Ormai nel terzo millennio, gli operatori della sicurezza debbono poter esprimere una professionalità ad altissimo livello: per tale obiettivo occorrono investimenti, sostegni di enti e amministrazioni locali, strutture formative adeguate
Siamo entrati in un nuovo millennio, la società nella quale viviamo si trasforma ad una velocità tale che spesso abbiamo la sensazione d’essere vecchi e fuori luogo. Una nuova Polizia dovrebbe essere la diretta conseguenza di tale evoluzione. Innanzi tutto perché la Polizia è fatta di persone, d’uomini e donne alle prese con i loro problemi quotidiani, che hanno dei loro affetti, una loro famiglia e che, come tutti, vivono in questa società. E soprattutto perché l’attività di Polizia non si esplica in maniera astratta, ma interagisce concretamente e direttamente con la vita sociale e quotidiana di tutta la comunità, e oggi, di tutta l’Europa.
L’obiettivo principale da perseguire deve essere, quindi, l’acquisizione da parte degli operatori delle Forze di polizia, di una professionalità all’altezza dei nuovi compiti che un’area comune di sicurezza interna all’Europa comporta. Non è pensabile realizzare tale obiettivo senza investire notevoli risorse economiche ed umane, senza il concreto sostegno d’enti ed amministrazioni locali, di figure professionali competenti e di strutture formative adeguate. Il mondo della politica e quello della cultura non hanno mai prestato molta attenzione a quest’aspetto. Gli eventi del G8 di Genova hanno altresì prepotentemente evidenziato la necessità di valorizzare la professionalità delle Forze di polizia.
È ora che cominciamo a pensare all’operatore di Polizia come un soggetto che personalmente concorre alla tutela della sicurezza del cittadino come parte integrante della società civile e non più ad un semplice mero esecutore.
È ora che cominciamo a fornirgli la preparazione e gli strumenti per svolgere al meglio, con responsabilità ma anche con serenità, i compiti che la nuova società gli chiede.
L’immagine e l’identità delle Forze dell’ordine sono patrimonio di tutto il nostro Paese. Solo trent’anni fa, quando in Inghilterra i bobby, come sono familiarmente chiamati gli agenti di Polizia inglesi, suscitavano forti simpatie, da noi i poliziotti erano ancora chiamati sbirri. Per un lungo momento la tuta dell’operaio fu contrapposta alla divisa del poliziotto.
Poi il nostro Paese ha vissuto delle vere e proprie emergenze, il terrorismo, la mafia, Tangentopoli, che hanno mostrato il valore e l’affidabilità democratica delle Forze dell’ordine. Inoltre la smilitarizzazione della Polizia di Stato e la contestuale nascita di un sindacato come il Siulp che s’ispira ai valori confederali, che si avvale della cultura della solidarietà sociale e dell’integrazione con la società civile, hanno contribuito a trasformare tale atteggiamento, svolgendo una funzione di orientamento democratico.
Il Siulp, in effetti, nacque venti anni fa, non solo per le esigenze dei lavoratori di Polizia, ma per le esigenze dei cittadini del Paese di avere una Polizia democratica, al servizio della gente, una Polizia trasparente.
Per tutti questi motivi dopo il G8 ci si doveva semplicemente fermare e riflettere, senza criminalizzare o demonizzare un intero Corpo. D’altra parte è preoccupante ascoltare chi sostiene che l’unica soluzione sia quella di individuare nuove e più incisive tecniche repressive. Non serve avere poliziotti, mandati allo sbaraglio sulle strade e nelle piazze, ma è meglio averne molti meno, più preparati, più professionali, più formati sotto l’aspetto investigativo, meglio pagati.
E se vogliamo che fatti come quelli di Genova non si ripetano, dobbiamo aiutare la Polizia favorendo la nascita di un nuovo operatore di Polizia, capace di ascoltare e di interpretare le necessità del cittadino di questa nuova società, sempre più multietnica, sempre più pervasa da un senso d’insicurezza.
Gli ultimi sondaggi del Censis dimostrano che quando si parla di sicurezza la percezione conta più dei numeri. Il 76,9% degli intervistati si dichiara convinto che nell’ultimo anno i reati in Italia siano in aumento e il 36,4% giudica la propria zona di residenza più pericolosa rispetto a cinque anni prima. Ma negli ultimi anni il numero dei reati denunciati è rimasto tendenzialmente stabile, così come la percentuale di persone che dichiara di essere stata vittima di reato è costante e pari all’11% del campione. Emerge quindi chiaramente che uno dei compiti che la nuova società chiede all’operatore di Polizia è di essere rassicurato.
La Polizia attuale non è in grado di rassicurare questa società. Non è in grado di farlo perché è costretta a svolgere la propria attività tra mille difficoltà, spesso priva di mezzi e strumenti adeguati, dalle divise alle autovetture, senza chiarezza di ruoli e funzioni, senza un’adeguata preparazione professionale e culturale.
Il problema, si noti bene, non è la quantità di risorse investite, poiché il nostro Paese spende per la sicurezza il 12,8% del Prodotto nazionale lordo rispetto all’8/9% dei partners europei. Com’è noto l’Italia è anche al primo posto tra i paesi che hanno più operatori di Polizia rispetto ai cittadini (si parla di un rapporto di 1 su 250).
Il fatto grave è che non si ha il coraggio o la volontà di affrontare veramente quelli che sono i problemi reali, che, oggettivamente, impediscono un pieno ed efficace utilizzo delle risorse a disposizione.
Ogni tanto, a fini propagandistici e di visibilità, sono coniati nuovi slogan “Vicini alla gente” o sono dettate agli organi di stampa, anche da ministri dell’Interno, dichiarazioni ad effetto, come “facciamo uscire i poliziotti dagli uffici; la Polizia deve stare tra i cittadini, sulla strada”. Quando leggo dichiarazioni del genere provo una grande amarezza e un gran senso di mortificazione, perché è pura demagogia cercare di far passare il messaggio che il poliziotto in ufficio è la causa principale della disfunzione dell’apparato sicurezza. Nei distaccamenti della Polizia Stradale anche lo stesso comandante è impiegato di pattuglia. Nelle questure il personale assegnato agli uffici ogni domenica è impiegato in pesanti servizi di ordine pubblico, o spessissimo è incaricato di scortare clandestini fermati alla frontiera, o è temporaneamente assegnato alla Squadra Volante.
Inoltre la soluzione del problema non consiste nel far circolare più uomini in divisa nelle strade. Il modello italiano di risposta al crimine è sempre stato eminentemente punitivo e ha seguito orientamenti prevalentemente repressivi.
Risultati incisivi ed efficaci, altresì, si ottengono soltanto mediante una paziente attività investigativa e una meticolosa analisi dei crimini. Questo significa allora che, piuttosto che puntare alla sola visibilità delle Forze di polizia, è necessario potenziare le Squadre Mobili, gli Uffici immigrazione, gli Uffici minori e tutti gli uffici che svolgono una funzione di monitoraggio e studio dei fenomeni criminali.
La Polizia è attività che si fa prevalentemente negli uffici e così è non per l’aspirazione dei poliziotti. Il vero motore dell’Interpol, l’organo internazionale che coordina 178 Polizie di tutto il mondo sin dal 1923, è il Quartier Generale di Lione, in Francia. Qui sono archiviate, custodite e quindi ripescate ed analizzate, le informazioni delle questure, dei commissariati e degli Uffici d’indagine d’ogni parte del mondo. Un puro lavoro di tavolino.
Un altro fattore fondamentale ignorato da certi burocrati ministeriali è che, oramai, la maggior parte di coloro che scelgono questa professione lo fa per passione, perché credono nel ruolo sociale che conferisce loro l’essere poliziotto.
Purtroppo, troppo spesso lavoriamo in strutture assolutamente inadeguate, in condizioni ambientali deprimenti, alle prese con ogni tipo d’emergenza che continuamente condizionano anche la nostra vita familiare. In tanti luoghi di lavoro si avvertono oramai una crescente tensione e una diffusa demotivazione.
È veramente difficile lavorare ammucchiati in sei, sette persone in un ufficio, in situazioni d’assoluta precarietà, sommersi dalle carte e dai fascicoli, dover applicare nuove norme di legge che nessuno mai ti ha spiegato, con la consapevolezza che, in caso di errore, ne risponderai penalmente e disciplinarmente. Non è più rinviabile la revisione del regolamento di disciplina e servizio, troppo sbilanciato a favore dell’Amministrazione rispetto al poliziotto lavoratore.
L’apparato della Polizia di Stato è vecchio, eccessivamente burocratizzato, caratterizzato da una gestione centralizzata che troppe volte dedica i suoi sforzi esclusivamente alla gestione di equilibri di potere. Abbiamo ancora i cappellani e i medici del Corpo, per sottoporci a visite o perizie mediche, siamo costretti talvolta a percorrere centinaia di chilometri per raggiungere l’ospedale militare competente. I colleghi della provincia di Pesaro ogni volta devono andare a Chieti.
Abbiamo ancora tanti aspetti militari che ci separano, di fatto, dalla società civile.
In tanti luoghi di lavoro domina addirittura l’incertezza totale sul proprio futuro. Le Specialità della Polizia Postale, Stradale e Ferroviaria sono sprofondate in uno stato di complessivo abbandono. Nella nostra Provincia, in nome di politiche di razionalizzazione assolutamente confuse e ideate senza considerare l’effettiva realtà locale, il Ministero ha proposto di chiudere il posto di Polizia Ferroviaria e di Polizia Postale e delle telecomunicazioni di Pesaro, nonché il distaccamento della Polizia Stradale di Fano. Il Siulp di Pesaro e Urbino più volte è intervenuto, anche sulla stampa, per impedire l’attuazione di tali propositi, non per motivi corporativi, ma soprattutto per tutelare al meglio la sicurezza della Provincia. Il posto di Polizia Ferroviaria svolge una funzione di sicurezza fortemente preventiva, in una città turistica come la nostra, ove, nella stagione estiva, aumenta notevolmente il passaggio di persone. Deve esserne migliorato il servizio dotandola di una struttura perlomeno dignitosa e non fatiscente come quella attuale. Se si vogliono aumentare i controlli sui treni è inoltre indispensabile potenziarne l’esiguo organico. Recentemente, proprio per aumentare questi controlli, alcuni operatori della Polizia Postale sono stati aggregati alla Polizia Ferroviaria, prescindendo dalle più elementari regole di rispetto della professionalità. Questa è una politica che il Siulp condanna e rifiuta decisamente. La professionalità deve essere valorizzata non disprezzata.
Gli operatori della Polizia Postale e telecomunicazioni, a tutt’oggi, non hanno svolto una sola ora di addestramento informatico.
Il distaccamento della Polizia Stradale di Fano sta cercando praticamente di sopravvivere. I pochi poliziotti che ancora vi sono assegnati, per garantire qualche pattuglia, sono costretti a sacrificare riposi, ad accettare turni che violano il nostro Accordo Nazionale Quadro, a svolgere attività ben al di fuori delle proprie mansioni. Più volte il comandante del distaccamento ha dovuto fare il piantone della caserma.
Questa è la realtà che, a mio parere, può aiutarci a capire perché la Polizia non è in grado di rassicurare il cittadino. Sono tanti, e sempre di più, i poliziotti che accusano malattie psicosomatiche, da stress, da ansia, da depressione. Il tasso percentuale di personale che si ammala cresce continuamente. Il grave è che chi soffre di depressione non può neanche dichiararlo: rischia il proscioglimento. Negli Stati Uniti, altresì, a sostegno e supporto psicologico degli operatori di Polizia che vivono momenti depressivi o di stress nervoso, esistono delle équipe di medici e psicologi specializzati. È semplice: solo chi è sereno può trasmettere serenità.
Un recente articolo su un quotidiano riportava la notizia che un’azienda di telefonia sta cercando un manager che si occupi delle esigenze dei lavoratori, poiché ritiene che chi è contento del proprio impiego e del proprio stile di vita, chi si sente protagonista di un progetto comune, lavori con entusiasmo.
Sono convinto che solo recuperando una sua dignità e ritrovando un minimo di certezze la Polizia sarà in grado di fare ciò che la nuova società le chiede: essere rassicurata. Un vero processo evolutivo si potrà avviare solo trasformando radicalmente i metodi di formazione e addestramento del personale. La professionalità e la preparazione dell’operatore di Polizia non possono essere affidate al caso o all’improvvisazione, ma devono essere dettate, di volta in volta, dalle esigenze di sicurezza oggettivamente esistenti e percepite dalla società. In questo senso assume una rilevanza fondamentale, non solo la preparazione impartita nelle scuole di formazione ma, soprattutto, l’aggiornamento professionale del personale. In sostanza, l’aggiornamento professionale è inesistente, a testimonianza di come la Polizia sia rimasta indietro, al di fuori di questo millennio e di questa nuova società. La prima evidente anomalia è che l’attività di formazione non si svolge presso strutture o scuole specializzate, ma presso le questure e i vari Uffici o Reparti territoriali di appartenenza, che, dal punto di vista organizzativo e didattico, sono assolutamente inadeguati. Il “corpo docente” è costituito da funzionari, ispettori e, talvolta, anche da agenti che lavorano nella stessa sede, che non hanno frequentato alcun corso d’aggiornamento e di formazione all’insegnamento. Molti di loro, anche se in possesso di elevate capacità professionali e di esperienza, non sono degli insegnanti, ossia non sono in grado di trasmettere la loro conoscenza a terzi. I programmi didattici previsti sono uguali per tutti, a prescindere dai ruoli, dall’anzianità di servizio e dalle funzioni svolte. In pratica, l’ispettore addetto ai servizi investigativi segue le stesse lezioni dell’agente assegnato al centralino e del sovrintendente in servizio presso l’Ufficio denunce. Spesso al personale è negata la possibilità di frequentare i corsi di aggiornamento previsti poiché impiegato di servizio. Non sono previsti corsi d’informatica o di lingua inglese. È inesistente la formazione specialistica nel campo investigativo, che è il settore più delicato dei servizi istituzionali delle Forze dell’ordine, soprattutto considerando il recente “allarme terrorismo”.
In un quadro così desolante, appare chiaro come la crescita culturale e professionale sia lasciata più che altro all’iniziativa del singolo.
Altra questione fondamentale, che purtroppo incide negativamente anche nella nostra realtà, è quella del coordinamento fra le Forze di polizia. In particolare, per quanto riguarda gli apparati di sicurezza, appare ormai urgente un passaggio strutturale ed organizzativo in termini di semplificazione dei ruoli e delle competenze dei Corpi di Polizia, che eviti sovrapposizioni, duplicazioni e diseconomie di vario genere.
Attualmente il nostro Paese e i cittadini pagano un prezzo decisamente troppo alto ad interessi che nulla hanno a che vedere con quelli della sicurezza e dell’ordine pubblico, ma che rimangono bloccati su un corporativismo incredibilmente e fortemente condizionante.
È ora di separare chiaramente i Corpi di Polizia dalle Forze Armate, operando una netta distinzione tra Pubblica sicurezza e Difesa.
Oggi la Polizia di Stato ha esclusivamente compiti di Polizia a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, mentre l’Arma dei Carabinieri, che con la recente riforma è diventata quarta Forza Armata, svolge, oltre a tali compiti, anche quello di Polizia militare e viene impiegata in missioni di guerra di “Polizia internazionale” in aree particolarmente a rischio.
Non si tratta di privilegiare l’uno o l’altro Corpo, ma di porre fine ad una confusione di ruoli e competenze e di evitare un accentramento di poteri che, in uno Stato democratico, devono essere nettamente distinti e separati tra loro.
Ulteriori duplicazioni e sovrapposizioni d’interventi e di apparati si determinano con le funzioni svolte dalla Guardia di Finanza.
In definitiva abbiamo da una parte un’Autorità di pubblica sicurezza, il questore, che spesso rinuncia a esercitare pienamente il suo ruolo per non turbare equilibri radicati, dall’altra i Comandi provinciali degli altri due Corpi che, rispettando formalmente quel ruolo, di fatto lo disconoscono, non accettando una dipendenza funzionale piena, e in qualche modo anche gerarchica, da quello che, in definitiva, è anche il Capo delle Forze di polizia nella Provincia.
La norma sul coordinamento prevista dalla legge 121/81 non solo non è attuata, ma è inattuabile: alla legge non è collegata alcuna sanzione in caso di inadempienza. Così, come al solito, tutto è lasciato all’iniziativa dei singoli e ai rapporti di collaborazione tra i vari dirigenti e comandanti delle Forze di polizia di ciascuna Provincia.
In città come Rimini e Genova l’Arma dei Carabinieri concorre con la Polizia di Stato nell’accompagnamento di extracomunitari clandestini od espulsi alle frontiere e ai centri di temporanea permanenza. A Pesaro, la Polizia di Stato è costretta a fronteggiare da sola questa emergenza. Non basta cambiare nome all’Ufficio stranieri e chiamarlo Ufficio immigrazione per risolvere i problemi. Talvolta, anche più volte nel corso della stessa settimana, almeno due operatori sono costretti a partire per Brindisi, Caltanissetta, Lamezia Terme, Agrigento e, quando va bene, Milano.
Il fenomeno dell’immigrazione clandestina è in continua e forte crescita. Se le attuali risorse e condizioni di lavoro del personale della Polizia di questa Provincia rimarranno invariate, ben presto arriveremo al collasso. Le condizioni dei commissariati non sono certo migliori. A Fano è stato allestito un nuovo servizio: la vigilanza dell’aeroporto. Per farlo è stata praticamente cancellata l’attività investigativa di Polizia giudiziaria. Tutto questo in un contesto ove la nostra Provincia, pur avendo valori inferiori alla media nazionale, si configura come una di quelle più a rischio per la rapidità con cui si vanno diffondendo i fenomeni di criminalità predatoria.
I fatti di cronaca legati alle rapine nelle ville, organizzate da bande di albanesi o criminali di origine slava, hanno ulteriormente alzato l’allarme sociale. D’altra parte, il 74,9% degli italiani è convinto che esiste una correlazione diretta tra presenza degli immigrati e crescita della criminalità.
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