L’Ammiraglio Falco Accame risponde alle domande sulle prospettive belliche nel Medio Oriente e commenta la partecipazione italiana in Afghanistan
Spirano venti di guerra sullo scenario internazionale: quale è il suo pensiero in merito? Questo “fronte irakeno” che vogliono gli Stati Uniti, è veramente inevitabile o rimangono ancora margini di trattativa?
Il fronte irakeno è legato soprattutto ad esigenze di immagine e di politica interna Usa ed anche alla esigenza dell’apparato degli armamenti (creare consumo di armi per dare la possibilità di sviluppo a nuovi modelli).
Per il Presidente degli Stati Uniti, specie in vista di elezioni, è più importante avere un buon nemico (anzi un ottimo nemico) che avere un buon (ottimo) amico. Perciò è molto probabile che la guerra prima o poi si faccia. Naturalmente occorrerà creare un casus belli sufficientemente credibile.
In Italia ne abbiamo fatto esperienza: era ciò che Mussolini chiedeva per giustificare la sua politica coloniale. Di conseguenza è probabilmente la esigenza di evitare che possano configurarsi situazioni da casus belli che deve essere quantomeno nei propositi dell’Irak e delle Nazioni Unite.
Ritiene giusta e corretta la posizione del governo italiano per quanto riguarda l’invio di truppe specializzate in Afghanistan?
La nostra politica militare è, anche in questa occasione, come sempre, una politica di facciata, una politica spettacolo, una politica del far credere. Bisogna fare la faccia feroce per compiacere gli Usa e farsi dare un attestato di buona condotta.
Naturalmente una operazione di questo tipo (e per di più configurata come una guerra preventiva) è in totale contrasto con lo spirito della Costituzione che chiede che le nostre Forze Armate siano impiegate a scopi difensivi dei nostri confini.
Anche l’Alleanza Atlantica, del resto, è nata come una alleanza a scopi difensivi. Nell’impiego delle truppe ci si accorge poi che con la solita incredibile superficialità che ci contraddistingue, in 50 anni non abbiamo neppure aggiornato i Codici militari che sono datati ancora dagli anni Quaranta.
Nel 1977 chi scrive avanzò proposte in Parlamento per la revisione dei Codici. Ma per 25 anni sono rimaste lettera morta. Quando alcuni mesi fa abbiamo inviato il primo contingente in Afghanistan per operare nel regime del Codice di Guerra, visto che in questo caso, a differenza delle altre missioni, questa non poteva definirsi una missione di pace, abbiamo fatto operare le nostre truppe secondo norme che stabilivano ancora la fucilazione.
Né il ministero della Difesa né il Parlamento se ne erano accorti.
La Gazzetta Ufficiale dovette in seguito correggere le norme che erano state impartite. Ora vogliamo inviare gli Alpini che non più di qualche anno fa erano stati ritenuti inutili dai nostri strateghi e che invece ora i paesi dell’Alleanza hanno ritenuto le uniche truppe italiane in grado di essere impiegate efficientemente nella missione. C’è da sorridere pensando che nessun vertice militare ha ritenuto opportuno, quanto meno, farsi un po’ di autocritica!
La guerra preventiva all’Irak può avere, a suo giudizio, un effetto nella lotta al terrorismo islamico?
Non credo che la guerra preventiva all’Irak possa avere conseguenze positive nella lotta al terrorismo internazionale. È più probabile che abbia effetti negativi perché certamente alimenta una spirale di odio che favorisce il fondamentalismo islamico e i motivi della sua opposizione all’occidente. Ma credo che per gli Usa sia importante mantenere viva la minaccia del terrorismo che indubbiamente è un collante interno degli Usa attorno al suo governo, ma che serve anche a costringere i paesi occidentali ad appoggiare gli Usa e infine serve per mettere in difficoltà le forze politiche di sinistra all’estero.
Non dimentichiamo che nella scorsa legislatura il governo italiano di centro sinistra si è trovato a dover dichiarare guerra alla ex Jugoslavia. Ciò ha creato forte divisione all’interno della sinistra e un suo netto indebolimento, come possiamo oggi constatare.
(Intervista a cura di Ettore Gerardi)
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