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gennaio/2004 - Interviste
Padrini e Padroni
Il crimine che non si vede
di Paolo Andruccioli

Intervista a Luciano Violante sulle nuove e vecchie mafie. I reati economici sono sempre più pericolosi. È necessario rinvigorire la Dia

Hanno suscitato un certo scalpore le ultime sue denunce sulla mafia e soprattutto sui rapporti tra organizzazioni criminali e politica anche a livelli molto altI. C’è stata una molla o un pretesto che l’ha spinta o si è trattato di un discorso generale?
I dati su cui ci si basa sono purtroppo abbastanza semplici. Siamo in presenza di alcune evidenze. Il primo dato riguarda la Giustizia: i processi si celebrano tra grandi difficoltà. Quindi mentre la Polizia fa tutto quello che deve fare, anzi molto di più, per arrestare pericolosi ricercati, ci sono poi grovigli di regole processuali che non consentono di processarli rapidamente ed accertare rapidamente se risultano colpevoli od innocenti. Inoltre, da qualche tempo alcuni uffici giudiziari sono stati lasciati privi delle risorse necessarie per pagare gli stenotipisti e quindi si deve verbalizzare tutto a mano, con una perdita di tempo enorme, che incide anche sulle scarcerazioni per decorrenza dei termini nei processi per criminalità organizzata.
Secondo dato. Siamo molto indietro su tutta la questione della confisca dei beni e dell’assegnazione a finalità sociali di questi beni confiscati. Soltanto il 10 per cento dei beni confiscati sono assegnati alle finalità sociali. In qualche caso, mi hanno riferito, il boss abita ancora indisturbato nell’edificio confiscato. È stato revocato l’incarico alla dottoressa Vallefuoco, ottima commissaria per la gestione dei beni confiscati e c’è il rischio che si decida di mettere all’asta questi beni, facendoli così rientrare nelle mani dei mafiosi.
Terzo dato: alcuni esponenti della maggioranza e del governo sono impegnati in un’azione di sistematica delegittimazione dell’Autorità giudiziaria, e quindi anche di coloro, come le Forze di polizia, che lavorano per l’Autorità giudiziaria. Si tratta di una attività di delegittimazione che in alcuni casi è stata condotta persino dal Presidente del Consiglio e da personaggi a lui vicini. Questi tre fattori, messi insieme, credo che diano un quadro a rischio, nell’azione contro la mafia. Aggiunga poi, che tutte le misure sui condoni, che riguardano l’importazione di capitali hanno creato condizioni che potrebbero favorire la mafia. È presumibile per esempio che la mafia si sia avvalsa dei condoni fiscali e dei condoni edilizi. Sono misure che possono avvantaggiare naturalmente tutti coloro che hanno operato nell’illegalità, ma in particolar modo quelle organizzazioni che fanno dell’illegalità il loro stile di vita. Questo quadro messo insieme ci dice che il rischio è alto e che non bisogna sdraiarsi sugli allori che derivano dagli arresti quando poi non si riesce a celebrare i processi in tempi rapidi e con il sostegno delle massime autorità di governo.
A proposito di mafia vecchia e nuova, dalla vicenda Andreotti in poi c’è stato un certo ripensamento, che potrebbe perfino essere pericoloso perché c’è rischio di gettare a mare un certo tipo di battaglia per la legalità per evitare estremizzazioni. Dobbiamo rinunciare per sempre alla speranza di poterci avvicinare alla verità?
La vicenda Andreotti ha due facce. La faccia relativa alla responsabilità giudiziaria e quella relativa alla responsabilità politica. La responsabilità giudiziaria va accertata dalla magistratura e non dalla politica. Il processo per l’omicidio Pecorelli è finito, come era giusto, con un’assoluzione. La sentenza di condanna pronunciata dai giudici di appello di Perugia era sembrata davvero non convincente. Sul rapporto con le organizzazioni mafiose la sentenza di appello di Palermo, pur avendolo assolto, è assai pesante nei confronti del senatore Andreotti per i suoi rapporti con esponenti mafiosi sino all’omicidio Mattarella; ma ora vedremo cosa stabilirà la Cassazione. A mio avviso non ci sono invece dubbi sulla sua responsabilità politica. Basta ricordare ciò che disse il generale Dalla Chiesa: che la famiglia Andreottiana, intesa come famiglia politica, era la più inquinata dell’isola.Chi fossero esponenti andreottiani come Ciancimino e come Lima è stato scritto nelle relazioni di diverse Commissioni Antimafia.
Da qualche tempo si parla meno di mafia anche sui giornali. Se ne parla magari nei convegni tra gli esperti. C’è una congiura del silenzio oppure è un tema che non interessa più l’opinione pubblica?
Di mafia si è sempre parlato quando c’è stata la grande strage, il grande episodio. Naturalmente se ne è parlato drammaticamente dal ’92 al ’95, sull’onda delle stragi di via Amelio, e Capaci; a mano a mano che ci si allontana dall’avvenimento, scema l’interesse. È un ciclo normale: l’attenzione si abbassa. Anche perché la mafia ha avuto la grande capacità, in qualche modo, di mettersi sotto l’acqua e andare a compiere azioni non eclatanti, non troppo visibili. Dal controllo dei mercati, dell’economia, di appalti, “pizzo”, estorsioni, tutte cose di questo genere che non sono visibili. In un mio libro pubblicato da Laterza un paio di anni fa, “Il ciclo mafioso”, analizzo questo fenomeno.
In Italia cosa succede con l’arrivo di nuove organizzazioni criminali straniere? C’è un riaggiustamento, un nuovo equilibrio dei poteri mafiosi?
Le organizzazioni più forti, quelle calabresi e siciliane, operano in maniera sinergica con quelle straniere. Non si tratta di integrazioni organizzative, non si creano nuove organizzazioni “meticce”; c’è una cooperazione affare per affare.
Un caso particolare che oggi viene molto trattato dagli esperti è quello della mafia russa. In un documento si fanno affermazioni molto pesanti sulla realtà attuale della Russia. Si dice, per esempio, che addirittura il 40% del Pil russo sia nelle mani della mafia. Si tratta di informazioni attendibili?
Era evidente da anni che la mafia russa avrebbe assunto un peso notevole nel sistema criminale internazionale. Non so dire però se le cifre siano corrette. Se qui vogliamo parlare di importo illegale, credo che la cifra sia quella. Se invece ci riferiamo al peso della ricchezza mafiosa, quella percentuale mi sembra un po’ alta.
Sulla riorganizzazione della vecchia mafia siciliana lei ha già parlato. Molte associazioni ambientaliste hanno invece lanciato un allarme sul nuovo affare che si può sviluppare nel Sud intorno ai grandi lavori. C’é per esempio il tema del ponte sullo Stretto, c’è un allarme reale oppure no?
Io distinguerei la polemica relativa al ponte sullo Stretto dalla questione mafiosa. Ogni grande opera nel Mezzogiorno, ma non solo nel Mezzogiorno, richiama gli interessi mafiosi. Lo scrivono con chiarezza le relazioni al Parlamento del ministro dell’Interno. Ma questa non è una buona ragione per non realizzare grandi opere. Se serve, la grande opera va fatta, ma va fatta al meglio, senza farsi condizionare.
L’attenzione ai condizionamenti mafiosi nelle grandi imprese pubbliche dev’essere elevata perché la modernizzazione delle organizzazioni mafiose si è sempre realizzata sulla base di un intervento pubblico. Cosa nostra da realtà agricola diventa realtà urbana quando c’è uno sviluppo urbanistico della città di Palermo. Uomini politici disonesti lucrano sulle licenze edilizie e favoriscono così gli insediamenti urbani della mafia. La ‘ndrangheta in Calabria si sviluppa attorno ai lavori per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. La camorra in Campania fa il proprio salto di qualità mettendo le mani sulla ricostruzione post terremoto. Questo non vuol dire che non si devono fare opere pubbliche. Bisogna farle e fare in modo che la mafia non intervenga. Io considero sciocco dire non facciamo nulla perché altrimenti la mafia allunga le mani. Se il ponte sullo Stretto va fatto per ragioni valide, allora le procedure e i controlli devono impedire che la mafia entri in gioco. Uno stato moderno fa questo.
Che cosa cambia per quanto attiene le presenze delle organizzazioni criminali nell’allargamento europeo?
Bisogna vedere come funzionerà il coordinamento per le indagini criminali a livello europeo. È chiaro che la lotta alla mafia è efficace quando la repressione, i meccanismi coercitivi hanno la stessa dimensione territoriale organizzativa della mafia. Le organizzazioni mafiose hanno un raggio di azione che certamente si allarga a tutta l’Europa ed anche oltre. Una risposta efficace dovrà essere a livello europeo, altrimenti non sarà efficace. Occorre rendere omogenee le legislazioni dei singoli paesi e avere nella magistratura inquirente e nelle forze di polizia un coordinamento europeo. Tutta una serie di indirizzi dell’Unione va già in questa direzione. Però il governo italiano, per peculiari responsabilità della Lega, fa molta resistenza e così rischia di creare in Italia un’ area franca per tutte le mafie.
A proposito di vecchia mafia italiana e degli antichi legami con gli Stati Uniti, lei pensa che quei legami siano ancora validi?
Non credo che abbiano più il peso di una volta. Anche perché la mafia americana si è molto evoluta. Si sono un po’ rallentati i rapporti di parentela o di collegamento con la Sicilia. E poi ci sono altre aree, per esempio il Sud Est asiatico, il Sud America che sono molto più appetibili oggi, per via della droga. I mercati criminali e le rotte delle merci illegali si sono spostati; l’asse atlantico non è più privilegiato.
Si è molto parlato della nuova criminalità informatica e finanziaria. La mafia si è evoluta anche a quel livello? È vero che saremo in presenza di una mafia che non produce più sangue e omicidi? Forse la mafia non ha più bisogno di uccidere?
La mafia è una organizzazione di tipo imprenditoriale che si aggiorna costantemente a mano a mano che emergono le tecnologie. Mi stupirei che non le usassero. Naturalmente le usano attraverso terze persone, che certo non sono quelli che sparano per la strada o che chiedono il pizzo. I capi si avvalgono di chi sa usare le nuove tecnologie informatiche ed i nuovi prodotti finanziari. Se questi sgarrano, sono uccisi. Le vicende Sindona e Calvi insegnano.
C’era qualche studioso che parlava della fine della mafia del sangue e che ci sarebbe solo la mafia economica.
Per la mafia l’uso della violenza per uccidere è sempre stata l’ultima ratio, l’ha sempre usata e continuerà ad usarla finché ci sarà. L’eliminazione fisica non è la regola, è l’eccezione. Il primo passo è l’avvicinamento, poi l’intimidazione velata, poi il tentativo di corruzione, poi la minaccia esplicita. Se questi atti “minori” non hanno effetto, allora si uccide. Ma l’omicidio avviene solo quando gli altri mezzi non hanno funzionato. Questo capiterà sempre.
Quanto conta il riciclaggio del denaro sporco negli affari mafiosi? Ci sono degli osservatori, dei sociologi (Zigler o altri), che parlano di un flusso ormai misto nel mercato finanziario del denaro sporco e del denaro pulito.
Chi fa calcoli di questo tipo cita cifre altissime. Io credo che il riciclaggio inteso come creazione di titoli che consentano il possesso apparentemente legittimo di denaro sporco è tuttora assai importante per l’organizzazione mafiosa. E temo che il condono agli esportatori di capitali che ha fatto pagare la cifra irrisoria del 2,5% a chi ha esportato capitali, garantendo inoltre l’anonimato, abbia funzionato in alcuni casi come una specie di riciclaggio di Stato. Per tornare all’azione di contrasto delle Forze di polizia, io credo innanzitutto che occorrerebbe rinvigorire la Dia. Questo organismo che ha svolto un lavoro eccellente, vive un momento di appassimento; ha bisogno di una nuova missione e di nuova fiducia perché ha conoscenze e competenze professionali di prim’ordine...
Ma c’é anche bisogno di una rivisitazione del processo penale. Lo ripeto: oggi il processo penale è pieno di intoppi per quanto riguarda l’accertamento della responsabilità o della innocenza delle persone accusate. Occorre una riforma che sia in grado di distinguere tra impedimenti del processo e garanzie. Queste ultime sono sacrosante; i primi, invece, sono una sorta di favoreggiamento del crimine.
Ma come si fa a dare una spinta alla lotta contro la mafia, visto che come diceva lei prima l’interesse sembra diminuito?
Speriamo che non ci sia bisogno di nuove stragi. C’è bisogno invece di mettere in campo un nuovo lavoro con un po’ di pazienza, anche attraverso dibattiti seri su questi temi che superino la contrapposizione tra maggioranza e opposizione perché so che nella maggioranza ci sono uomini politici preoccupati come sono preoccupato io. Cominciamo a sfrondare il processo penale; difendiamo le garanzie per gli imputati, ma anche per le vittime del reato, cancelliamo gli impedimenti puri e semplici. Questo può permettere un seguito giudiziario adeguato alle fatiche ed ai sacrifici delle Forze di polizia.
(Intervista a cura di Paolo Andruccioli)

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