Dopo il primo processo dell’ottobre 2001, che assolveva il nostro giornale dall’accusa di aver diffamato il magistrato, ora la Corte d’Appello ha confermato quella sentenza
Anche la Corte d’Appello di Roma, in Terza sezione penale, ha confermato che Polizia e Democrazia non ha diffamato il procuratore di Napoli Agostino Cordova con l’articolo a firma di Eleonora Puntillo (“Veleni polemiche e morte”) apparso nel numero del dicembre 1996.
La prima assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” era stata già pronunciata il 19 ottobre 2001 dalla Prima sezione penale del Tribunale di Roma, presidente Carmelo Rinaudo, giudici Evelina Canale e Giuseppe Mezzofiore (relatore), che non aveva accolto la pur lieve richiesta di condanna (600mila lire di multa) del pm Giuseppe Amato; la conferma è venuta il 24 settembre 2002 dalla Corte d’Appello, presidente Corrado Liberti, consiglieri Giancarlo Castaldo e Stefano Palla (relatore), che non hanno accolto la richiesta di una severa condanna a pena esemplare avanzata dal pg Paolo Summa cui si aggiungevano quelle dei legali del procuratore Cordova, Massimo Krogh e Nicoletta Piergentili Piromallo.
L’avvocato Gianmichele Gentile del Foro di Roma, difensore della nostra rivista e di Eleonora Puntillo (entrambe assistite anche, durante le indagini preliminari napoletane dall’avvocato Giovanni Bisogni del Foro di Napoli) ha dimostrato nuovamente in aula come le espressioni contenute nell’articolo non possono considerarsi affatto diffamatorie, ma piuttosto l’eco della generale delusione nell’opinione pubblica napoletana di fronte a una serie di iniziative della locale Procura, avviate clamorosamente e concluse poi in gran parte con un nulla di fatto in sede giudicante. “Se non si può criticare un personaggio discusso come Cordova, si abolisce ogni diritto di cronaca e di critica” ha sostenuto l’avvocato Gentile, esibendo inoltre la sentenza della Cassazione nella quale si dichiara che i diritti di cronaca e di critica vanno esercitati a maggior ragione nei confronti del pubblico ministero piuttosto che dei giudici di merito.
La Corte d’Appello ha confermato che “il fatto non costituisce reato” così come dichiarato dal Tribunale un anno prima, con motivazioni di cui riportiamo alcuni brani (le motivazioni d’Appello saranno depositate fra breve).
Riferendosi al passo in cui si segnalavano fra l’altro indagini e controlli fondati sul presupposto che il marcio sia ovunque, soprattutto nelle istituzioni - Napoli capitale della corruzione - Regione corpo del reato, il Collegio giudicante “ritiene che ciò... non sia già un’accusa nei confronti del procuratore Cordova di perseguire consapevolmente degli innocenti ovvero di esercitare in modo avventato l’azione penale, bensì la disapprovazione di una determinata linea politica giudiziaria inquirente ancorata al convincimento dell’esistenza di un sistema di corruzione endemica o ambientale (tesi, quest’ultima, cui tutto sommato sembravano poter aver dato adito quelle battute del Procuratore testualmente riportate). In tali termini allora non può ritenersi che l’imputata abbia travalicato i limiti di un corretto e legittimo esercizio del diritto di critica. E questa del resto è l’opinione espressa dal Consiglio Superiore della Magistratura che... ha valutato quelle stesse critiche come ‘manifestazioni di dissenso sul modo di condurre determinate indagini o sui tempi delle stesse, espressione legittima del diritto di critica e delle quali il dr Cordova può personalmente dolersi ma alle quali nulla può eccepire in punto di legittimità’. E al riguardo, lo stesso Csm... non ha tuttavia mancato di sottolineare come ‘colpiscono d’altronde alcune modalità nella conduzione di indagini’ e come ‘dalle parole critiche di taluni avvocati e di taluni magistrati’ fosse emerso ‘il sospetto di eccesso nella attività investigativa’. Analoghe considerazioni possono essere svolte anche con riferimento al sottotitolo dell’articolo che si sostanzia in definitiva nella formulazione di un punto di vista, di un’opinione (dubbi e perplessità sull’efficacia dell’azione della Procura napoletana) magari non condivisibili, ma in cui non appare oggettivamente ravvisabile quel carattere diffamatorio dedotto invece dalla parte lesa”.
Sull’altro brano ritenuto diffamatorio da Cordova, relativo al finto ingegnere - ufficiale dei Carabinieri - che va in giro con una valigetta piena di soldi fingendosi corruttore malavitoso che non indaga su reati commessi ma invita a commetterne, vicenda che suscita “rivolta degli avvocati e sdegno dei politici”, la Prima sezione penale rileva “come la giornalista si sia limitata a riportare una notizia che, al momento della pubblicazione dell’articolo incriminato, aveva già avuto vasta eco sugli organi di stampa”.
In merito al passo dell’articolo che parla di “indagini svolte a carico di un assessore comunale per fatti che sarebbero stati commessi allorquando egli aveva sette anni” nella motivazione per l’assoluzione, il Tribunale fa rilevare che il procuratore Cordova “ha ritenuto diffamatoria l’affermazione in parola, sulla base del rilievo che in realtà il più giovane degli indagati nel procedimento Atan risultava nato nel 1964 e veniva indagato per fatti il più remoto dei quali era datato 1984... Ove si consideri, come si evince dalle puntualizzazioni dello stesso dottor Cordova querelante, il soggetto aveva effettivamente venti anni all’epoca del primo dei fatti per cui era indagato, è ragionevole interpretare l’espressione incriminata come un modo volutamente e manifestamente iperbolico per sottolineare la giovanissima età della persona sottoposta ad indagini”.
Polizia e Democrazia
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