Dalla legge Basaglia del 1978, furono esclusi i cosiddetti “Ospedali psichiatrici giudiziari” che, attualmente ospitano oltre mille detenuti, spesso per fatti di scarsa pericolosità
In questi giorni si discute in Parlamento sulla riforma dell’assistenza psichiatrica, a suo tempo sancita con la famosa e discussa legge n. 180 del 1978, voluta dallo psichiatra Basaglia (di cui porta il nome), mai completamente applicata, mai completamente accettata, sempre criticata dai medici, dai familiari dei malati e dai malati stessi.
La legge 180 ebbe, fra i vari difetti, il torto di dimenticarsi della questione degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) in quanto fu approvata dal Parlamento di allora in tutta fretta. C’era un referendum abrogativo che incombeva e che avrebbe sicuramente creato un pericolosissimo vuoto legislativo su una materia molto delicata. Dalla più generale riforma del Servizio sanitario nazionale (la legge 833, approvata a dicembre 1978), furono estrapolati gli articoli che riguardavano l’assistenza psichiatrica (legge 180) e approvati subito a maggio per evitare il referendum abrogativo già fissato per giugno. Nonostante giacesse in Parlamento dal 1974 un disegno di legge per far confluire gli Opg nel sistema sanitario, questi rimasero a carico del ministero della Giustizia e la loro gestione rimase al sistema penitenziario.
La legge di riforma di cui oggi si discute in Parlamento, presentata dall’onorevole Burani, rischia di perseverare nella stessa dimenticanza quando in realtà sono proprio gli Opg che hanno estremo bisogno di essere riformati e di transitare da una vecchia concezione di custodia e controllo, propria del sistema carcerario, ad una nuova concezione clinica e terapeutica, tipica del sistema sanitario.
La normativa sugli Opg risale al Codice Rocco del 1930 e risente della considerazione che allora aveva la malattia mentale, oggi ampiamente superata. Il folle era considerato incurabile, pericoloso, irresponsabile e quindi da isolare dalla società e da rinchiudere per sempre in una istituzione manicomiale. Alla diagnosi di infermità mentale si aprivano immancabilmente le porte di un manicomio e se l’azione folle della persona era inquadrabile come reato, il manicomio che si apriva era quello criminale, l’Opg. In quegli anni alla diagnosi di infermità mentale si abbinava automaticamente il concetto di pericolosità sociale e quindi l’internamento nel manicomio criminale, in genere era a vita.
Oggi quell’automatismo è ampiamente superato, non solo da una migliore conoscenza delle patologie psichiatriche, ma anche da una efficace psicofarmacologia in grado di ridare al malato una responsabilità, una capacità critica e di giudizio, un comportamento adeguato alle circostanze. Negli ultimi quarant’anni il concetto giuridico di vizio di mente si è andato quindi restringendo e dimostrare l’incapacità di intendere e di volere, anche in un malato psichiatrico, è divenuta sempre più difficile. Tuttavia, a differenza di quanto accadeva nel 1930, l’Italia è rimasta oggi in Europa l’unica nazione dove alla diagnosi di vizio totale o parziale di mente dell’imputato, al momento in cui ha commesso il delitto, il reo rimanga ancora in un ambito penale. Negli altri paesi esce dall’ambito penale e viene preso in carico dal sistema sanitario per la sua cura, la sua riabilitazione e la sua risocializzazione.
L’attuale legislazione riguardante il vizio di mente e la pericolosità sociale prevede che il giudice disponga una perizia psichiatrica (articolo 220 C.p.p.) nel caso che l’autore del reato, nel momento in cui lo ha commesso, potesse essere privo della “capacità di intendere o di volere” (articolo 85 del C.p.) in quanto affetto da una condizione di infermità mentale. Se la perizia dimostra che al momento in cui ha commesso il reato l’autore era privo della capacità di intendere o di volere, il giudice ne dispone il proscioglimento, in quanto non imputabile per vizio di mente.
Se la perizia si esprime inoltre positivamente sulla probabilità che il reo possa compiere altri reati, il giudice lo valuta come socialmente pericoloso (articolo 203 C.p.) e ne dispone l’internamento in Opg per un periodo di due, cinque o dieci anni a seconda della gravità del reato commesso. A quel punto sarà il giudice di sorveglianza a decidere sul destino del reo, disponendo la sua reimmissione in libertà solo quando saranno cessate le condizioni della pericolosità sociale.
Non essendo l’Opg una struttura terapeutica, ma solo custodialistica, per la maggior parte degli internati l’etichetta del socialmente pericoloso come potrebbe scomparire?
Per riconoscere il vizio di mente non basta che il reato sia commesso da una persona già riconosciuta come malata di mente. Il vizio di mente, presente nel momento del reato, deve essere sempre dimostrato. L’imputabilità è esclusa solo nel caso in cui venga dimostrata una condizione di infermità mentale che abbia influenzato in modo giuridicamente rilevante la capacità di intendere e di volere del soggetto autore di reato. L’imputabilità è sempre presunta in chi ha compiuto 18 anni (a meno di dimostrare il contrario con la perizia) e sempre esclusa in chi non ha ancora 14 anni (articolo 97 C.p.).
“Intendere” significa avere la capacità di comprendere il valore dei propri atti e di valutare l’efficienza causale degli stessi. “Volere” è l’attitudine del soggetto, dopo essersi reso conto del valore dell’atto che sta per compiere, a volerlo o non volerlo, a resistere o meno agli impulsi che lo sollecitano. Quindi la legge richiede, per lo stato di imputabilità, che il soggetto deve aver voluto il fatto che costituisce reato. L’imputabilità è data dalla presenza di ambedue le capacità. È sufficiente che una delle due sia esclusa, o gravemente scemata, per escludere l’imputabilità (e la punibilità) o per attenuare la responsabilità penale.
Negli Opg, oltre ai malati prosciolti per vizio totale di mente (articolo 222 del C.p.), si trovano anche i condannati assegnati ad una casa di cura e di custodia (articolo 219 del C.p.), in quanto riconosciuti affetti da vizio parziale di mente (articolo 89 del C.p.) al momento del reato. Inoltre vi si trovano anche coloro ai quali vengono applicate provvisorie misure di sicurezza (articolo 206 del C.p., articoli 312 e 313 del C.p.p.) disposte dal giudice per l’infermo di mente, durante la fase istruttoria o il dibattimento. Vi si trasferiscono inoltre i carcerati quando sopraggiunge, durante la detenzione in carcere, una condizione di infermità mentale (articolo 148 del C.p.).
Negli Opg italiani attualmente risiedono circa 1.200 detenuti, la maggior parte di loro si è macchiata di reati lievi o banali. Non ci sono stupratori né serial killer negli Opg italiani. Si tratta in genere di malati psichiatrici che hanno commesso dei piccoli reati in casa, a danno dei loro familiari, e che finiscono nella spirale di una detenzione continuamente prorogata e rinnovata da parte dei giudici di sorveglianza. Per quello che hanno commesso non sono riammessi in casa, perché rifiutati dai loro familiari, e non essendoci delle strutture sociali di accoglimento finirebbero in mezzo ad una strada: troppo a rischio di recidiva di un reato per perdere quindi la posizione di persone socialmente pericolose.
Statisticamente i malati mentali che commettono reati rappresentano, rispetto alla popolazione generale di tutti i malati mentali, la stessa percentuale di quelli che commettono reati e sono sani di mente, rispetto a tutta la popolazione generale.
Fortunatamente sono pochissime le patologie psichiatriche a rischio di comportamenti aggressivi ed eterolesivi. Possono esserlo i paranoidei quanto i soggetti cosiddetti borderline, per il resto si ha che la stragrande maggioranza degli psicotici schizofrenici ha il rischio di condotte aggressive né più né meno come un soggetto diabetico. Ci possono essere dei malati psichiatrici, anche molto deteriorati, che conservano ed hanno ben presente il concetto di furto e della punizione che ne segue.
La nozione originaria di “follia omicida” o di “pazzo criminale” è quindi una nozione da rivedere soprattutto oggi che il Parlamento italiano mette mano alla revisione della normativa sui trattamenti psichiatrici ospedalieri. Un esempio di questa tendenza attuale delle perizie psichiatriche sull’uso molto restrittivo del vizio di mente può essere rappresentato da casi come quello di Pietro Maso, oppure di Luigi Chiatti. Entrambi sono autori di delitti efferati contro i genitori o contro dei bambini, entrambi sono stati giudicati nelle perizie psichiatriche sani di mente (nel senso che si rendevano conto di quello che stavano compiendo), quindi sono stati considerati imputabili e condannati al carcere. Il mondo della psichiatria è per questo assai critico nei confronti degli Opg e chiede una loro emancipazione sociale e terapeutica, come è già avvenuto per i manicomi civili.
Possiamo concludere con l’affermare che se un automobilista un po’ irascibile prende a male parole un vigile urbano, è probabile che se la cavi con una multa o con una leggera condanna con la condizionale. Ma se gli stessi epiteti, allo stesso vigile, sono pronunciati da una persona con qualche disturbo psichico, quel banale incidente verrà pagato con mesi di manicomio criminale.
Le norme del Codice penale
Articolo 42 – Responsabilità: nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà.
Articolo 85 – Capacità di intendere e di volere: nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.
Articolo 88 – Vizio totale di mente: non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere.
Articolo 89 – Vizio parziale di mente: chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita.
Articolo 203 – Pericolosità sociale: è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti previsti come reati, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
La storia di Antonietta Bernardini
Antonietta Bernardini muore il 31 dicembre 1974, mentre era degente presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli, in seguito alle ustioni riportate per l’incendiarsi del suo materasso sintetico. Il materasso prese fuoco mentre era legata a letto, da almeno quattro giorni, presso l’Opg di Pozzuoli (che per questo incidente verrà poi chiuso nel 1975).
La donna aveva circa 40 anni, veniva da una borgata romana, era sposata ed aveva una figlia. Da qualche tempo soffriva con disturbi depressivi ed era stata più volte ricoverata presso l’ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma. Mentre era in fila alla biglietteria della stazione Termini ebbe un banale battibecco con un’altra anziana donna, intervenne un giovane che spintonò la Bernardini la quale reagì con uno schiaffo. Il giovane si qualificò come carabiniere ed arrestò la donna che venne poi portata a Rebibbia. Visti i precedenti psichiatrici, la donna transitò brevemente al S. Maria della Pietà ed arrivò all’Opg di Pozzuoli, in osservazione. Ci restò per quasi 14 mesi, in attesa del processo. La cura che riceveva in Opg consisteva essenzialmente nella contenzione al letto, dove passava quasi tutto il suo tempo e dove alla fine trovò la morte. Ci fu una inchiesta ed un processo a carico del direttore, del vicedirettore, di una suora e di tre vigilatrici. Condannati in primo grado, furono poi assolti in appello in quanto la coercizione a letto dei malati psichiatrici fu considerata dai giudici una pratica legittima.
Se un malato psichiatrico commette un reato
a) se viene riconosciuto il vizio totale di mente (art. 88 C.p.) e se viene giudicato non socialmente pericoloso (artt.203 - 133 C.p.): viene prosciolto e rimesso in libertà (artt. 529 - 530 C.p.p.);
b) se viene riconosciuto il vizio totale di mente (art. 88 C.p.) e se viene giudicato socialmente pericoloso (artt.203 -133 C.p.): viene prosciolto e internato in un Opg per 2, 5 o 10 anni (artt. 215 - 222 C.p.);
c) se viene riconosciuto il vizio parziale di mente (art.89 C.p.): viene condannato (ad una pena minore), ma prima di entrare in carcere (art. 656 C.p.p.) trascorre un periodo di 1 - 3 anni in un Opg, per il trattamento della patologia di mente (artt. 215 - 219 C.p.).
Gli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani
Sono circa 1.200 i pazienti detenuti nei sei istituti italiani tuttora attivi. Questi pazienti sono stati prosciolti dal reato commesso, ma sono stati condannati alla misura di sicurezza dell’Opg a causa della loro potenziale pericolosità. La media della permanenza è di circa 3 anni, indipendentemente dal reato commesso.
Il più grande di questi istituti è l’ospedale lombardo di Castiglione dello Stiviere, che accoglie circa 300 pazienti. Castiglione è l’unico istituto con una sezione femminile, ove risiedono circa 50 detenute.
Gli altri cinque istituti sono quelli di Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).
In ciascuno di questi istituti risiedono circa 150-200 detenuti i quali ricevono, come trattamento terapeutico, alti dosaggi di farmaci antipsicotici.
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