Scrivo dal profondo Sud, dalla Cenerentola d’Italia, per dire che condivido quanto ho letto sulla rivista su Riccardo Ambrosini, l’“angelo biondo” negli articoli di Buffa, Madricardo, Andruccioli, Fabbri (vecchio carbonaro), Carlotto, Notari e dal sindaco di Venezia Costa.
Costoro hanno riferito con oculatezza ed onestà, sulla personalità di Ambrosini, che ho conosciuto personalmente, rimanendo affascinato anche dalla sua forbita ed elegante eloquenza.
Riccardo era un uomo gentile, poliedrico, umano, democratico e soprattutto dotato di innata semplicità, senso pratico delle cose, pronto a dare una mano a chi ne aveva bisogno.
Lui, come me e come tanti “carbonari” ha lottato lealmente ed onestamente, scevro da interessi personali, col cuore e la mente, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro del poliziotto, per modernizzare una Istituzione arcaica, fuori del tempo, per cui ogni questura era un feudo personale, dove la classe dirigenziale faceva il bello e il cattivo tempo, profittando dell’estremo bisogno che ognuno di noi aveva, in barba all’etica e alla morale, trattando i sottoposti come freddi numeri pitagorici, come robot.
Erano tanti “padri-padroni” che badavano diligentemente a coltivare i loro interessi, la loro carriera, ricorrendo spesso all’antagonismo pernicioso tra dirigenti ed ufficiali, deleterio per la Polizia e per il personale.
Ambrosini, come d’altronde noi “carbonari”, ha lottato forse più di tutti, dimostrando la sua grandezza morale, l’alto senso di giustizia, la sua fermezza contro ogni forma di violenza, affrontando con dignità, con serenità le critiche che a volte gli venivano mosse (vedi caso Dozier) ingiustamente da coloro che avevano i paraocchi.
È stato un alfiere indomito, un pilastro decisivo per giungere alla Riforma della badogliana Polizia; eppure poteva starsene tranquillo perché Ufficiale, poteva “aspettare alla finestra”, come hanno fatto molti suoi colleghi opportunisti, pronti però a raccogliere i frutti. Frutti nati dalle lotte, dalle pene, dalle amarezze di tanti eroi senza aureola, senza medaglia, che prima in silenzio poi palesemente hanno sostenuto la Riforma per il bene del Paese, per una più efficiente Polizia, più vicina alla gente, che potesse garantire sicurezza.
Ricordo altri uomini encomiabili come il “vecchio” Raffuzzi, Fontana, D’Alberto, Miani, Roetto, Caligiuri, Sannino, Annunziata, Giordani, Tortorella, Cicatiello, Fortunato Fedele, Mandia e tanti altri colleghi, impegnati in quella lotta che sembrava immane e di cui sono stati grandi decisivi attori per la vittoria della democrazia.
Rammento anche il perno della Riforma, il generale Felsani, il tenente colonnello Forleo, il capitano Giacobelli, il capitano Margherito, i vice questori Santaniello e Piccolo, i commissari Ennio Di Francesco, Ravenna, Micalizi e tanti altri, di cui mi sfugge il nome, tutti uomini degni e coraggiosi. Tra questi, il grande Franco Fedeli, figura decisiva, con Felsani, per giungere alla Riforma, giornalista e direttore di importanti riviste sulle quali tutti noi esprimevamo i nostri sentimenti, le nostre impressioni, le nostre amarezze. Franco è stato per tutti noi poliziotti, un punto fermo nella vita e nella lotta; uomo onesto, lungimirante, che noi poliziotti di una certa età portiamo nel cuore ed è sempre presente nei pensieri, come insuperabile maestro di vita, virtuoso e intelligente: è stato il faro illuminante, la bandiera di tutti noi idealisti che lottavamo per riacquistare la dignità di uomini e di poliziotti tra la gente.
Purtroppo, oggigiorno si assiste, impotenti, alla sottile avanzata della controriforma, allo stop dei sogni e delle innovazioni, si avverte un ritorno all’oscurantismo in alcune città, per opera di alcuni residui di “falchi neri”, ottusi ed autoritari.
Per fortuna l’odierna Polizia, a dire il vero, molto efficiente e democratica, è diretta da un integerrimo dal carattere forte, capace di frenare i potenti rapaci che ancora vivono in un contesto avulso dal sistema sociale, che tentano di tarpare le ali della Riforma democratica e che forse un giorno, non tanto lontano, riusciranno nel loro sciagurato intento, poiché il loro modus operandi è “divide et impera”.
Anche i tanti sindacatini della Polizia, nati come funghi per categoria, loro malgrado, stanno dando il colpo mortale allo spirito della Riforma a cui si ispirarono quelli che lottarono per conseguirla, poiché, indebolendo la forza d’urto del sindacato, concorrono a coronare il sogno dei “falchi neri”.
I giovani sindacalisti dovrebbero capire che occorre creare una unica struttura sindacale che abbracci tutti, seppure con le differenziazioni ideologiche esistenti.
Questo era il mio sogno.
Così operando si creerebbe una forza sindacale forte, capace di salvare la democrazia e idonea a distruggere i nemici della Riforma.
Giuseppe Origlia
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