Questo il dato sconsolante fornito dall’apposita agenzia delle Nazioni Unite. Sembrerebbe che nessuno Stato è immune da questo triste fenomeno. La situazione in Italia
La storia si ripete, uguale a se stessa, dal tempo dei tempi. In molti non arrivano nemmeno al metro di altezza eppure sono già presi negli ingranaggi dello sfruttamento. Oggi nel mondo un bambino su sei è vittima del lavoro minorile ed è costretto a svolgere mansioni che mettono a repentaglio la sua crescita mentale e spesso anche quella fisica.
Secondo il rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite, Oil (International Labour Organization), oltre otto milioni di minori sono ridotti in schiavitù e se si pensa ai piccoli costretti a lavorare tra i 5 e i 17 anni, si raggiunge l’agghiacciante cifra di 246 milioni.
Questa emergenza è esplosa dirompente e a pieno titolo proprio in occasione dell’ultimo World Social Forum che ha avuto luogo a gennaio, nella città di Mumbay, in India e ha visto associazioni e sindacati marciare compatti in difesa dei più piccoli.
Per la prima volta nella storia del Forum Sociale Mondiale i bambini e gli adolescenti sono stati riconosciuti come legittimi portatori di diritti civili e politici e sono stati accolti come membri attivi nel dibattito sulla tutela dei minori.
I bambini hanno elaborato domande e discusso di problemi che investono profondamente la loro vita quotidiana come la globalizzazione, l’accesso alle cure mediche e il fondo di previdenza.
Senza reticenze né esitazioni, uno tra i tanti piccoli che ha già alle spalle anni di lavoro ha domandato ai ‘grandi’: “ Alcuni bambini sono del tutto soli, alcuni hanno solo un genitore, altri sono per strada. Cosa dovrebbero fare se non cadere nelle braccia degli aguzzini?” Nessun adulto ha saputo rispondere.
Numerosi seminari di discussione si sono tenuti durante il Social Forum che ha ospitato visitatori e delegati da tutto il mondo. Durante un laboratorio sulla partecipazione dell’infanzia, Manjula, una giovane indiana ha detto: “La globalizzazione e il libero mercato hanno un impatto diretto su di noi. A causa di questi fattori i nostri genitori perdono il lavoro e diventa così inevitabile che più bambini ricorrano al lavoro. Per questo noi rifiutiamo queste politiche”.
Nell’ambito del Forum mondiale, La Global March, Mani Tese e Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato il Congresso Mondiale di ex bambini lavoratori, sullo sfruttamento minorile che culminerà con una ‘marcia dei bambini’ a Firenze, il 13 maggio.
“Il Congresso è stato un momento senza precedenti per far sentire la voce dei bambini - ha detto Mariarosa Cutillo di Mani Tese, che ha aggiunto - È possibile uscire dallo sfruttamento con l’impegno della comunità internazionale e della società civile. I ragazzi presenti a Mumbay hanno alle spalle esperienze atroci, ma grazie all’intervento della Global March (dal 1998 in campo contro lo sfruttamento minorile) ora sono dei veri e propri portavoce e testimoni di un cambiamento possibile”.
Premessa di tutto questo ciclo di incontri era stata un’importante iniziativa organizzata dall’Oil che il 12 giugno del 2002 ha istituito l’annuale Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Questa organizzazione si batte dal 1919 per ridurre la povertà e permettere all’uomo di lavorare non solo per il sostentamento ma anche per assicurarsi una protezione sociale e giuridica. In questo impegno profuso negli anni si inserisce la lotta contro il martirio di questi bambini affinché la tratta dei minori non resti una questione isolata, ma venga fronteggiata attraverso lo sviluppo economico e sociale dei paesi maggiormente colpiti dalla piaga dello sfruttamento.
Purtroppo oggi nessuno Stato è immune dal problema della mercificazione dei minori come manodopera o schiavitù del sesso a pagamento.
I piccoli vengono risucchiati nelle spire dello sfruttamento da adulti a loro vicini o spesso da bande che assoldano ragazzini indigenti, costretti a guadagnarsi qualcosa per vivere. Questa possibilità di forza lavoro a costo zero incrementa la rapacità dei trafficanti di bambini che spostano i minori da un luogo all’altro con l’uso della forza o attraverso vili sotterfugi e, nonostante questa tratta sia considerata come un crimine dal diritto internazionale, ancora poco si è fatto per arginarla, tanto che il suo dilagare sembra inarrestabile.
Sarebbero ben 1,2 milioni i ragazzini vittime del traffico. Secondo i dati disponibili, le zone più colpite sono ad oggi l’Asia del sud e l’Est asiatico, l’Africa e l’Europa Orientale. Il fenomeno comincia tuttavia a radicarsi anche nelle Americhe e nei Caraibi.
Ma a questo punto, se tale minaccia sembra ormai sotto gli occhi di tutti, chi sono i manovratori di questa danza macabra? Tra il luogo di partenza e quello di destinazione sono molti gli attori coinvolti: le famiglie, le comunità di origine, i reclutatori, gli intermediari, i trasportatori, i funzionari corrotti che chiudono un occhio (se non due), i datori di lavoro e i clienti stessi.
Il traffico di minori nasce dalla richiesta di manodopera docile e facile da ingannare, facilmente costringibile a lunghi orari di lavoro e ‘remunerata’ con poco cibo e condizioni igieniche raccapriccianti.
I ragazzini sono costretti a lavorare in vari settori dell’industria, nell’agricoltura e nella caccia (70%), dove sono esposti al rischio del contatto con prodotti chimici e macchinari pericolosi. In molti vengono armati fino ai denti e sbattuti a combattere (300 mila) o anche privati di abiti e decenza e costretti all’accattonaggio.
Altri bambini sono utilizzati come ambulanti o fattorini (8%) quando non gli tocca in sorte la peggiore delle possibilità: la prostituzione (8,4%).
Monsignor Piero Monni, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione mondiale del turismo, denuncia: “Nel nostro vulnerabile Pianeta, ogni anno un milione di bambini è sfruttato con finalità sessuali e pornografiche, barattati o venduti come schiavi, per rispondere alla domanda crescente di instancabili predatori di innocenti: i pedofili, sempre più presenti nel vasto mondo del turismo sessuale”. Secondo i dati di Monni, l’Italia e la Germania avrebbero un triste primato: la maglia nera del turismo sessuale. I nostri connazionali e i tedeschi sarebbero i più attivi in questo campo, abbassando l’età dei ‘praticanti’ ai 30 - 40 anni.
Fanno sponda a questa violazione dell’infanzia l’omertà, l’indifferenza e l’illusione che questa realtà sia distante dalle nostre mura domestiche. Infatti non è così, tanto che il Belpaese annovera tra i piccoli schiavi migliaia di bambini.
In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, Juan Somavia, direttore generale dell’Oil affermava: “Il nostro obiettivo è di mobilitare tutte le nostre energie fisiche e mentali per mettere fine a questa pratica criminale che è il traffico di minori”. L’appello alla società civile è chiaro e mirato come anche la richiesta di aiuto che Somavia presenta ancora oggi alle istituzioni: “Chiediamo ai governi e alle parti sociali che si impegnino di più”.
Nell’apparentemente insondabile galassia dello sfruttamento la produzione del cacao, per esempio, recluta migliaia di piccoli lavoratori. Questi bambini ignorano completamente le delizie di questo prodotto che fa impazzire grandi e piccoli ma conoscono bene la croce della sua produzione. Molte aziende produttrici fingono di non sapere quali piccole mani siano artefici delle loro fortune, trincerandosi dietro l’asserzione che quel dolce oro nero non lo producono ma l’acquistano in Borsa.
Pippo Costella, direttore del programma Save the Children, smonta pezzo per pezzo questo muro di gomma, dicendo: “La verità è che una grande fetta del mercato mondiale di cacao è gestita da poche multinazionali che fingono di ignorare le problematiche che sottendono a questo prodotto”.
I bambini obbligati a lavorare nelle piantagioni sono portati via a forza dalle loro famiglie e costretti a lavorare per più di 12 ore. Solo pochi riescono a fuggire ai loro carcerieri ma le torture che spettano loro, se ritrovati, sono indicibili. Ad alcuni viene incisa la pianta del piede, così che l’infezione causata dalle precarie condizioni igieniche si diffonda a tal punto da impedire loro di camminare.
La necessità di salvare questi minori cui è stato negato il diritto di essere bambini e la tutela della loro dignità è un argomento spinoso e quanto mai dibattuto in ogni parte del Pianeta. Da Genova, in occasione della Conferenza internazionale Children and the Mediterranean, tenutasi il 7 gennaio, arrivano le parole del presidente Carlo Azeglio Ciampi: “ Dobbiamo accrescere la consapevolezza della centralità della tutela dei minori per contrastare i gravissimi fenomeni di abuso presenti nelle società più povere, dove la pratica dello sfruttamento è consuetudine di vita”.
Nei tre giorni di dibattiti serrati, in un porto di Genova blindato fino all’inverosimile per il timore di attentati terroristici, è stata presentata la prima “mappa del bambino mediterraneo”, risultato del lavoro di quindici Centri studi sulle condizioni di vita e di crescita dei piccoli abitanti di questo spicchio di mondo, curata da Lynkeus e dal Censis.
Durante i lavori della conferenza, tenutasi a bordo della nave Mistral, anche il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha preso la parola: “Abbiamo protocolli e convenzioni sui diritti dei bambini contro gli abusi, lo sfruttamento, il traffico e la guerra. Ma non abbiamo ancora un impegno politico specifico che consenta di risolvere i problemi della vita quotidiana”.
Così a colpi di parole i ‘grandi’ della Terra non riescono a trovare mezzi soddisfacenti per dare risposte ai piccoli e aiuti reali che li sottraggano alla morsa dello sfruttamento.
Intanto tra stime e valutazioni sciorinate senza indugio, il futuro appare veramente fosco e neppure i dossier della Santa Sede fanno più affidamento sulla ‘divina provvidenza’. Se la società civile non si mobilita c’è ben poco da sperare. Il Vaticano denuncia: “50mila euro per comprare un neonato e 30mila per un fegato, per un totale di un giro di affari annuo di 1,2 miliardi di dollari”. Il listino prezzi della compravendita dei bambini, contenuto nell’indagine dell’agenzia Fides, del dicastero vaticano per le missioni, fa davvero venire i brividi.
A settembre scorso suscitò un certo scalpore la storia di un bambino di Durazzo, dell’età di tre anni, venduto nel 1999 ad una coppia senza figli per dieci milioni di lire e un televisore. In quel caso il piccolo fu più fortunato di molti suoi coeatanei, ebbe cure e affetto dai genitori acquisiti, o per meglio dire che lo avevano acquistato, ma la storia è un caso isolato e ben terribili odissee aspettano i bambini accalappiati nelle reti dei ‘traghettatori’ di minori.
Nonostante si pensi che la mercificazione dei bambini sia appannaggio dei paesi le cui economie sono meno sviluppate, questa convinzione è errata perché in Europa 5 milioni di bambini sono sfruttati e in Italia sono ben 30mila (tra 7 e 14 anni). Pensate che in Albania vengono venduti e spediti nel nostro Paese, come pacchi postali, qualcosa come 8mila ragazzini e in 3mila finiscono a mendicare nelle nostre strade.
La tratta delle bambine albanesi ha poi un mercato assai ampio: comprarne una - dice Marina Acconci della Fondazione Festival - “costa tra i 200 e i 500 euro” e rende allo sfruttatore circa 30 - 60 dollari al giorno.
Nel 2002 un rapporto di Terres des hommes, associazione non governativa internazionale, parlò di un censimento dai risultati inquietanti: più di 6mila piccoli schiavi sono stati strappati alle loro famiglie, nelle campagne dell’Albania e smistati tra Italia e Grecia.
La tecnica, purtroppo, è ormai molto semplice e consolidata. Era l’ottobre scorso quando due coniugi albanesi, Ramis e Xhulijeta Petalli, furono arrestati con l’accusa di traffico di minori. Nel giro di pochi mesi organizzarono un andirivieni ininterrotto di bambini dai Balcani, destinati a raggiungere le nostre città. I due fingevano di volta in volta, con l’aiuto di documenti falsi, di portare con loro, dall’altra sponda dell’Adriatico i loro figli. Con tale macchinazione condussero in Italia ben 66 bambini.
Nel nostro Paese sono 400mila i minori utilizzati illegalmente come adulti, di cui 350mila italiani e 50mila migranti. Certo, non sono note storie strazianti come quella del piccolo pachistano, Iqbal Masih, ucciso dalla mafia dei tappeti però il dramma esiste e non è neppure marginale. Semmai di marginale si possa parlare quando si tratta di sfruttamento minorile.
In Italia si è constatato che una spia dell’inserimento dei minori nel mondo dello sfruttamento è la mortalità scolastica. In molti casi infatti, l’abbandono degli studi avviene quando le famiglie chiedono il contributo dei loro figli al mantenimento della casa e, sebbene inaspettato, questo indice cresce nel ricco Nord-Est.
Tant’è che la percentuale dei bambini che hanno lavorato in età precoce è massima nel Nord-Est (19,4%) e minima al Centro (9,6%), come affermato da un’indagine Istat del 2000. Infatti, come spiega la ricerca, “In certe zone del Paese la competizione fra scuola e lavoro inizia molto presto. Così dove le occasioni di impiego sono maggiori, i ragazzini finiscono per avere un contatto precoce con il mondo del lavoro che spesso diventa più attraente rispetto alla scuola”.
Così, un vero e proprio esercito di bambini è al lavoro nelle nostre città, ma non li vediamo o prestiamo loro poca attenzione perché relegati agli angoli delle nostre strade o rinchiusi per ore in fabbriche e cantieri. Alle volte li incontriamo sui convogli ferroviari o nei vagoni del metrò mentre chiedono l’elemosina ai viaggiatori. Ormai la presenza di piccoli reclutati per l’accattonaggio dilaga ognidove e a tal proposito, Raffaella Calabrese, dirigente dell’ufficio della Criminalpol, preposto a coordinare la lotta al traffico di essere umani e allo sfruttamento della prostituzione dice: “ Il fenomeno rappresenta il segno che il traffico dei minori è in aumento”. Combattere la tratta dei minori è infatti estremamente difficile perché molto spesso le piccole vittime – come afferma Calabrese – “Vivono nel terrore”, trincerati dietro l’assoluto silenzio.
Questi protagonisti involontari di infanzie brutalizzate, tradite, non somigliano affatto ai nostri vezzeggiati teenagers, ma sono dei piccoli disperati che tentano la via del lavoro come unica possibilità di sopravvivenza.
Le storie sono tante e le voci dall’inferno dello sfruttamento quotidiano sono davvero numerose, flebili ma martellanti. Già a dieci anni molti di loro non hanno nient’altro in testa che il lavoro e pur di assicurarsi un’esistenza migliore sono pronti a rischiare il tutto per tutto. Sfidano il gelo della notte e le onde dell’Adriatico pur di giungere in una terra che vedono attraverso il caleidoscopio della televisione, che rende tutto bello e straordinariamente ricco. Ma qui non c’è il paradiso e se ne rendono conto subito.
Era di qualche tempo fa la storia di un giovane albanese, Enver, che aveva tentato la sorte imbarcandosi su una carretta del mare per giungere in Italia, con la speranza di trovare un lavoro e una fidanzata, come il suo amico Alia. Nella nostra Penisola non trova possibilità: i minori ‘non accompagnati’ vengono rispediti a casa. Mentre i sogni si infrangono e lui attende di essere rimpatriato, gli propongono di fare un po’ di tutto: prostituirsi, lavare i piatti gratuitamente, lavorare in un cantiere con la sola speranza di ottenere qualcosa da mangiare.
Ma le pene per chi riduce un bambino in queste condizioni quali sono? E i pattugliamenti riescono a scoraggiare la tratta dei minori? Non sembrerebbe.
Secondo la legge italiana, chiunque eserciti su una persona un diritto di proprietà, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali, all’accattonaggio o a mansioni che ne comportino lo sfruttamento, rischia da 8 a 20 anni di prigione e se gli aguzzini commettono tali reati ai danni di minori la pena è aumentata da un terzo alla metà. Per non parlare dell’ulteriore aggravante legata allo sfruttamento da parte di un genitore o un parente.
Queste pene però, sembrano non far paura a nessuno e l’assoggettazione dei bambini prosegue, implacabile.
Nel nostro Sud le storie di miseria e costrizione dei minori sono di ordinaria amministrazione e tra i bambini-uomini c’è la consapevolezza che per sfuggire alle tentazioni della malavita bisogna impegnarsi e lavorare, anche se il primo passo nel mondo del lavoro viene fatto a sei anni, lavorando in nero, sottopagati, anche disertando la scuola.
Una di queste esperienze viene da Gela, la città che viene detta “la più brutta d’Italia”, un mostro petrol-chimico in definitiva decadenza, una città grigia che muore. Con sé tenta di portare anche i giovani che senza lavoro e speranze per il futuro rischiano di rispondere al richiamo ammaliatore della malavita e dei suoi ‘facili’ guadagni.
In molti fortunatamente dicono “no” alle bande che cercano di agguantarli e sfuggono loro, andando a cercar di che sopravvivere nei campi. Come Leo, un ragazzino di quattordici anni che pur di aiutare la famiglia, indigente e disgregata, passa ore chino sui campi di pomodori dove riesce a guadagnare appena 2 euro l’ora.
Al di là delle piattaforme programmatiche sulla lotta allo sfruttamento minorile, il più grande insegnamento viene proprio dai tanti bambini che con la fierezza dei loro pochi anni e la testarda capacità di sognare un futuro migliore, non piegano la testa di fronte a illeciti guadagni offerti dai giochi sporchi della malavita. La storia di Giannino ne è testimonianza.
Gianni, detto Giannino, lavora in un caffè di Napoli per pochi euro la settimana ma la sfida con il suo futuro l’ha già ingaggiata e non ci sta a uscirne perdente.
È sfuggito alle facili promesse delle bande napoletane e ha risposto alla povertà, rimboccandosi le maniche. Sul braccio ha tatuato il volto del Che, che per molti giovani partenopei è semplicemente il tatoo di Maradona ma lui no, lui la sa lunga. Sa che “ Che Guevara era un rivoluzionario che non è nato a Cuba però ci ha fatto la rivoluzione. – E dice, dall’alto dei suoi pochi anni - Mi piace Che Guevara, mi piace lui e tutti coloro che combattono contro le ingiustizie”.
Le cifre del dramma dei bambini nel mondo
- 250 milioni i bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni che lavorano, di questi circa 120 milioni lavorano a tempo pieno;
- 180 milioni i bambini schiavi
- 150 milioni i bambini denutriti nel mondo
- 120 milioni i bambini che non vanno a scuola
- 100 milioni gli adolescenti che vivono in strada
- 1.200.000 i bambini coinvolti nella tratta dei minori
- 300.000 i minori arruolati con la forza in Corpi militari
In termini assoluti, l’Asia è la regione con la percentuale più alta di bambini lavoratori, pari al 61% del totale mondiale, seguita dall’Africa (32%) e dall’America Latina (7%).
Nell’Africa Subsahariana lavora il 41% dei bambini; in Asia e in America Latina lavora il 21% circa dei bambini.
Dei bambini di tutto il mondo che non frequentano la scuola, il 14-17% lavora 49 ore o più la settimana e l’11-13% lavora più di 56 ore la settimana. Il lavoro dei bambini molto piccoli costituisce un problema particolarmente allarmante. I dati dell’Oil mostrano che, in alcune aree, fino al 20% dei bambini economicamente attivi hanno meno di dieci anni.
Le Convenzioni sul lavoro minorile
La Convenzione 138 sull’età minima per l’accesso al lavoro, accompagnata dalla relativa Raccomandazione 146, è il documento fondamentale dell’Oil in materia di lavoro dei minori. La Convenzione 138 stabilisce che l’età minima per l’accesso al lavoro dei più giovani debba coincidere con quella del loro pieno sviluppo fisico e intellettuale. Per questo non può essere inferiore all’età in cui si terminano gli studi dell’obbligo scolastico e in ogni caso non può essere inferiore ai 15 anni. Solo i paesi in via di sviluppo possono inizialmente - e in via transitoria - fissarla sotto questa soglia, e comunque non prima dei 14 anni.
La Convenzione 182 sulle forme peggiori di sfruttamento infantile - adottata nel giugno 1999 ed entrata in vigore come norma internazionale il 19 novembre 2000 - accompagnata dalla relativa Raccomandazione 190, stimola alla costruzione e applicazione di strumenti di intervento nazionali per affrontare le forme estreme, ma in diffusione, di sfruttamento dei minori, e definisce per la prima volta la soglia delle “forme peggiori”:
- tutte le forme di schiavitù e di asservimento, la tratta e la vendita, il lavoro forzato e obbligatorio, il reclutamento dei bambini per i conflitti armati;
- l’impiego, l’ingaggio o l’offerta di minori per la prostituzione e per la produzione di materiale o di spettacoli pornografici, per attività illegali e in particolare per la produzione e il traffico di stupefacenti;
- qualunque lavoro che metta a rischio la salute, la sicurezza o la moralità dei minori, esponendoli ad abusi fisici, psicologici o sessuali, a condizioni ambientali difficili, ad orari prolungati o notturni, all’uso di tecnologie, di macchine e di sostanze pericolose.
Le testimonianze di bambini sfruttati
Mi chiamo Umadevi, ho 12 anni e sono andata a scuola fino a 8, poi ho dovuto lasciare la scuola per andare a lavorare in una piccola fabbrica dove si confezionano verdure; quadagno 10 rupie (20 centesimi di euro) al giorno e lavoro dalle 7 del mattino fino a quasi le 7 di sera. Do tutti i soldi che guadagno alla mamma. Ho dovuto andare a lavorare perché mia madre è sola, mio padre ci ha abbandonato: siamo venuti qui dalle campagne e la vita nei sobborghi di Madurai non è certo facile. Viviamo con un’altra famiglia in una sola stanza. Il lavoro che faccio è meccanico: continuo a impacchettare per tutto il giorno, per fortuna ci sono anche altre bambine e donne che sono gentili con noi. Mi piacerebbe ritornare a scuola e diventare un medico da grande...
* * *
Mi chiamo Kahanan e ho 13 anni. Lavoro dalla mattina presto alla sera alle 19 in una fabbrica di scarpe, dove inchiodo e incollo le suole e le tomaie. Il lavoro è pesante perché dobbiamo preparare molte scarpe e spesso ci facciamo male con gli attrezzi. Sono andato alla scuola primaria per due anni e mezzo; poi ho dovuto lasciare perché i miei genitori non avevano abbastanza soldi per mantenere a scuola me e i miei fratellini. Ora vanno a scuola solo i miei due fratelli più piccoli e con il mio salario aiuto i miei genitori a mandarli a scuola, anche se desiderei ritornarci anch’io. Il mio papà ha una piccola rivendita di Tea, ma è alcolizzato, quindi spende tutti i suoi guadagni per l’alcool: in casa rimane solamente quanto guadagniamo io e la mamma...
* * *
Il mio nome è Manimegalai. All’età di 11 anni ho iniziato a lavorare in un laboratorio tessile. Lavoravo 8 ore tutti i giorni e guadagnavo solo 20 rupie al giorno (40 centesimi di euro). Il mio compito era quello di camminare ininterrottamente avanti e indietro per controllare che i fili venissero avvolti correttamente sulle bobine, così tutti i giorni facevo fino a 30-35 chilometri. Il più delle volte dovevo restare in laboratorio fino a tarda notte, perché al di là delle mansioni dovevo servire i capi, i supervisori e lo staff. Spesso avevo febbre, tosse e mal di stomaco. Nel laboratorio non potevo parlare con nessuno. Se non lavoravo rapidamente venivo picchiata. Se un giorno restavo a casa perché ero malata o per qualche altra circostanza inevitabile, il giorno dopo il mio capo mi costringeva a rimanere in piedi sotto il sole cocente per un’ora. È difficile spiegare a parole le sofferenze che ho subito, ma non avevo altra scelta: per sfamare me e le mie sorelle mia mamma aveva contratto un debito di 3000 rupie (59 euro), e io ero costretta a lavorare per ripagare questa somma...
|