Oggi moltissimi paesi, non solo dell’Africa, praticano questo rivoltante rituale sulle ragazze, con conseguenze psichiche e fisiche gravissime. Anche in Italia il fenomeno è presente
Pratiche antiche, radicate nella cultura e nella tradizione di molti paesi, un rito di passaggio: il segno della fine dell’adolescenza femminile è la rinuncia, un taglio doloroso, un marchio indelebile, una mutilazione.
“Sono stata mutilata quando avevo dieci anni. La nonna disse che mi avrebbe portata al fiume per una cerimonia e che dopo mi sarebbe stato dato molto cibo. Ero una bambina innocente, fui mandata al macello come un agnellino. Mi portarono in una stanza buia, mi bendarono e mi denudarono. Quattro donne mi fecero stendere e mi bloccarono le braccia e le gambe, un’altra si sedette sul mio petto per impedirmi di muovermi. Mi infilarono un pezzo di stoffa in bocca per farmi smettere di gridare, poi mi depilarono. Erano tutte ubriache, altre danzavano e ballavano ed erano nude. Mi tagliarono i genitali con un temperino spuntato. Fu una cosa terribile ed insopportabile”.
Così Hannah Koroma - responsabile del Coordinamento donne di Amnesty International in Sierra Leone - ricorda la sua esperienza.
Rullo di tam tam, il rito è compiuto. Il villaggio è in festa, sette giorni di isolamento e, se si sopravvive, una vita di sofferenza davanti.
Le mutilazioni genitali femminili sono probabilmente la più diffusa e sistematica violazione dei diritti umani cui sono sottoposte le donne nel mondo. Solo in Africa si stima che siano oltre 130 milioni le donne mutilate e, ogni anno, in nome di questa tradizione, 2 milioni di bambine rischiano la stessa sorte.
Ma perché tutto questo?
Seguendo una ricostruzione storica si scopre che probabilmente la pratica ha origine nell’antico Egitto. Secondo una leggenda gli dei erano dotati di una natura bisessuale ereditata poi dall’uomo; segni di questa doppiezza sono il prepuzio nell’uomo e il clitoride nella donna. Solo eliminandoli, uomo e donna avrebbero recuperato la loro vera natura. Sul clitoride poi esistono molte leggende: per molti popoli africani è considerato un fallo incompleto che rischia di danneggiare l’unione sessuale. Ma, al di là delle leggende, la vera ragione è molto più pratica: con l’infibulazione si vuole eliminare il piacere sessuale nella donna.
Le mutilazioni genitali femminili sono praticate soprattutto in Africa e, al contrario di quanto si ritiene, non solo dai musulmani, ma anche da cattolici, protestanti, copti, animisti e non credenti. Dunque non ha nulla a che fare con le religioni (che tollerano in silenzio); è un crimine che nasce dal bisogno della società patriarcale di negare e controllare la sessualità femminile. Questo bisogno di reprimerla non ha tempo: anche nell’antica Roma si praticava l’escissione sulle schiave per impedire che avessero una vita sessuale. In questo modo è più difficile che la donna tradisca perché il rapporto sessuale diventa molto doloroso.
Nata dunque come forma di controllo sulla donna, la pratica è poi entrata nella tradizione di molti paesi, non solo africani.
Presso alcune etnie la donna non infibulata diviene automaticamente impura ed emarginata dalla società ed è praticamente impossibile che trovi marito. A Mali le chiamano “bikaloro”, un gravissimo insulto che vuol dire essere privi di ogni maturità. Le donne non escisse diventano, cioé quasi “non donne”, donne-bambine, come quelle che a pochi anni di età non hanno subito la mutilazione degli organi genitali.
I modi e l’età in cui avviene la mutilazione variano a seconda dei popoli e delle condizioni sociali della donna. In genere avviene tra i 4 e gli 8 anni, ma secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’età media si stà abbassando. Questo indica che la pratica stà perdendo il significato di iniziazione all’età adulta. Solo i ricchi scelgono le strutture sanitarie in cui la mutilazione è operata da medici in anestesia locale o totale. Nei villaggi, invece, viene effettuata senza alcun anestetico, con coltelli, lamette da barba, cocci o pezzi di vetro. La bambina viene immobilizzata e tenuta con le gambe aperte. Misture di erbe, cenere o terra vengono applicate sulla ferita ricucita con spine, per fermare l’emorragia. Infine le gambe della bimba vengono legate insieme strettamente, l’una all’altra, così che lei rimanga immobile per alcuni giorni al fine di consentire la cicatrizzazione.
Le conseguenze psicologiche sulle ragazze sono immediate: ansia, terrore, umiliazione, tradimento da parte dei genitori. Ma ci sono i “vantaggi” sociali che, in un certo senso, compensano quest’esperienza traumatizzante: c’è l’orgoglio di essere finalmente come le altre, “diventate pulite”. In una società dove si insegna che i genitali sono cose sporche, pericolose e fonte di tentazioni, le bambine si sentiranno psicologicamente sollevate.
Fisicamente, se si riescono ad evitare i rischi immediati di infezioni dovuti alle scarse condizioni igieniche, i danni provocati sono numerosi e irreversibili. Le ragazze sono state private per sempre di una parte di sé e gli organi amputati non potranno mai essere ricostruiti. In caso di lacerazioni all’uretra e alla vescica diventa difficile urinare tanto da registrare infezioni croniche che possono portare alla sterilità. La cicatrice può diventare così estesa da rendere difficile la deambulazione. Le donne infibulate hanno poi parti penosi essendo gli organi che aiutano la dilatazione, irrimediabilmente danneggiati. La consuetudine vuole che la donna sia reinfibulata dopo ogni parto.
Questa pratica tradizionale rimane più forte della civiltà e del diritto e continua ad essere perpetrata soprattutto per volere delle donne, alle quali è delegato il compito di conservatrici del patrimonio culturale e tradizionale. Il loro atteggiamento di rinuncia, sottomissione, inferiorità e passività coincide con il controllo sociale del comportamento femminile. Tutte queste cose dimostrano che il ruolo della donna è molto arretrato, dimenticato, rappresenta solo un momento di soddisfazione dell’uomo.
La mutilazione degli organi genitali delle donne non è un argomento facile da capire perché bisogna interpretarlo nella struttura sociale ed anche nella situazione che vivono le donne dentro la famiglia. Per quanto determinati comportamenti e valori culturali possano apparire privi di senso o distruttivi dal punto di vista della nostra cultura occidentale, essi hanno sempre un significato per coloro che li praticano. Ma la storia ha dimostrato che la cultura non è statica, bensì in costante evoluzione, adattamento, rinnovamento. Per questo è possibile mettere fine alle mutilazioni se coloro che le praticano ne comprendono i rischi e le umiliazioni, e se comprendono che abbandonare queste pratiche non significa affatto rinunciare ai valori della propria cultura.
Attualmente, in 15 paesi africani su 28 dove vengono praticate, le mutilazioni sono formalmente vietate per legge, ma vengono eseguite ugualmente di nascosto. Proibire, dunque, non è sufficiente. È necessario agire sulla presa di coscienza delle donne cercando di far capire loro che l’escissione e l’infibulazione non hanno nulla a che fare con tradizione e cultura etnica da conservare, ma negano la sessualità e devastano il corpo. Da molte nazioni si stanno alzando voci di donne che si battono contro le mutilazioni, ma il cambiamento è lento.
Questo fenomeno non è relegato a pochi paesi del continente africano. Noi “evoluti occidentali” non dobbiamo cullarci nell’illusione che riguardino paesi lontani del Terzo Mondo. La clitoridectomia era una pratica diffusa in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto nella seconda metà dell’800, e venne regolarmente praticata negli ospedali psichiatrici fino al 1935 per curare le “deviazioni sessuali” (masturbazione e ninfomania).
In Italia vivono circa 50mila donne infibulate o escisse e 20mila bambine a rischio perché appartenenti a comunità in cui vengono praticate tali mutilazioni.
Negli anni ’90 sono arrivate molte donne da paesi in cui l’infibulazione è la norma, medici e ostetriche si trovano ora di fronte a una nuova realtà. Molte donne chiedono al medico che le ha deinfibulate per farle partorire di essere richiuse, come impone la tradizione del loro paese d’origine. In altri casi ci si rivolge alle strutture sanitarie per riparare i danni dell’infibulazione, come nel caso delle bambine adottate in Italia da piccole, quando già avevano subito le mutilazioni.
Le “midgàn” (levatrici tradizionali) spesso arrivano dai paesi d’origine e operano a domicilio così, anche in alcune città italiane, le bambine vengono mutilate, sul tavolo da cucina, nelle proprie abitazioni, e solo quanto insorgono complicazioni i genitori accettano di rivolgersi ai centri di pronto soccorso.
Il fenomeno è praticamente sommerso e tocca migliaia di donne e bambine immigrate. E non si può escludere il coinvolgimento di medici italiani. Non si tratta di operazioni complicate dal punto di vista chirurgico, ma bisogna averne viste fare tante perché un’infibulazione non perfetta va rifatta completamente. Sulla base di queste considerazioni si può supporre che i medici siano africani, italo-africani o italiani con un’esperienza lavorativa in questi paesi.
Il fattore economico, poi, non è da sottovalutare perché un’infibulazione costa dai 500 ai 1.000 euro. Può quindi essere un vero business per i professionisti che vogliono “integrare”.
Dunque servono norme precise. In Italia, pur non essendoci una legislazione specifica, la pratica è proibita dalla Costituzione che vieta espressamente qualsiasi violazione dell’integrità corporea della persona. Nei rari casi in cui vengono sporte denuncie, si applicano gli articoli 582 e 583 del Codice penale, relativi alle lesioni peronali. La Commissione giustizia del Senato ha dato via libera al disegno di legge contro l’infibulazione che dovrà passare alla Camera per l’approvazione definitiva. Questa proposta di legge reprime la pratica con una pena dai 6 ai 12 anni di carcere, che vengono aumentati di un terzo se a subire la mutilazione è una minore.
Ma non ci si può fermare solo al livello legislativo, non basta solo la legge perché potrebbe spingere a interventi clandestini o a portare le bambine nel proprio paese d’origine: non c’è niente di più semplice che organizzare un viaggio dai nonni, come è successo ripetutamente in Inghilterra, dove oggi, il Tribunale dei minori veglia sulle bambine a rischio affinché non lascino il paese.
La soluzione va dunque cercata anche nell’incontro, nel dialogo, nella sensibilizzazione e il lavoro va condotto soprattutto sulle donne, dando loro la possibilità di studiare, di lavorare, di avere un’indipendenza economica. Devono sapere che queste pratiche sono perseguibili dalle leggi italiane ma devono anche poter contare su centri di assistenza specializzati. Devono comprendere l’assurdità di questa mutilazione e va assolutamente impedito che esse da vittime continuino a trasformarsi in carnefici.
La speranza di veder finire questa tragedia è riposta nella seconda generazione, le figlie di immigrate nate in Italia.
BOX - 1
Cosa dicono le leggi africane
Nessuno Stato africano appoggia ufficialmente l’infibulazione o l’escissione, ma molti la tollerano. Nessun governo vuole o riesce a contrastare una tradizione tanto radicata quanto nefasta.
Egitto - La mutilazione delle bambine oggi è severamente vietata in tutti gli ospedali, dispensari e unità sanitarie locali. Erano state proibile in ospedale fin dal 1959 ma, alla fine del 1994, sono stati nuovamente permessi gli interventi (un giorno alla settimana) per evitare che ad eseguirli fossero “praticone” che mettono a repentaglio la vita di tante adolescenti.
Kenya - Nel settembre 1982 il presidente Daniel Arap Moi è intervenuto per mettere al bando tale pratica. Oggi un’operatrice colta in flagranza, può essere arrestata e condotta davanti ad un tribunale. Ciò nonostante l’escissione è ancora fortemente in uso nel paese.
Sudan - Una legge che proibiva l’infibulazione è stata introdotta nel 1946 e prevedeva la sanzione detentiva fino a 5 anni di carcere e una multa. Ma questa normativa, su pressione dell’opinione pubblica, è stata in seguito soppressa e sostituita con un’altra che consente l’intervento alle sole ostetriche professioniste. Il Codice penale sudanese del 1976, conferma che “rimuovere solamente la parte libera e sporgente della clitoride non costituisce reato”.
Somalia - Alla fine del 1978 venne istituita una Commissione per abolire l’infibulazione. Nel giugno 1988 il governo chiese allo Swdo (Somal Women’s Democratic Organization) di elaborare una proposta di legge. La guerra civile scoppiata nel 1991 ha troncato questo cammino.
BOX - 2
Percentuale delle donne mutilate
Gibuti 98%
Egitto 97%
Mali 94%
Etiopia 90%
Burkina Faso 70%
Ciad 60%
Nigeria 60%
Guinea 50%
Kenya 50%
Togo 50%
Benin 50%
Repubblica Centro Africana 43%
Costa D’Avorio 43%
Ghana 30%
Niger 20%
Senegal 20%
Tanzania 18%
Uganda 5%
BOX – 3
Sentenza italiana
In Itala, la prima sentenza contro le mutilazioni è stata pronunciata nel 1999 dal Tribunale di Milano, che ha condannato a 2 anni un cittadino egiziano accusato di lesioni personali gravissime perché nel 1994 aveva fatto infibulare, nel suo paese d’origine la figlia, avuta con un’italiana. L’uomo è stato denunciato dalla madre della vittima.
BOX – 4
A Firenze un Centro apposito
Per sconfiggere questa piaga sociale, all’ospedale fiorentino di Careggi è in funzione da anni un Centro sorto per iniziativa di un medico somalo, che offre assistenza a donne immigrate che soffrono delle atroci conseguenze derivanti dalle mutilazioni genitali.
Ogni anno sono circa 500 i casi di cui si occupa il Centro di Careggi che costituisce la prima esperienza del genere in Italia e che funziona anche da polo di riferimento a livello europeo.
Negli ultimi tre anni nell’ospedale fiorentino sono state realizzate circa 60 deinfibulazioni, con riduzione dei parti cesarei e dei problemi di sterilità legati alle complicanze dell’infibulazione.
BOX – 5
Dizionario
Infibulazione -“radici”: (detta anche “faraonica”) consiste nell’asportazione del clitoride, delle grandi labbra e delle piccole labbra vaginali successivamente cucite, lasciando un foro piccolo come un fiammifero, che permette l’uscita dell’urina e del sangue mestruale.
Il grado di merito dell’operazione si misura in maniera inversamente proporzionale alla larghezza del buco risultante: più è piccolo, più è riuscita bene l’operazione.
Escissione - “al-uasat”: consiste nell’asportazione del clitoride e delle “piccole labbra” che vengono poi ricucite tra loro, senza toccare le “grandi labbra”.
Clitoridestomia - “as-sunnah”: consiste nel togliere il clitoride senza toccare le “piccole e grandi labbra” e senza cucirle tra loro.
BOX - 6
Uccisa Annalena Tonelli: lottava per le donne mutilate
Annalena Tonelli, missionaria laica in Africa, è stata uccisa a colpi di fucile (probabilmente da integralisti islamici). Lavorava da 33 anni nel Corno d’Africa e il suo impegno si rivolgeva, fra l’altro, contro la barbara usanza dell’infibulazione femminile.
Sette anni fa aveva aperto nel Somaliland (ex Somalia inglese) un ospedale per curare la Tbc che contava ormai trecento posti letto. Era impegnata nella lotta contro l’Aids.
Nel corso della sua opera in Africa aveva ricevuto minacce dalle frange estremiste che non vedevano di buon occhio la sua attività assistenziale.
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