Un ricercatore italiano, Diego Verdegiglio, dimostra in un suo libro l’assurdità delle tesi, spesso fantasiose e prive di credibilità, che vorrebbero l’uccisione del presidente Usa, come frutto di un complotto
“Ecco chi ha ucciso John Kennedy” è il titolo di un libro destinato a fare scalpore. Per la prima volta un ricercatore italiano, Diego Verdegiglio, condensa in seicento pagine di un suo saggio interamente dedicato a questo caso tutte le inchieste ufficiali e private finora realizzate sul “delitto del XX secolo”. Il volume è clamoroso ogni oltre previsione. L’autore, con il supporto di un’enorme mole di documenti, ha impiegato tre anni di ricerche negli Stati Uniti e in Italia per ritrovare il bandolo di una matassa intricata da decenni di indagini e investigazioni spesso fantasiose e del tutto prive di credibilità, ma dal forte impatto sull’opinione pubblica. L’autore, (che nel 1997 ha incontrato a Boston il senatore Ted Kennedy) non si è accontentato di scavare nella miriade di carte prodotte da cinque Commissioni ufficiali, ma ha voluto sperimentare di persona l’angolo di mira dalla famosa finestra del Texas School Book Depository a Dallas, ha compiuto per intero il percorso in auto del corteo presidenziale, ha fatto sopralluoghi al Parkland Hospital e alla Centrale di Polizia di Dallas, al Bethesda Naval Hospital del Maryland, a Hyannis Port (residenza dei Kennedy sulla costa atlantica), a Boston, a New Orleans, a Las Vegas, a Miami.
Grazie alla collaborazione del dottor Martino Farneti, direttore della Sezione balistica della Polizia Scientifica-Criminalpol di Roma, ha potuto personalmente sparare in sette secondi su tre bersagli con un’arma del tipo di quella impiegata a Dallas.
Ha inoltre intervistato noti periti balistici, famosi medici legali come Angelo Fiori, Silvio Merli, Giancarlo Umani Ronchi, Antonio Fornari, Pierluigi Baima Bollone e Ugo di Tondo per chiedere pareri sulle ferite e sull’autopsia del Presidente. Il suo scrupolo si è spinto al punto da chiedere opinioni a un chimico nucleare dell’Enea, il dottor Antioco Franco Sedda, per verificare le analisi di attivazione neutronica sui resti dei proiettili recuperati a Dallas, e al dottor Pier Giorgio Natali, oncologo del “Regina Elena” di Roma, sulla leggenda che l’assassino di Oswald, Jack Ruby, sia stato ucciso in carcere con iniezioni di cellule tumorali.
Questa premessa era necessaria affinché l’opera di Verdegiglio non fosse confusa con una delle tante fantasiose ricostruzioni che negli ultimi decenni sono state pubblicate sull’argomento. È infatti con un continuo e inconfutabile riscontro di prove che Verdegiglio dimostra l’assurdità e l’infondatezza degli argomenti, ormai divenuti leggende metropolitane, che più di altri hanno affascinato il pubblico: il proiettile a zig-zag, il secondo attentatore dalla collinetta, la testa del Presidente spinta indietro da un colpo anteriore, il cervello scomparso dopo la falsa autopsia, i testimoni eliminati durante le indagini, la strana uccisione di Oswald da parte di Jack Ruby; i sospetti su Mafia, Cia, Johnson, Fbi, Castro e chi più ne ha più ne metta. Verdegiglio riporta alle reali dimensioni, del tutto deludenti per un pubblico abituato ormai alle gratificanti “menzogne criminali” di Jim Garrison, di Mark Lane o di Oliver Stone, un fatto sì straordinariamente complesso e pervaso da sconcertanti coincidenze, ma completamente privo di quella grandiosa costruzione dietrologico-cospirativa che la nostra logica vorrebbe legare in ogni caso all’assassinio di un grande personaggio come il Presidente americano. La mitologia della congiura nata dopo il delitto di Dallas trova in questo libro una demolizione puntigliosa, suffragata da settecento note ognuna delle quali costituisce di per sé un vasto repertorio bibliografico: lo stile ironico dell’autore smonta una ad una le tesi più assurde e nello stesso tempo più accreditate dalla stampa meno seria, sia negli Stati Uniti che in Italia. “Mi sono accorto - dice l’autore - che la gente rimane incredula e scontenta di fronte al fatto che non sia mai venuta fuori la minima prova di un complotto. Non c’è peggior incredulo di chi si nutre di pregiudizi: lo so perché per oltre vent’anni anch’io sono stato un ferreo complottista... Noi non accettiamo che il caso abbia un ruolo non solo nella nostra esistenza, ma anche in quella di personaggi importanti come J.F.K.”.
Il primo capitolo è dedicato ad una minuziosa cronologia della vita e della presidenza di John Kennedy. Il secondo esamina il costante “senso di morte incombente” che accompagnò il Presidente fino alle sue ultime ore. I presagi di morte violenta furono innumerevoli nella vita di J.F.K., ma egli, con grande fatalismo, non se ne curava molto. Le minacce alla sua incolumità e i tentativi di assassinio furono centinaia fin dalla sua candidatura alla presidenza nel 1960. La protezione totale del capo di un Paese democratico, che trae dal contatto diretto con la gente il supporto al suo potere, è di fatto impossibile. Agli uomini del Servizio segreto, durante quel tragico viaggio in Texas, fu espressamente proibito da Kennedy di circondarlo salendo sui predellini della vettura presidenziale. L’ultimo paragrafo del capitolo è la cronaca drammaticamente avvincente di quella giornata, scritta sulla base di quanto narrano William Manchester e Jim Bishop. Già da sola quella concatenazione di eventi e di situazioni spesso paradossali è una sorpresa per il lettore, non c’è nessun bisogno di aggiungere fantasiosi sospetti cospirativi per cogliere la grandiosa e tragica dimensione di una data che nessuno, fra quelli che l’hanno vissuta, potrà dimenticare.
Il terzo capitolo riguarda le inchieste della Commissione Warren (1964) e dell’Hsca (1978-79), nonché lo spazio dato dalla stampa alle ardite e surreali ipotesi di congiura elaborate da Mark Lane, che l’autore ha incontrato nel 1992, e da un messianico procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison. Verdegiglio non manca di sottolineare la straordinaria somiglianza tra il processo intentato da Garrison contro Clay Shaw, il supposto “cervello” della cospirazione contro Kennedy, e il processo ad Enzo Tortora in Italia. In tutt’e due i casi gli incriminati furono assolti, ma morirono di cancro qualche anno dopo. Nonostante ciò, il folle procuratore di New Orleans fu interpretato come eroe positivo sullo schermo da un affascinante Kevin Costner nel film “J.F.K.” di Oliver Stone, al quale Verdegiglio dedica il quarto capitolo della sua opera per dimostrarne la malafede, il pregiudizio, la mancanza totale di scrupoli verso la prevedibile credulità del grande pubblico. Stone, che Verdegiglio ha incontrato nell’estate del 2001, è definito un “criminale della Storia”: il suo film, cinematograficamente ineccepibile, è descritto come un insulto alla verità, all’onestà, alla morale. La sua tesi, secondo cui il Pentagono e la Cia abbiano ucciso Kennedy perché intendeva ritirare le truppe dal Vietnam, sarebbe completamente priva di fondamento. Verdegiglio, in base ai numerosi documenti citati, dimostra infatti che nella politica di Kennedy sul Vietnam (compreso l’aumento dei militari americani nel sud-est asiatico e il suo tacito assenso all’assassinio del Presidente sudvietnamita Diem) vi erano tutti i presupposti per un incremento del conflitto anticomunista: l’idea kennedyana di ritirarsi dal Vietnam solo nel 1965 era secondo l’autore il classico “conto senza l’oste”. Kennedy si sarebbe trovato invischiato in Asia esattamente come successe in seguito a Lyndon Johnson. Del resto, i vari Bundy e McNamara furono i consiglieri di entrambi i Presidenti.
Il quinto capitolo Verdegiglio lo dedica interamente a quella che definisce “la fabbrica delle menzogne”, ossia la manipolazione dell’informazione giornalistica. Accanto ai molti esempi di falsità e distorsioni sul caso Kennedy, egli stesso costruisce a mo’ di esempio un gustoso falso scoop, basato tuttavia su fonti ineccepibili, dal titolo “La Cia ha ucciso papa Giovanni XXIII!”.
Il sesto capitolo, certamente destinato a suscitare aspre polemiche, demolisce pagina per pagina le inchieste svolte da uno dei giornalisti italiani che in questi anni si sono maggiormente occupati del delitto di Dallas: Gianni Bisiach. Verdegiglio è il primo autore a “fare le pulci” al noto giornalista radiotelevisivo e ne segnala inesattezze, omissioni, contraddizioni, false ricostruzioni. L’ultimo capitolo è un’analisi riassuntiva delle sue ricerche e delle sue conclusioni: Oswald ha agito di sua iniziativa ed è lui l’unico assassino di Kennedy. Non c’è stato complotto, se si intende con tale termine la volontà organizzata e finalizzata all’attentato di un gruppo di persone ostili al Presidente. Verdegiglio ammette invece che Oswald, psicopatico votato a un gesto criminale di autoaffermazione, possa essere stato influenzato dai suoi contatti a Dallas e a New Orleans con gli anticastristi appoggiati dalla Cia e dai petrolieri, i quali potevano aver avuto sentore delle intenzioni del giovane ex-marine di compiere un gesto clamoroso. Giovava forse ad essi un Presidente come Johnson piuttosto che Kennedy? I fatti successivi dimostrarono che, se così fossero andate le cose, puntare su Johnson sarebbe stato un errore: il nuovo Presidente non solo non invase Cuba, ma congelò completamente la “questione Castro”. Lo studio dei movimenti e delle intenzioni del cinquantaduenne Jack Ruby, che uccise Oswald nella bolgia della Centrale di Polizia di Dallas due giorni dopo la cattura, non ha rivelato a Verdegiglio, anche qui, altro che una psicopatia latente scatenata dall’attentato, l’azione di un folle (yankee di Chicago, ebreo, scapolo in odore di omosessualità e tenutario di locali di strip-tease nella Dallas molto razzista e puritana del 1963) in cerca di un gesto eroico da giustiziere, di un impossibile riscatto sociale, forse influenzato dai dialoghi avuti in quei due giorni con i suoi amici della Polizia di Dallas. L’autore cita spesso lo scrittore americano Don De Lillo, che con rara potenza narrativa ha tratteggiato nel suo romanzo-verità “Libra” (Pironti Editore, Napoli, 1988) le figure di Lee Harvey Oswald e di Jack Ruby, immaginando di scavare (basandosi su documentazioni autentiche relative ai due uomini, nelle loro anime e nei loro pensieri più nascosti). L’ultima parte del volume riporta le appendici di giornalismo, criminologia, balistica e medicina legale. In bibliografia sono elencate un migliaio di opere sull’argomento “Kennedy”. Completano l’opera 162 fotografie fuori testo, fra le quali, per la prima volta in un libro italiano, quelle sconvolgenti scattate al cadavere di Kennedy durante l’autopsia. Diego Verdegiglio conclude immaginando che la sua ricerca, pur abbastanza completa e basata su prove inconfutabili, troverà certamente increduli i molti malati di “complottite” italiani.
Per l’acquisto del volume, ci si può rivolgere all’autore: dv52@libero.it
E. G.
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