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novembre / dicembre/2002 - Interviste
Caritas
E gli strateghi riscoprono gli Alpini
di Gerardo Dettori

Solo a Roma, ogni giorno il 40% dei rifiuti è di origine alimentare. La Caritas pone il problema del recupero, ma ora c’è un disegno di legge del governo

In una città come Roma, quanto cibo (non intendiamo gli avanzi della tavola da destinare all’immondizia) viene gettato, disperso, sprecato, per dirla con una sola parola?
Tanto, troppo.
Ce lo conferma la Caritas dell’Urbe che addirittura ha quantificato tale spreco alimentare, calcolandolo intorno al 40% dei rifiuti giornalieri totali (cioè tutto quello che viene gettato nei cassonetti).
Sono cifre che fanno inorridire, anche alla luce di quanto avviene in altre parti del mondo, dove ogni giorno muoiono letteralmente di fame migliaia di bambini e adulti.
Proprio la Caritas auspica un pool fra Comune, parrocchie ed altre organizzazioni di assistenza, al fine di evitare, per quanto possibile, questo indegno spreco di risorse alimentari.
Una mappa del fenomeno nelle strade di Roma: si comincia alle otto del mattino con i supermercati, dove vengono caricati dai camion dell’Ama (l’azienda che cura anche la nettezza urbana) latticini scaduti, avanzi della pescheria e del banco del pane.
Alle 14 tocca alle mense, comprese quelle degli ospedali (il San Giovanni, uno fra i più grandi, dispone di quaranta contenitori da tre quintali ciascuno).
Alle 15 è la volta dei mercati rionali: fra la loro chiusura e l’intervento dei camion raccoglitori, passa circa una mezz’ora durante la quale si raccolgono frutta di stagione.
Alle 20, infine, tocca ai supermercati del centro (quelli più piccoli) dove si raccolgono avanzi di pizzette, panini, dolcetti eccetera.
Un discorso a parte meritano i 64 “grandi utenti” cioè alberghi, ristoranti, fast-food e supermercati, tutti situati nel centro storico della Capitale. Con questi “produttori di rifiuti”, l’azienda romana incaricata della raccolta, ha stipulato una sorta di accordo particolare: i sacchi vengono accumulati nei magazzini o nei cortili interni non accessibili da “estranei”, finché gli appositi camion non passano a raccoglierli secondo orari prestabiliti; rifiuti “blindati”, dunque; e non è possibile sapere quanto e cosa viene buttato.
Per i fast-food ci si può fare una idea considerando che ogni sette minuti vengono rinnovati gli “scaffali” del cibo preparato, per cui all’ottavo minuto l’hamburger con le patatine viene già considerato un rifiuto.
Sempre per parlare di sprechi visibili, basta fare un giretto verso mezzanotte, prima dell’arrivo dei mezzi di raccolta, in certi luoghi. Ad esempio in piazza Augusto Imperatore, dove gravitano alcuni ristoranti di lusso che, di notte, appunto, mettono fuori i sacchi con i resti, non serviti, dei buffet e dei frigoriferi; in Trastevere talune pizzerie svuotano le cucine e riempiono i cassonetti con chili e chili di pasta lievitata non utilizzata per le pizze.
Ma tutto questo non è solo un fenomeno notturno.
Ore 8 del mattino davanti ad un supermercato di Trastevere: i latticini e i formaggi in genere scaduti, vengono ordinati su un carrello per essere poi consegnati all’Ama.
Ore 14, mensa dell’ospedale San Giovanni. I cibi precotti, sigillati, vengono accumulati in una zona della cucina vicino all’uscita, nei pressi dei cassonetti. Sono centinaia di pasti, non consumati dai pazienti per varie ragioni, che finiscono nella spazzatura.
Ore 15 nel mercato di Campo de’ Fiori: fra la chiusura dei banchi e la raccolta degli addetti alla nettezza urbana passa una mezz’ora, durante la quale si raccolgono, tanto per fare un esempio, pesche da tre euro il chilo, casse di insalata.
Insomma rifiuti... di lusso, come li ha chiamati un cittadino canadese di passaggio a Roma che ha potuto osservare, per diversi giorni, questo fenomeno. “Penso, quando vedo questi spettacoli, ad una istituzione del mio paese (ha dichiarato ad un quotidiano romano che ha affrontato la questione degli sprechi alimentari), una organizzazione che si chiama “Montreal Harvest” che cura la raccolta dei rifiuti alimentari presso i tre immensi mercati della mia città, Montreal, appunto. Tutta la roba - precisa il turista - viene accumulata in un grande centro, selezionata e poi regalata, per la parte ancora commestibile e igienicamente sicura, ai bisognosi”.
E forse proprio ad una struttura come quella canadese deve aver pensato monsignor Di Tora, direttore della Caritas, che ha lanciato l’appello a non fare sprechi soprattutto di generi alimentari. Lo ha fatto nel corso di un convegno svoltosi in Campidoglio per sensibilizzare autorità (non solo comunale) e cittadini sul problema degli alimenti gettati nella spazzatura.
Il concetto di monsignor Di Tora, in sostanza, è questo. Si possono fare accordi individuali con produttori e distributori per non buttare quegli alimenti che non si riescono a vendere e che magari, dopo due o tre giorni, “scadono”, secondo le norme di legge in materia. Si può pensare, secondo il direttore della Caritas, ad alcuni carri frigo che potrebbero raccogliere quello che sta per essere distrutto, magari anche in attesa di norme specifiche in materia.
Negli Stati Uniti, ad esempio, esiste una legge detta del “buon samaritano” con la quale si è previsto che anche cibi cotti o precotti possano essere consegnati alle associazioni di carità. “Noi - ha tenuto a sottolineare don Di Tora - insieme ad altre associazioni, proponiamo di introdurre una legge consimilare anche in Italia”. E vedremo come questa idea è stata recepita dal governo.
Intanto, sempre la Caritas, nello scorso anno ha scritto a centinaia di produttori di generi alimentari affinché donino quanto rischia di essere sprecato; una decina di aziende ha già aderito all’iniziativa consegnando all’organizzazione pacchi di pasta alimentare, surgelati e prodotti confezionati destinati dalla Caritas alle proprie mense.
Insomma molto si può fare, con la collaborazione di tutti. Nella sola Capitale, ci sono tonnellate di materiale alimentare “blindato”, come s’è detto, che va sprecato. L’aggettivo “blindato” sta a significare che non è dato sapere quanto e cosa viene destinato all’immondizia. Forse si tratta di un... segreto fra i meglio custoditi della città di Roma.
E non ci vuole molto ad immaginare - scrive il Corriere della Sera nelle pagine romane - cosa potrebbe succedere nel caso in cui l’arcano dovesse venir svelato: l’assalto all’arma bianca da parte di quel vasto popolo che vive ai margini della nostra società.
A pensarci bene questa riservatezza nel far conoscere l’esatte cifre dello spreco (ammesso che sia possibile quantificarlo) è il simbolo della nostra epoca consumistica. Insomma, da una parte c’è chi spreca e dall’altra chi sogna un panino con qualcosa dentro.
D’altra parte questo fenomeno della cattiva distribuzione del cibo, è stato sottolineato (ma forse con scarsa forza) nel convegno di Johannesburg dedicato alla salute della terra (e dei suoi abitanti, aggiungiamo noi): c’è una ristretta minoranza che mangia bene e un gran numero di persone (fra cui tantissimi bambini) che invocano almeno un pasto al giorno. Tuttavia, al di là degli appelli della Caritas e di tante altre associazioni consimili, questa ignobile sperequazione alimentare, non trova il giusto e continuo risalto sui mezzi di comunicazione. Fors’anche perchè nessuno sa o vuole pensare ad una soluzione globale (non globalizzata, però) che possa avere valore per tutto il mondo.
Forse per questo, ben vengano gli appelli della Caritas per quanto riguarda la Capitale d’Italia. La questione potrà apparire limitata, settoriale, certo; ma intanto cominciamo da Roma, dalla culla del Cristianesimo, che è solo ed esclusivamente amore per il prossimo, giusto l’insegnamento di Cristo che è radicale, senza possibilità di distinguo, di interpretazioni più o meno capziose, senza opportunismi.
Nella circostanza, come giustamente sostiene il già ricordato articolo del Corriere della Sera edizione romana, non bisogna lasciare tutto e sempre sulle spalle della Caritas. Forse sarebbe opportuno e giusto un coordinamento con le strutture del Comune di Roma e con tutte le altre associazioni laiche che operano nel settore. Ed è proprio nel momento in cui scriviamo che apprendiamo che il Consiglio dei Ministri, su proposta del presidente Berlusconi e del ministro Maroni, ha approvato un disegno di legge (originato da alcune proposte del “Banco Alimentare”, della comunità di Sant’Egidio e di alcuni giuristi) con il quale si autorizza a devolvere ai bisognosi le enormi quantità di cibo non consumato e destinato ad essere distrutto. Con questo provvedimento normativo, in sostanza, si sono superati gli ostacoli burocratici e sanitari che, oggi, non permettevano di riutilizzare il cibo deperibile.
Oggi solo il cibo non deperibile poteva essere usato per fini assistenziali e filantropici, ma non quello deperibile che va in scadenza come detto nei supermercati, o quello che rimane nelle mense scolastiche o aziendali e che deve essere distrutto.
Questa norma del d.d.l. ricorda assai da vicino la già ricordata “Good Samaritan Law” degli Stati Uniti: nel 1996 il presidente Clinton affrontò il problema e, andando contro tutte le pastoie burocratiche, lo risolse con questa “legge del buon Samaritano” che elimina tutti i vincoli e i controlli di carattere igienico e tributario per quelle organizzazioni di volontariato che vanno a recuperare cibo e lo portano alle mense dei bisognosi, senza alcun fine di lucro.
Il disegno di legge italiano si deve anche a Cecilia Canepa, impegnata in opere di beneficienza. Di fronte al problema dello spreco di alimenti, la Canepa ha preso contatto con l’Associazione di volontariato americana “City Harwest” che organizza negli Stati Uniti il recupero e la distribuzione dei prodotti alimentari. Sulla base di questa sua esperienza, ha cercato di capire come si poteva introdurre anche in Italia la norma che risolvesse il problema.
Nello stesso tempo ha cercato di attivarsi per risolvere la questione insieme al presidente del “Banco Alimentare” Marco Lucchini, con l’ausilio di due giuristi: l’ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli e Mario Ciaccia già della Corte dei Conti ed attualmente capo di gabinetto del ministro Urbani.
Si è trovato così il sistema di superare le difficoltà tecniche che impedivano di utilizzare la grande massa di cibo sprecato.
Ora, grazie alla nuova norma, le associazioni di volontariato vengono equiparate all’utilizzatore finale: come se ad una mensa, fosse presente anche l’associazione di volontari che, alla fine del pasto si porta via quello che è rimasto.
Si sono scavalcati problemi di responsabilità e di igiene dal momento che il cibo non viene consegnato ad altre persone, ma è come se fosse utilizzato da chi è seduto al tavolo della mensa che potrà quindi utilizzarlo a sua volta al di fuori della sala ove si consuma il pasto comune.
Il provvedimento, come abbiamo detto, è stato tradotto in d.d.l. e approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 ottobre scorso, dopo il placet della Conferenza Stato-Regioni.
Ora si attende l’iter parlamentare che, dato lo scopo assistenziale, non dovrebbe riservare sorprese di alcun genere. O almeno così si spera.

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