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gennaio/2004 - Interviste
Contributi
Li Causi: il caso è aperto
di Falco Accame

Chi ha ucciso nel novembre 1993 in Somalia il maresciallo Li Causi e perché è stata impedita la relativa inchiesta? E perché è stato archiviato un caso che poteva portare luce sulla vicenda dell’uccisione della giornalista Alpi e dell’operatore Hrovatin? I ministri della Giustizia Flick e Diliberto negarono, a suo tempo, l’autorizzazione a procedere nella ricerca dell’assassino del maresciallo Li Causi. E sarebbe stato certamente importante interrogarlo per il contributo che poteva dare alla verità circa l’assassinio dei giornalisti italiani. Può darsi che le due vicende si intreccino tra loro perché è proprio dal maresciallo Li Causi che Ilaria Alpi aveva ricevuto delle informazioni, forse determinanti. È auspicabile quindi che venga concessa sollecitamente l’autorizzazione alle indagini su questo caso.
C’è da augurarsi che il divieto a procedere non sia legato ad incarichi che ha rivestito il maresciallo Li Causi: egli aveva fatto parte degli Ossi, gli Operatori speciali dei Servizi Segreti che operavano armati e che una sentenza del dicembre ’97 della II Corte d’Assise di Roma ha dichiarato eversivi dell’ordine costituzionale perché si trattava di un Reparto che operava armato al di fuori dell’ambito delle Forze armate che dipendono dal Capo dello Stato.
Di certo, sulla morte di Li Causi gravano pesanti dubbi.
Il maresciallo era appartenente ai servizi segreti ed era appartenuto a Gladio come istruttore; era stato capo del Centro Scorpione di Trapani, un misteriosissimo centro di Gladio in Sicilia che operava ancora nel 1990. Ma sempre Li Causi, come abbiamo accennato, aveva fatto parte anche degli Ossi, addestrati alla guerriglia e aveva partecipato alla liberazione di Dozier, il generale Usa rapito dai terroristi. Tra l’altro Li Causi doveva testimoniare al processo di Trapani sul Centro Scorpione, Centro che era la punta di diamante della Gladio siciliana. E sulla Gladio siciliana aveva tentato di indagare perfino Giovanni Falcone senza riuscirci. Nessuno ha mai capito perché Li Causi sia stato inviato in Somalia. Certo di lì è tornato con i “piedi in avanti”, cioè in una bara. Testimonio troppo scomodo di tante vicende misteriose? Ufficialmente la sua morte fu dovuta “ad una pallottola vagante”.
Dicevamo del comportamento dei ministri della Giustizia dell’epoca, Diliberto e Flick. Oggi i due respingono l’accusa di aver glissato sulla richiesta di indagini sui fatti della Somalia. Diliberto e Flick sono netti nella loro ricostruzione: breve e conciso l’attuale Segretario dei Comunistri italiani, ministro del primo governo D’Alema. “Nessuna richiesta del dottor Ionta, sul caso in oggetto, è mai arrivata sul mio tavolo al ministero”. Aggiungendo di essersi occupato più volte della vicenda Alpi ma mai di quella Li Causi. E comunque di non aver mai negato autorizzazioni ad inchieste simili.
Giovanni Maria Flick, oggi giudice della Corte Costituzionale e all’epoca Guardasigilli del governo Prodi, non ricorda di aver mai negato l’autorizzazione, e anzi ritiene di poter escludere di essersi mai occupato della questione. E ciò perché oggi è nella impossibilità di poter disporre controlli documentali, che comunque potranno essere fatti dagli uffici del Ministero. Difficilmente, afferma dunque l’ex ministro, si potrebbe dimenticare una questione certamente non di routine, tanto più se fosse deciso di non inoltrare la richiesta. Inoltre, sottolinea anche lui come il suo successore, l’indirizzo generale era quello di non opporsi alle indagini sui delitti compiuti all’estero in danno di cittadini italiani e quindi non vi sarebbe stato motivo per opporsi in questo caso.
Anzi, insiste Flick, se ragione vi fosse stata, dovrebbe esistere traccia di un’adeguata motivazione: ragione di più, ripete, per non poter dimenticare, anche a distanza di tempo, un caso del genere. Potrebbe aver firmato qualcun altro? La pratica potrebbe essere stata trattata da altri? Anche su questo Flick non si tira indietro e ricorda che esisteva sì una delega in tal senso alla Direzione generale degli Affari penali, ma che essa era appunto limitata ai casi di routine. E poi, dopo averlo consultato, aggiunge che l’allora direttore generale, Giorgio Lattanzi, non ha memoria del caso.
Falco Accame

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