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febbraio/2004 - Editoriale
L’economia costretta a delinquere
di Paolo Andruccioli

Il caso Parmalat ha complicato le cose. In Italia, prima del crack del latte, c’era stato già il caso Cirio, ma anche i casi dei bond argentini e di certi prodotti finanziari che erano stati spacciati come innovativi e redditizi e che invece si sono palesati come vere proprie truffe. Crisi industriali di grandi gruppi e crisi finanziarie si sommano e mettono in una luce fosca la situazione generale del sistema economico italiano.
Il nostro Paese non si sente certo solo, perché gli scandali finanziari sono diventati – purtroppo – un motivo ricorrente in tutti i paesi più avanzati. Succede ed è successo negli Usa, succede in Inghilterra e altrove. Ma in questo caso mal comune non è affatto mezzo gaudio. Il tema, poi, sembra interessare solo i risparmiatori e dunque una cerchia ristretta di persone. In realtà il caso Parmalat e altri simili hanno fatto venire a galla problemi generali che riguardano tutti. Tutti i sistemi economici avanzati sono scossi da quello che sta succedendo.
Per questo abbiamo fatto una scelta abbastanza anomala per la nostra rivista, quella di mettere in copertina una storia economica e finanziaria. E’ una scelta apparentemente strana per una rivista che si occupa di problemi di Polizia, di ordine pubblico e criminalità. Ma è anche una scelta motivata proprio dall’intreccio delle questioni sul tappeto. I problemi economici e finanziari si legano infatti oggi strettamente alle questioni della legalità, del rispetto delle regole – non solo di quelle etiche – e soprattutto delle leggi e dei codici penali.
Con il caso Parmalat e con Cirio e ora anche con lo scandalo delle squadre di calcio vengono alla luce comportamenti che pensavamo superati o relegati nel limbo delle società del malaffare. Abbiamo scelto di sottolineare quello che sta succedendo anche se siamo coscienti che quando leggerete questo numero della rivista molta altra acqua sarà passata sotto i ponti e molti altri reati verranno alla luce.
Quando abbiamo chiuso il numero di febbraio cominciavano per esempio a comparire sui giornali le prime notizie riguardanti i dirigenti di varie banche su cui i magistrati stanno indagando. Dopo i responsabili diretti di Parmalat, è toccato alle società di revisione e consulenza e poi ai dirigenti di alcune banche.
Con le storie degli scandali finanziari sono cioè diventati di pubblico dominio gli intrecci perversi messi in atto per fare soldi sulle spalle di altri in modo scorretto e spesso criminale. Come negli Usa sono emersi veri e propri reati nei comportamenti di prestigiosi manager, così in Italia stanno venendo alla luce casi di reati economici ricorrenti: falso in bilancio, false comunicazioni sociali e ora perfino riciclaggio di denaro sporco.
Sono meccanismi perversi che spingono verso il crimine dirigenti industriali e responsabili finanziari che non trovano – secondo le loro ricostruzioni – altri modi per combattere la gara della competizione normale. Se per giocare la gara della globalizzazione siamo costretti al reato, vuol dire però che siamo davvero arrivati a un punto limite. Alla frutta.
Bisogna quindi mettere un punto al più presto e cercare di riordinare tutti gli elementi della scena. In Italia la prima reazione delle istituzioni, a partire dal governo, è stata quella di intervenire sul sistema dei controlli e delle regole. In particolare è stato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a indirizzare da subito l’attenzione sulle carenze del sistema dei controlli sulle attività finanziarie. L’attacco è stato rivolto contro il governatore di Banca d’Italia, Antonio Fazio e contro le banche, o meglio contro un gruppo di banchieri.
La magistratura intanto indagava per proprio conto. A livello politico il ministro Tremonti ha spinto per dare una risposta forte alla crisi finanziaria che è scaturita dai caso Parmalat. L’interesse principale del Ministro era quello di tranquillizzare i risparmiatori, ma soprattutto i grossi investitori e i mercati finanziari.
Lo sforzo principale del governo italiano è stato quello di mandare un messaggio chiaro a tutto il mondo: guardate che il caso Parmalat è isolato, non si ripeterà e che ora rimetteremo a posto tutto con un nuovo efficiente sistema di controllo dei mercati finanziari. Il Parlamento, da parte sua, ha avviato una Commissione di indagine bicamerale (Camera e Senato insieme) per cercare di ricostruire i veri punti di crisi del sistema finanziario e creditizio italiano. Anche in questo caso sono emersi i problemi dei controlli e dei controllori, anche se in molte audizioni sono emersi anche altri elementi riguardanti direttamente le aziende.
Se analizziamo lo schema del disegno di legge varato da Palazzo Chigi e che ora sarà sottoposto al dibattito parlamentare, insieme ai documenti della Commissione bicamerale ci accorgiamo però di un limite generale in tutta l’impostazione. Nel disegno di legge del ministro Tremonti, emendato poi in alcune parti da altri esponenti di spicco della maggioranza di governo, quasi non si fa cenno a uno dei problemi centrali che sta alla base di tutti i recenti scandali.
Ci riferiamo alla questione del falso in bilancio e dei reati connessi direttamente al diritto societario. Sembra strano ma nonostante le evidenze, ci siamo già dimenticati l’origine della storia Parmalat, ma anche di quella Cirio e Cragnotti. Nei due casi, come in molte altre storie straniere, all’origine di tutti i comportamenti scorretti seguenti ci sono i reati delle aziende.
Noi abbiamo voluto semplicemente ricordare queste cose cercando di non tralasciare elementi decisivi per capire il presente. Bisogna rimettere in piedi un buon sistema di regole e di vigilanza su tutti i comportamenti dei soggetti economici. Ma bisogna forse soprattutto ripensare alcuni recenti indirizzi legislativi che hanno privilegiato la depenalizzazione di reati che a quanto pare sono invece ricorrenti.
Paolo Andruccioli

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