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ottobre/2002 - Laboratorio
Laboratorio
Chi rinnega il suo passato
di Massimiliano Valdannini

Il sindacato è anche e soprattutto sinonimo di confronto con la società che ci circonda, quindi quali sono le remore di chi prima di agire sindacalmente o politicamente deve essere necessariamente sdoganato da qualcun altro?
È possibile che il grigiore sull’informazione televisiva e sulla carta stampata, da tempo sempre più imperante, si sia impossessato anche delle nostre menti?
La società italiana in questi ultimi tempi è stata scossa da eventi che sicuramente avevamo abbandonato, con la memoria, sul finire degli anni ’70, ma amaramente siamo stati costretti a costatare che sono tornati in auge sotto altre forme ma non per questo meno violenti.
Il sindacato di allora era un attento osservatore di ogni mutamento sia politico sia sociale e ad ogni fenomeno preoccupante, il Dna della democrazia, della giustizia, della libertà, della legalità, e dell’obiettività venivano prepotentemente a galla negli uomini che vi militavano.
Cos’è successo e quali eventi di tali gravità si sono frapposti per far sì che alcuni soggetti abbiano modificato se non addirittura annullato il Dna che fino a ieri li aveva contraddistinti?
Che senso ha continuare a promanare all’esterno l’essere “democratici”, quando poi le azioni, l’agire e i fatti smentiscono l’enunciazione di democraticità?
Cosa significa per alcuni essere democratici?
Significa essere obbediente al “conduttore” e non disturbare il conducente per mantenere saldi onori e privilegi?
Essere democratici dovrebbe essere tutt’altra cosa!
Dovrebbe essere il risaltare di quel famoso Dna insito nell’animo, nel cuore, nell’orgoglio e nella dignità dei veri democratici che viene prepotentemente a galla quando si palesa un torto, un’ingiustizia o viene meno lo Stato di diritto.
Il Dna del soggetto democratico non viene fuori a comando o ad esigenze, è un qualcosa che sta dentro ognuno di noi ed è forza scatenante, incontrollabile ed inarrestabile di fronte a palesi ingiustizie, siano esse provenienti dall’esterno sia dall’interno della nostra stessa organizzazione sindacale.
Oggi la società sta mutando continuamente, radicalmente ed in fretta, noi come sindacalisti di una categoria delicata che viene utilizzata per questioni sociali, che sempre più spesso sfociano in situazioni di conflitto e scontro, non possiamo chiuderci nel guscio del puro settarismo categoriale .
È necessario ed obbligatorio aprire la finestra su tutta la società accettando contestualmente, di volta in volta , il confronto su tutte le problematiche che la società civile affronta e quindi viverle e discuterle con essa.
Non possiamo aprire la finestra al mondo solo quando dobbiamo dimostrare il nostro egoismo nel chiedere per la nostra categoria e una volta ottenuto quello che volevamo richiuderla.
Non possiamo e non dobbiamo far finta che esistano solo i poliziotti dimenticando fuori tutto l’altro contesto sociale.
In questi ultimi periodi di dure e aspre polemiche solo pochi soggetti sono rimasti affacciati alla finestra a guardare gli eventi e solo alcuni si sono espressi con assunzioni di vera responsabilità verso i singoli accadimenti.
È possibile che all’interno di una stessa organizzazione sindacale debba esserci sempre un congruo numero di agnostici che si pongono costantemente in posizione attendista, di indecisionismo cronico, o che in qualunque caso debbano esprimersi sempre dopo aver ascoltato l’oracolo di turno?
Quale potrebbe essere la giusta quantità di adrenalina per risvegliare in costoro l’antico Dna, per fargli riacquistare l’orgoglio e la dignità di essere e non dell’apparire?
All’inizio di questo percorso erano tanti quelli che si autodefinirono democratici e di sinistra, non fosse altro che quando intraprendemmo il nostro cammino (1981) su questo fronte vi era attestato circa l’80% dei lavoratori iscritti alla nostra stessa organizzazione sindacale.
Oggi ci si è attestati intorno ad un 30% nazionale, nonostante l’ennesima diaspora a sinistra.
Ma a quanto pare l’ennesima divisione, al di là della spinta iniziale, non ha prodotto fatti concreti, insomma non ha fatto la differenza! Non dico che la scelta operata nel ’99 sia stata sbagliata e tantomeno la rinnego.
Ad oggi di quella operazione continuo a dissentire sui modi e sui metodi con cui fu attuata e non per le motivazioni che sicuramente potrebbero essere condivisibili oggi più che mai.
La condizione per la quale eravamo rimasti era perché la nostra dignità, il nostro orgoglio e la nostra deontologia ci impedì di accettare imposizioni e di farle, quindi, ricadere supinamente sui lavoratori senza un minimo di confronto obiettivo e tantomeno quindi per fare mera presenza testimoniale all’interno della stessa organizzazione sindacale in cui avevamo deciso di permanere.
I testimoni di quello che fu un evento epocale, quale quello del movimento dei poliziotti democratici, tendono a sparire per questioni meramente anagrafiche, mentre quelli più giovani abbandonano, per delusione o per stanchezza a causa dei nuovi falsi profeti, degli ipocriti, dei revisionisti, dei detentori unici della verità, ponendosi, giustamente, contro chi ancora continua a definirsi, soltanto a parole, democratico, usando tale sostantivo solo come laconico surrogato di un tempo che fu, non facendo poi seguire i consequenziali fatti.
Democratici di ieri che oggi stentano a manifestarlo o che si vergognano delle origini.
Così facendo si sono alimentate incomprensioni, diaspore, si sono persi e si continueranno a perdere pezzi del nostro passato.
In tali soggetti sembrerebbe scomparsa la dignità, l’onestà e l’orgoglio di esser stati democratici.
Nel lessico sindacalese è ormai sempre più ricorrente la variante ad una frase datata e quantomai arcaica qual era il “qui lo dico e qui lo nego” che sempre più spesso viene sostituita da una parola molto più vecchia ma riscoperta con notevole frequenza ai giorni nostri: “abiuro”.
L’arte dell’abiura consiste nel gusto o nella opportunità di rinnegare il proprio passato, le proprie origini e qualunque filo che possa riportare ad un passato che risulti in antitesi con gli attuali assetti politico istituzionali.
Sempre più frequente, e non velata, è l’azione di negazione a precise domande tipo “ma tu non eri …? “, e a queste ci si sente rispondere “…ero giovane, ...ero immaturo, ...non ero io, ...avevo dei cattivi maestri, ...era un momento di crisi e di debolezza”, e giù frasi ed argomenti per ripudiare ciò che si era stati.
Questa continua abiura sta a significare che la persona sta iniziando, o ha già completato una metamorfosi per schiudersi o farsi vedere purificato ai nuovi scenari politico-sindacali.
Di esempi reali ne abbiamo a iosa basta consultare giornalmente i quotidiani, tra cui possiamo citare un leader del centro destra che, nel contesto di una frase, ha abiurato “Mussolini” non definendolo più “un grande statista”, ma va detto che non va certo meglio alla sinistra che ha abiurato simbolo e passato e un suo leader ha avuto a dire “non sono mai stato comunista”.
Quindi se abiurano i cosiddetti grandi della politica, chi siamo noi per rimanere settari e fedeli al nostro originale credo? Pertanto per essere in linea con la moda del momento, alcuni si sono gettati a capofitto in questo metodo dell’abiura riuscendoci in maniera perfetta!
E possiamo essere certi che prima o poi abiura chiamerà abiura, anche se poi gli abiuratori negheranno di aver abiurato.
La crisi che ha colpito noi che fummo per buona parte del ’900 il fulcro principale del riscatto proletario e dell’incivilimento nazionale, e che fummo una delle parti dell’epicentro della sinistra e dell’antifascismo, che pensammo la politica come arena di ingegno e moralità, come fuga dai corporativismi e lotta per l’egemonia, come scienza sociale e costruzione democratica.
No noi non siamo più quelli, anzi non lo siamo mai stati!
Molti di noi oggi hanno difficoltà non solo nel dire chi siamo, ma principalmente quel che noi fummo.
Pochi soggetti non paghi delle loro abiure hanno pensato bene di coinvolgere dentro queste crisi, del tutto personali, anche chi non ha mai pensato lontanamente di rinnegare il proprio passato, e laddove non ci si è riusciti è iniziata immediatamente una campagna di delazione, di disconoscimento, di caccia alle streghe e all’untore. Ma il seme della democrazia albergherà sempre negli uomini e nelle donne che prima o poi risorgeranno dalle proprie ceneri, sconfiggendo l’apatia momentanea che li ha pervasi e uscendo dal torpore riscopriranno l’orgoglio e la dignità di essere se stessi e non ciò che gli altri vorrebbero che tu fossi.
Un pensiero fra tutti gli altri mi pervade e mi fa chiedere dove siano finite le “belle” bandiere da seguire che Pasolini citava, e con la morte nel cuore constatare che sempre più spesso alcuni cosiddetti democratici cercano il “nuovo” della sinistra sulle bancarelle dell’antiquariato della destra.
Massimiliano Valdannini
Segr. Prov. Siulp - Roma

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