Ci troviamo di nuovo qui a parlare sempre delle stesse cose, di questi contratti provinciali che non si vogliono firmare dopo appena dodici anni; di questi operai generici che vorrebbero tanto una qualifica, per appartenere anche loro ad una figura lavorativa dignitosa e non sentirsi chiamare sempre con numerosi appellativi, a volte fantasiosi, a volte denigranti. Vorremmo anche noi che il nostro malcontento, dimostrato con scioperi e manifestazioni, sia reso pubblico dai vari telegiornali, dando risalto a questi maledetti scomodi lavoratori.
Nel caso succeda l’irreparabile, i familiari dei metronotte morti in servizio devono fare riferimento ai colleghi, per avere un appoggio morale ed economico nei casi di necessità, quando qualsiasi categoria protesta per avere ascolto da parte del governo, ed alla fine ci riesce, i metronotte devono sperare che qualche esponente politico si interessi di questa causa persa già in partenza; per adeguarsi al mondo lavorativo che giustamente si evolve in base alle esigenze di mercato, il metronotte si adegua a svolgere i compiti più disparati, accrescendo il proprio bagaglio di esperienza, ma non quello economico.
Sembrerebbe quasi che questi metronotte abbiano delle pretese un po’ troppo eccessive, forse perché vorrebbero uno stipendio adeguato al costo della vita, un’inquadramento giuridico, una vita sociale equilibrata e non subissata di straordinari, insomma una vita normale.
Ma questo non è possibile, perché è più facile “appagare” un silenzio omertoso di una classe dirigenziale ingorda, che ripagare dei dignitosi ed onesti lavoratori che spesso rischiano sulla propria pelle il disinteresse di tutti.
Anche io appartengo a questa categoria da tredici anni, e da otto faccio anche il rappresentante sindacale e sotto quest’ultimo aspetto mi sono reso conto quanto questa realtà lavorativa sia maltrattata.
Ormai sono passati sette anni da quando sulla mia busta paga è apparsa la dicitura: “dati provvisori salvo conguaglio”, frase necessaria, secondo il mio Istituto, perché lo stipendio non rispecchiava il contratto nazionale.
È partita subito la causa da parte delle Segreterie sindacali, ma per le solite lungaggini burocratiche stò ancora qui a parlarne. È cosa ancora recente, quando il nostro Istituto ci ha chiesto il sacrificio di rinunciare a sette ore di straordinario al mese, per un anno, per sanare un deficit, a detta loro, dovuto alla generale crisi del lavoro. Per onestà devo anche dire che le hanno restituite tutte. Ogni volta che le Segreterie ci convocano alle riunioni sindacali per aggiornarci su eventuali sviluppi per i nuovi contratti nazionali o provinciali che vengono discussi, ci dicono che le parti datoriali tirano sempre il freno sulla parte economica.
Come se anche le famiglie dei metronotte non passassero momenti di crisi economica, non risentissero dell’aumento del costo della vita, del cambio della nuova moneta, e via discorrendo.
Spesso mi è capitato di “ vedere” i metronotte barattare tutto, dai riposi lavorati, alle ore di straordinario, dai giorni di ferie, al turno di servizio, e questo perché tra la cattiveria gratuita di chi ci gestisce, alla miseria della nostra busta paga, c’è una famiglia che ci deve campare. Insomma ci ritroviamo ad elemosinare tutto, dai soldi al vestiario (molto carente anche quest’ultimo), alla dignità. Questa categoria è stanca, sfinita, e logora di dover cercare di alzare sempre la voce per tutto quello che invece dovrebbe essere un diritto nel mondo lavorativo.
Ma secondo i nostri datori, noi siamo fortunati perché un lavoro l’abbiamo.
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