civile dopo 16 anni dalla morte. Quanta sofferenza abbiamo sopportato e come ci siamo sentiti abbandonati. Da tutti.

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