Ecco le testimonianze di alcuni familiari di tutori della legge uccisi dai terroristi negli anni di piombo: per loro lo Stato concesse somme di gran lunga inferiori a quelle elargite recentemente. L’appassionata presa di posizione del comandante Falco Accame
Con il d.l. 28/11/2003 n. 337 recante: “Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero”, che comporta tra l’altro una elargizione di circa 400 milioni di lire a favore delle vittime, è stata compiuta una grave ingiustizia rispetto a tutti coloro che hanno operato in rischiose operazioni in territorio nazionale e che hanno percepito indennizzi di gran lunga inferiori.
Se certamente è un grave lutto la morte di militari e civili e il ferimento di altri, come quello legato al crollo di un palazzo-caserma a Nassiriya, causato da una esplosione, non è certo un minor lutto quello che riguarda la morte e il ferimento di personale impegnato nello svolgimento di operazioni di ordine pubblico in Patria.
Il tragico evento di Nassiriya, tra l’altro non può essere definito come un attentato terristico, se per attentato terroristico si intende un’azione violenta contro civili disarmati. A Nassiriya infatti c’è stata una azione di guerriglia contro una struttura militare dove erano presenti militari armati chiamati ad operare azioni sotto l’etica del Codice penale militare di guerra.
In situazioni di guerra e di guerriglia il personale che si trova coinvolto agisce nel quadro delle convenzioni internazionali di Ginevra. Ad esempio chi viene catturato deve essere considerato come prigioniero di guerra con tutte le salvaguardie del caso. Gli stranieri che hanno agito contro le truppe italiane hanno agito evidentemente nella intesa di combattere delle Forze militari che, a ragione o a torto, ritengono essere forze di occupazione. Non si possono confondere ad esempio queste forze con i Caschi Blu dell’Onu. Non possiamo neppure dimenticare che il tragico evento di Nassiriya è stato reso possibile dal fatto che non erano state predisposte dai comandi misure di difesa esterne (antiincursione kamikaze) a difesa della base. (Tra l’altro il personale che opera in Italia non gode del trattamento di missione e delle altre previdenze previste per il personale all’estero). Se tali predisposizioni fossero state prese, l’autobomba non sarebbe potuta penetrare nel perimetro della base.
Non sembra perciò giustificato introdurre una discriminazione tra eventi di questo tipo che si svolgono all’estero in operazioni che dovrebbero essere di “peace keeping” (cioè condotte con la concordanza del governo del paese interessato e con la copertura dell’Onu) e operazioni di ordine pubblico (oltre che di soccorso) che si svolgono in campo nazionale spesso con un non minore, o addirittura maggiore, pericolo.
Il pensiero corre, ovviamente, alle rischiose attività di scorta effettuate dalle Forze dell’ordine (pensiamo ad esempio ai cinque tutori della legge trucidati a via Fani il 16 marzo 1978 quando fu rapito l’on. Moro), ma anche a tante altre analoghe in cui il personale sa di rischiare la vita. Tra queste le operazioni di soccorso che a volte comportano la morte dei soccorritori o anche le operazioni di addestramento su veivoli che qualora non sottoposti a particolari restrizioni, possono essere assai pericolosi; come è accaduto, per esempio, ai tanti piloti morti sugli aerei Amx prima che si adottassero rigide norme restrittive per le modalità di volo.
Per limitarci al campo delle Forze dell’ordine, abbiamo ascoltato le storie dei famigliari di alcuni caduti delle Forze dell’ordine; storie toccanti di dolore che ci hanno fatto meditare su come lo Stato, troppo sovente, si comporta nei riguardi di coloro che escono di scena e delle loro famiglie e le disparità di trattamento e le ingiustizie che vengono attuate nei loro riguardi.
Tra le vittime che abbiamo ascoltato c’era anche chi ha perso un congiunto nella vicenda del rapimento dell’on. Moro. E c’è venuto da pensare che forse questa tragica vicenda poteva essere stata evitata. Ci è tornata infatti alla memoria la storia del preavviso che ci sarebbe stato circa l’eccidio secondo cui qualche componente dell’apparato statale avrebbe saputo. Ma non vennero adottate tutte le disposizioni che potevano evitare il tragico evento.
“Polizia e Democrazia” ha trattato qualche tempo fa, ampiamente questa vicenda rimasta sempre oscura. Ed in questi giorni un libro fresco di stampa di Giuseppe Ferrara (I misteri del caso Moro) ha riproposto questi interrogativi.
Noi chiediamo con forza che questa vicenda dai contorni oscuri venga chiarita per sapere se il rapimento Moro uccisione della scorta potevano esserere evitati. Due “gladiatori” sono stati interrogati dalla Procura di Roma fin dal novembre 2000.
In senso generale le testimonianze che “Polizia e Democrazia” ha voluto raccogliere ci sembra costituiscano un monito per ricordarci un preciso dovere di “memoria” nei riguardi di chi ha subito lutti e non si è sentito pienamente sostenuto dallo Stato nei momenti più drammatici che ha vissuto.
Noi riteniamo che ci sia qualcosa che deve radicalmente mutare nei rapporti tra lo Stato e le forze che lo Stato chiama a sua difesa in operazioni di polizia e militari. Non accettiamo più una vuota retorica e vogliamo che lo Stato sia veramente vicino in ogni momento ai suoi più fedeli servitori.
Intanto, leggiamoci cosa scrivono queste donne che hanno avuto un loro caro trucidato da brigatisti di varia estrazione.
Falco Accame
BOX 1
Gli indennizzi ai militari
Ecco il testo della risposta del Consigliere militare del Presidente del Consiglio ad una lettera del comandante Falco Accame:
“Roma, 10/2/04
Gentile Accame, le rispondo per incarico del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, on. Gianni Letta, in relazione alla lettera da lei inviata il 23 gennaio u. s. e riguardante gli indennizzi da corrispondere a militari deceduti durante il periodo di servizio. In proposito le confermo che il problema è all’attenzione, da tempo, del ministero della Difesa che ha già considerato la questione in tutti i suoi aspetti, sostenendo con convinzione l’iter legislativo di un progetto di legge che prevede, tra l’altro, innovazioni migliorative per gli aventi titolo, che amplia, altresì, la portata dei beneficiari e incrementa il quantum dell’indennizzo a favore dei familiari dei deceduti in servizio.
Da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri poi, le confermo che ho provveduto a rendere partecipe della questione gli appositi organi interni affinché possano, se necessario, fornire un contributo per la positiva conclusione dell’iter parlamentare del progetto.
Cordiali saluti. Gen. Tricarico”.
BOX 2
Le disparità “presunte”
Ecco uno stralcio della lettera che il comandante Falco Accame ha inviato al consigliere militare della Presidenza del Consiglio gen. Carlo Tricarico:
“La ringrazio per la sua cortese lettera in data 10/2/2004, con la quale mi informa che il ministero della Difesa ha già considerato da tempo la questione della disparità di indennizzi a militari deceduti (ma bisogna tener conto anche degli infortunati! A volte gli infortunati si trovano in condizioni di completa inabilità al lavoro e creano situazioni drammatiche per i famigliari che ne hanno cura).
Le notizie che lei mi dà mi confortano anche perché l’appunto, proveniente da fonte ministeriale, considera “presunte” le disparità di trattamento che avevo segnalato e che invece ora vengono considerate come ‘reali’. Del resto, tra chi viene a percepire un indennizzo di circa 400 milioni di lire e chi, come capita ad oltre diecimila militari non percepisce una lira dal 1969, la differenza mi pare assai grande e certo non presunta. Si tratta, per coloro che non hanno percepito nemmeno una lira, di un indennizzo di 400 milioni di volte inferiore.
Sono ben lieto di apprendere, in particolare, che da molto tempo è stata concepita una proposta di equivalenza nei trattamenti. Ma oso chiedere: perché, se così stavano le cose, questa proposta non è stata resa nota contemporaneamente alla decisione di stabilire un aumento così radicale per i morti e infortunati di Nassiryia, una decisione che ha causato grande amarezza (mi limito a questa espressione) per gli esclusi? Se l’intenzione era quella di tener conto di tutti, perché non è stato fin da subito stabilito un iter parlamentare? [...]”
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