Prima di entrare nel merito della questione della vigilanza privata, è bene fare un po’ di chiarezza sulla situazione attuale: negli ultimi anni si sono verificati una serie di eventi che hanno portato il problema della sicurezza in primo piano.
Una azione terroristica di livello internazionale che ha sconvolto i già fragili equilibri e che ha aperto una ferita con il mondo arabo che è alle nostre porte; una ripresa forte di un terrorismo interno come non si vedeva da decenni, che uccide in modo barbaro e per finanziarsi progetta anche rapine; azioni criminali di bande provenienti da paesi dell’est che hanno messo a segno colpi con spargimento di sangue, eseguite come vere e proprie azioni militari; le emergenze storiche di criminalità interna, come mafia e camorra e inoltre anche centinaia di migliaia di cittadini extracomunitari che arrivano da tutte le parte del mondo che stanno mutando il volto delle nostre città e che purtroppo vedono ancora molta diffidenza in larghi strati della società e una difficile integrazione nel nostro Paese e senza che gli vengano riconosciuti i più elementari diritti. Se tutte queste cause creano scompensi sociali, la vigilanza privata non è immune da ciò.
In un contesto così articolato e complesso i soggetti privati hanno dato delle risposte a dir poco parziali a questa esigenza primaria della sicurezza; soprattutto nell’area di Roma, città che conta una serie di obiettivi sensibili come stazioni, aeroporti, metropolitane e altre strutture controllate da Istituti di vigilanza.
Nella provincia di Roma sono presenti quasi 40 Istituti di vigilanza e circa 7.500 guardie giurate e le mansioni che essi svolgono sono molteplici: servizi antirapina davanti a sportelli bancari, trasporto valori per milioni di euro, sala conta, piantonamenti fissi, servizi di antitaccheggio, autopattuglia, centrale radio e altro ancora.
Tante mansioni, una completamente diversa dall’altra il più delle volte senza un adeguato supporto logistico da parte dell’Istituto e, peggio ancora, senza aver mai creato una adeguata formazione per ogni compito assegnato.
Prima di avanzare qualsiasi proposta, bisognerebbe fare un quadro sull’impatto che si ha nel momento in cui si entra in un Istituto di vigilanza e fare una riflessione sul tipo di preparazione che si riceve.
Il più delle volte non c’è un criterio oggettivo e valido per tutti, ma ognuno si regola sulla base delle possibilità o opportunità del caso. Si vedono quindi gli esempi più singolari: i più fortunati ricevono delle nozioni su alcuni articoli del Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza, poi si fa qualche accenno su norme giuridiche, o si prende ad esempio qualche sentenza di Cassazione che evidenzia il ruolo della guardia giurata in qualche processo che lo ha visto protagonista; magari in quel caso particolare gli viene riconosciuta la qualifica di “pubblico ufficiale”, ma senza entrare mai nello specifico; poi ci sono altri metodi: ad esempio, mentre in un Istituto si corre, in un altro si marcia, in un altro ancora magari la valutazione si fa su chi porta la barba più corta o meglio curata.
La Guardia Giurata in questo caso si “modella” non in base a criteri prestabiliti e riconosciuti che se fossero delineati da un ente terzo e bilaterale, potrebbero certamente creare delle figure professionali che renderebbero sia un contributo all’immagine dell’Istituto e un servizio per la collettività, tenendo conto sempre del rapporto privatistico del lavoro.
In questi giorni si stanno verificando una serie di episodi contrastanti che stanno movimentando il mercato a livello territoriale, come ristrutturazioni, esuberi, cessioni di rami d’azienda, stati di crisi, mobilità. Se a tutto ciò aggiungiamo il cambiamento dei vari tipi del servizio (oramai da tempo molte utenze, soprattutto quelle di una certa consistenza, non chiedono più un servizio di vigilanza armato con specifiche caratteristiche ma si orientano su un servizio di “guardiania” con mansioni non ben specificate) si ha una ricaduta negativa sia a livello occupazionale che sulla sicurezza delle strutture vigilate.
Un altro fattore che viene sottovalutato ma che riteniamo di vitale importanza per la categoria, è il monte-ore di lavoro straordinario. Una Guardia Particolare Giurata presta servizio anche per 16-18 ore consecutive, passando da un servizio di antirapina davanti ad una banca il giorno, al trasporto valori o a servizi di autopattuglia. La domanda che sorge spontanea in questo caso è: che qualità di servizio si può fornire in queste condizioni? Tutto ciò è normale, tollerabile, sostenibile e praticabile anche in futuro?
Se sono state fin qui evidenziate le ombre e i limiti di una categoria bisogna dire che ci sono le possibilità per uscire da questo tunnel con la volontà di tutte le parti, sia della componente imprenditoriale che di quella sindacale e anche della volontà delle forze politiche di affrontare questa nodosa situazione.
Gli Istituti di vigilanza sono aziende che presentano dei bilanci e che si devono confrontare in un libero mercato, mettendo in campo capacità imprenditoriale, capitali, innovazione tecnologica e capacità professionale del proprio apparato tecnico-operativo; in sostanza deve essere premiato chi offre il servizio di migliore qualità, non chi offre una tariffa più bassa.
Nei cambi d’appalto deve essere premiata una competizione virtuosa, ciò significa che chi subentra deve assumere il personale già presente con le stesse condizioni che aveva maturato in precedenza in modo da evitare la deregulation.
Una considerazione da fare è che questo stato attuale delle cose ha danneggiato quelle imprese che hanno sempre rispettato le regole di mercato, i contratti di lavoro e le circolari della questura e della prefettura.
Insomma bisogna creare le condizioni per rendere operativa la qualifica professionale che da anni è ferma ed è rimasta solo sulla carta. Non basta fare una legge, anche una buona legge, di riforma del settore se non si hanno regole certe valide per tutti, se non si creano le condizioni per fare un salto in avanti, se non si supera l’aspetto folkloristico che caratterizza gli Istituti di vigilanza, se il criterio del massimo ribasso non lascia il passo all’ industria della sicurezza, quindi un terziario avanzato e qualificato con una sua specificità; non per ultimo si vuole evidenziare che la presenza femminile in questo settore è molto bassa e in alcuni Istituti praticamente assente.
Senza fare retorica, non vorremmo trovarci tra qualche anno a parlare delle stesse cose magari con lo sfondo di una notizia che vede l’ennesimo fatto di sangue perpetrato ai danni della guardia giurata di turno, magari con l’indignazione e sgomento da parte di tutti.
(Intervento curato da alcuni membri del coordinamento vigilanza Filcams-Cgil)
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