Due guerre mondiali hanno caratterizzato il secolo che è passato. Il nuovo secolo, il nuovo Millennio, si era aperto con grande ottimismo e con i migliori auspici degli uomini di buona volontà. Avrebbe dovuto essere il tempo della pace e della giustizia sociale, come ha auspicato tante volte a San Pietro papa Wojtyla. E invece questo nostro secolo, senza guerre dichiarate, sta vivendo uno dei periodi più brutti per l’umanità, nonostante le conquiste scientifiche e i progressi tecnologici. Viviamo tutti di più (almeno nel ricco Occidente), ci poniamo problemi di dieta e di vita salubre, ma viviamo nella violenza quotidiana, un elemento che ormai è entrato a far parte stabilmente delle nostre giornate, della nostra coscienza. Non possiamo farne a meno e non riusciamo neppure a negare l’evidenza ai nostri figli. Tutti vedono i telegiornali. A tutti noi, grandi e piccoli (che pure dovrebbero almeno essere un po’ protetti dal bombardamento mediatico quotidiano), arrivano le notizie dei bambini kamikaze, delle uccisioni in guerre lontane, delle bombe sui binari, delle stragi spagnole o americane. Le due Torri che crollano e s’incendiano sono diventate addirittura dei poster. Siamo al paradosso di comprarci le immagini della morte e della violenza.
A volte si ha anche la tentazione di cedere a una qualche “dietrologia”. Si parla di terrorismo internazionale, ma non si capisce ancora bene chi c’è dietro questi atti di devastazione e di violenza senza limiti. Ci si comporta come in guerra e ci siamo abituati a sentire nelle stazioni ferroviarie messaggi a dir poco inconsueti. “Si avvisano i signori viaggiatori che i bagagli lasciati incustoditi saranno sottoposti a controllo di Polizia”. Ci sono già dei piani di emergenza pronti in tutte le città europee. Si stabilscono in anticipo le tipologie dell’intervento e si individuano perfino i possibili punti di raccolta delle salme di eventuali attentati. Viviamo come se suonassero ogni giorno le sirene di allarme dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La tentazione dietrologica scatta proprio nel momento in cui più oscura ci sembra la matrice di questo nuovo male che ci affligge. Viene cioè il sospetto che ci siano centri di poteri, gruppi di persone che abbiano interesse a farci vivere in questo stato di allarme permamente. Invece della guerra “preventiva” teorizzata dal presidente Bush, siamo ormai all’allarme permanente. Questa situazione risulta così molto pericolosa, per vari motivi che si intrecciano. Un rischio di scivolare in una dietrologia senza nomi e cognomi c’é anche per la violenza più banale delle nostre città italiane. Come abbiamo reagito alla notizia della ragazza uccisa a Forcella dalla camorra? Come possiamo digerire lo schifo che ci suscita l’atteggiamento di un bandito che si fa scudo del corpo di una giovane senza colpe? Una volta, almeno come abbiamo visto nei film, perfino la mafia, perfino i gangster facevano riferimento a qualche codice di onore. La loro vita, le loro “attività” economiche erano basate sulla violazione e negazione continua delle leggi dello Stato. Ma c’erano dei codici di riferimento da cui non si poteva sgarrare o quantomeno era molto difficile farlo perché si sarebbe andati incontro alle sanzioni della comunità criminale. L’infamia era punita e non è certo una consolazione o un mettersi la coscienza a posto. Non ci rallegra pensare che gli infami venivano trattati nello stesso modo dei loro atti. Anzi la punizione mafiosa era comunque un’aberrazione, una violazione non tanto delle leggi come regole, ma del patto civile che sta alla base del Diritto e quindi della civiltà. Ora - sia a livello di terrorismo che di criminalità organizzata - tutte le regole sono saltate. L’attentato si basa sull’imprevedibilità, sul “quando meno te lo aspetti”. L’atto mafioso si basa sulla violenza pura senza regole, sulle armi da fuoco e sulla droga che uccide. Chi ha interesse a creare una situazione del genere? C’é qualche legame tra terrorismo e criminalità? Come si può uscire dallo stato di paura e di soggezione? Dobbiamo perderci nei meandri che ci potrebbero portare a un qualche Grande Fratello che muove i fili della violenza?
È difficile dare risposte sensate e non banali a queste domande ed è anche spiacevole fare la moralina inutile. Migliaia di persone sono morte a New York, centinaia a Madrid, la guerra in Iraq ha prodotto e continua a produrre vittime, in terra di Palestina si continua a morire anche a sei anni. Annalisa è morta a Forcella e i suoi organi sono stati donati, così come è morta Matilde Sorrentino, la madre coraggio che combatteva contro i pedofili. È ridicolo e sarebbe di cattivo gusto proporre qualsiasi tipo di pistolotto. Una cosa però ci sentiamo di dirla, citando un famoso sociologo, Zygmunt Bauman, che parla di “noi come spettatori del male”. Il rischio vero di fronte a questa situazione di violenza è che ci si induca a metterci in un angolo, a non reagire di fronte al male o al Nulla che avanza, come ci ha spiegato lo splendito film della “Storia infinita”, favola per bambini, ma soprattutto per adulti che hanno perso la voglia di combattere e di credere in un qualche valore forte, almeno più forte del “dio denaro”. Essere ridotti al lavaggio quotidiano del cervello e alla passività, rischia di consegnarci tutti nelle mani dei violenti e dei terroristi. Bisogna reagire utilizzando tutto il patrimonio di civiltà che abbiamo a disposizione; dobbiamo prenderci le nostre responsabilità quotidiane, ognuno nel suo specifico e nel suo piccolo.
L’unico modo per reagire alla guerra e alla violenza sta nel cercare di istallare nel mondo un altro modo di fare, a tutti i livelli anche ai più difficili. Per combattere il male bisogna estirpare le sue radici, eliminare le ragioni che hanno determinato la “guerra”. Non vuole essere questo un discorso pacifista di maniera, ma un invito alla reazione positiva, umana. Combattere chi violenta e uccide, dando spazio a chi costruisce e pratica nuove forme di solidarietà. Con la mafia si perde quando si è lasciati soli, isolati. Le popolazioni più deboli perdono e saranno schiacciate se lasciate sole al loro destino. Che non hanno scelto, come non ha potuto scegliere Annalisa.
Paolo Andruccioli
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