Il commissario di Pubblica Sicurezza Giuseppe Dosi, l’investigatore che non credendo alla colpevolezza di Girolimoni, si diede alla ricerca del vero colpevole, morì a Roma, alla veneranda età di novantuno anni, nel 1981. Come abbiamo accennato in queste pagine, il suo impegno nelle indagini lo portò in maniera inequivocabile ad identificare nel pastore protestante Bridges l’omicida delle quattro ragazzine romane. Figlio di un sottufficiale dei Carabinieri, Dosi, nel 1913, si classificò terzo su seicento candidati ad un concorso per Delegato di Pubblica Sicurezza (così si chiamavano allora i commissari).
Dosi, assolutamente certo della innocenza di Girolimoni, cominciò a bombardare il ministero dell’Interno con rapporti riservati nei quali esponeva le sue certezze sulla colpevolezza del Bridges e le corredava con inconfutabili prove. Ma gli inquirenti non ne vollero sapere: il caso era chiuso e Girolimoni era colpevole (salvo, dopo anni, doverlo scarcerare perché estraneo ai fatti). Ma Dosi continuò a scrivere ai superiori definendo “imbecilli” le indagini che accusavano Girolimoni.
Dire che Dosi ebbe la carriera facilitata da questo suo zelo, sarebbe un errore colossale. Trasferito, punito, sospeso dal servizio; il commissario continuò a pagare per tutti i “disturbi” che aveva creato alla questura romana.
Scrisse un libro sul caso Girolimoni nel quale si raccontavano, tra l’altro, gli errori degli inquirenti e le coperture politiche che il pastore Bridges aveva avuto. Inviò una copia del suo libro al Duce. Per tutta risposta Dosi si vide prelevare e portare al carcere di Regina Coeli e di qui, dopo tre mesi, al manicomio dove fu etichettato come megalomane e squilibrato e dove rimase diciassette mesi.
Liberato quando la guerra era già scoppiata, riprese la sua vecchia passione giornalistica; semiclandestinamente lavorò all’Eiar (la Rai di oggi), ma l’8 settembre 1943 rifiutò di trasferirsi al Nord dove avrebbe potuto prestare servizio alla radio della Repubblica sociale.
Licenziato, attese che gli alleati giungessero a Roma riuscendo, appena i nazisti lasciarono precipitosamente la Capitale, ad entrare in possesso dei fascicoli riguardanti i detenuti in via Tasso, la triste prigione ove aveva imperato il colonnello Kappler. Chiese ed ottenne che la sua carriera fosse ricostruita e si trovò quindi ad essere promosso questore nella Divisione Affari Riservati.
Fu uno dei promotori della Commissione internazionale della Polizia Criminale e ne inventò il nome “Interpol”, brevettandolo. Portano il suo nome indagini di successo contro i trafficanti di droga internazionale, contro la mafia italo-americana, eccetera.
Nel 1956 venne posto in congedo.
E. G.
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