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gennaio/2004 - Editoriale
E’ l’anno del latte versato
di Paolo Andruccioli

Grandi titoli sui giornali internazionali, prime pagine con foto, interviste e perfino ricostruzioni biografiche. I quotidiani stranieri non si erano mai occupati tanto dell’Italia come questa volta. E l’occasione non è certo delle migliori, un titolo di cui vantarci. Stiamo parlando, come avrete già capito, del caso Parmalat, la multinazionale del latte emiliana che è diventata improvvisamente protagonista sulla scena finanziaria mondiale, ma anche sulle pagine di cronaca giudiziaria. Con il caso Parmalat vengono alla ribalta temi che sono centrali per capire il nostro presente e sui quali vale la pena di riflettere anche dal punto di vista degli intrecci, ormai quasi indissolubili, tra economia e criminalità. O meglio tra una certa finanza e l’economia criminale.
Quello che meraviglia infatti del caso Parmalat è, insieme alla rilevanza internazionale appunto, l’intreccio di reati e comportamenti criminali che si sono evidenziati. C’è un gran dibattito in Italia sull’origine di questa crisi. Alcuni la attribuiscono alla parte finanziaria della vicenda. Leggono cioè il caso Parmalat come una crisi finanziaria, mentre attribuiscono alla società di Collecchio uno stato di salute sano per quanto riguarda la parte industriale. Altri, al contrario, sostengono che la vera origine della crisi è industriale. La società di Calisto Tanzi, sostengono, sarebbe comunque entrata in crisi dal punto di vista della produzione industriale. Il latte, in fondo, non produce tanto valore aggiunto e sarebbe stato inevitabile per Tanzi e per i suoi provare la strada dell’internazionalizzazione.
Proprio la necessità di allargarsi il più possibile con l’acquisizione di aziende e produzioni all’estero avrebbe dunque costruito la base di tutti i guai. Tanzi, per comprare attività estere e per diffondere la sua produzione in terre lontane, è stato costretto a cercare soldi in continuazione attraverso spregiudicate iniziative finanziarie. La vendita dei Bond, ovvero delle obbligazioni, sarebbe stata – da questo punto di vista – una strada obbligata (scusate il bisticcio di parole) per cercare soldi freschi e poter allargare l’area di influenza dell’azienda del latte italiano. Una iniziativa finanziaria che oggi assume caratteri perfino mostruosi e che spiega l’interesse dei quotidiani e degli osservatori internazionali. Non è certo un caso che uno dei giornali finanziari più importanti del mondo, il Financial Times, abbia dedicato per vari giorni la sua prima pagina proprio a Calisto Tanzi e ai suoi uomini. Ha fatto una certa impressione vedere le foto del proprietario della Parmalat e dei suoi fidati dirigenti sbattuti su quelle pagine di giornali mondiali come se fossero pagine locali di giornali italiani. Un interesse non solo giornalistico, ma prima di tutto economico. Tutti i mercati finanziari sono infatti collegati. E lo scandalo delle emissioni obbligazionarie fasulle ha determinato effetti a catena e ha rischiato di sconvolgere i già precari equilibri di molte piazze finanziarie. E in più l’interesse era dovuto al coinvolgimento diretto di investitori e in particolare di investitori istituzionali. La cronaca ha fatto registrare, per esempio, il coinvolgimento di almeno due grandi fondi pensione, uno americano e uno scozzese, che si erano fidati di Tanzi e avevano investito nel latte. C’è tanta gente quindi che è molto indignata non solo moralmente contro Calisto Tanzi e contro tutti coloro che avrebbe frodato.
Il punto che ci interessa e che si capirà solo con lo sviluppo dell’inchiesta della magistratura e dell’indagine della Commissione bicamerale riguarda quindi i comportamenti criminali. Quanto hanno contato in tutta la vicenda il falso in bilancio e la frode? Si può davvero pensare a un’associazione a delinquere? Si tratta di comprendere a fondo ciò che è successo perché lo scandalo rischia di trascinare non solo l’azienda di Collecchio, ma anche tutto il sistema industriale italiano e soprattutto quello bancario. I cittadini italiani sono infatti alquanto sconcertati e chiunque abbia un piccolo risparmio in banca o investito in Borsa comincia a pensare al peggio. Il caso Parmalat rischia poi di determinare tanti altri effetti a catena, primo fra tutti il crollo della “fiducia” che ormai tutti gli economisti considerano fattore decisivo per lo sviluppo.

Toghe sotto accusa
L’anno è cominciato male. Tra scandali finanziari, crisi industriali e confusi scontri politici su tutti i temi. Anche l’anno giudiziario è cominciato male e ad inaugurarlo è stato l’ennesimo conflitto tra magistrati e Ministro della Giustizia. Le parole che sono volate sono state grosse. Il ministro Castelli, tanto per ricordare solo uno degli episodi di conflitto che si sono determinati, ha paragonato i magistrati ai Cobas. I giornali hanno dato grande spazio alle sue dichiarazioni, che poi lo stesso Ministro ha dovuto correggere. Io non mi riferivo ai Cobas, ha detto, avevo solo cercato di spiegare che i magistrati non si possono comportare come altri lavoratori e quindi non possono minacciare di scioperare come se fossero tranvieri. Ma le smentite e le correzioni verbali del Ministro non sono riuscite a ricreare un clima di necessaria tranquillità e fiducia. Anche in questo caso, dunque, salta il meccanismo base della convivenza civile e dei rapporti istituzionali: la fiducia. La crisi della giustizia è stata quindi resa esplicita dalla scelta di alcuni magistrati che nelle inaugurazioni dell’anno giudiziario hanno deciso di uscire dalle aule dei Tribunali, vestiti con le loro toghe nere. Gli stessi magistrati hanno spiegato di aver scelto di vestirsi in pompa magna non tanto per rimarcare una differenza con gli altri lavoratori, quanto piuttosto per rivendicare tutto l’orgoglio e insieme la frustrazione di una professione oggi sotto accusa.
All’inaugurazione dell’anno giudiziario non si sono però verificate solo queste proteste dei magistrati. Si sono registrare anche vistose assenze. Si può dire che per la prima volta all’inaugurazione ufficiale dell’anno giudiziario non ha partecipato il governo. Il premier Silvio Berlusconi era infatti assente. In quei giorni era ancora in Sardegna e qualcuno ha pensato a problemi di salute, poi invece smentiti dai suoi collaboratori. Il Presidente del Consiglio non ha potuto partecipare all’inaugurazione perché ha dovuto subire un intervento di chirurgia plastica al viso. Lo stesso Berlusconi, tornando poi sulla scena qualche giorno dopo, si è scusato dicendo che è stato costretto a ritardare il suo ritorno a palazzo Chigi perché doveva farsi più bello per rispetto di tutti i cittadini e dei suoi diretti interlocutori. Berlusconi quindi non ha voluto marcare una distanza dai magistrati. La sua assenza all’inaugurazione era giustificata.
Così come era giustificata un’altra assenza di peso, quella del vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, che quel giorno, il giorno dell’inaugurazione a Roma dell’anno giudiziario, era impegnato a palazzo Chigi con i sindacati a discutere di pensioni. I magistrati non si devono offendere e non si devono sentire abbandonati; nessuno gli ha mancato di rispetto. Queste assenze sono state solo un caso episodico. Il problema però è un altro: proprio quando anche l’economia ridiventa cronaca giudiziaria e quando si ricominciano a sentire lontani echi di tangentopoli tutto il sistema giustizia nel suo complesso continua a risentire di una crisi molto grave. Bisogna essere molto attenti dunque perché la situazione rischia di farsi davvero delicata. Come ha detto anche il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, prima di essere indignati, c’è materia per essere alquanto preoccupati.
Paolo Andruccioli

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