Il Segretario generale del Silp-Cgil Claudio Giardullo, risponde alle nostre domande sulla questione delle misure di protezione per i personaggi “a rischio”. Importante la professionalità degli uomini addetti al servizio. E lancia un allarme sulla mancanza di risorse finanziarie per tutte le attività di Polizia
Per parlare del problema delle scorte, partiamo da una affermazione che hai fatto spesso sulle responsabilità del quadro politico generale. A che cosa ci si deve riferire? Come si possono giudicare le ultime circolari del governo e come hanno inciso sulle scelte particolari come quella sulla scorta per Marco Biagi ucciso dalle Br?
Intanto quella circolare ha condizionato il comportamento di tutti gli organi che prima dell’istituzione del nuovo organismo, prima dell’istituzione dell’Ucis, ha condizionato gli organi che avevano delle responsabilità nella decisione dell’attribuzione e delle revoche delle scorte. La circolare del 15 settembre 2001 noi l’abbiamo criticata immediatamente, unico sindacato di Polizia in verità, che l’ha criticata immediatamente e aspramente, perché quello che conteneva, e purtroppo devo dire che i fatti ci hanno dato ragione, ma questo lo diciamo veramente con dolore e con rammarico.
Avevamo intravisto subito i rischi che conteneva quella circolare. Il chiedere agli organismi territoriali di Pubblica sicurezza di ridurre le scorte in quel momento esistenti di almeno il 30% è come capovolgere una corretta ottica che in questo settore va tenuta, cioè valutare con molto rigore il rischio che ogni persona scortata in quel momento correva. La valutazione del rischio è l’attività più delicata che gli organismi di sicurezza pubblica su questo versante, sul versante della protezione, svolgono, perché se si sbaglia la valutazione per eccesso si corre il rischio di usare più risorse di quelle che sono assolutamente necessarie e quindi si sprecano risorse preziose che devono essere usate per la sicurezza pubblica e non solo per la sicurezza dei singoli; se si sbaglia valutazione per difetto, purtroppo ci sono persone che corrono un rischio reale, che corrono un rischio maggiore rispetto a quello che dovrebbero correre, perché non vengono protette e quindi il loro rischio non ha alcuna protezione e copertura da parte dello Stato. La valutazione del rischio è dunque l’attività più delicata.
Da anni nel nostro Paese la prima regola che le autorità di Pubblica sicurezza hanno dovuto osservare è la valutazione attenta del rischio corso dalle singole persone che sono protette. Una circolare che capovolge quest’ottica e parte da un’esigenza, come dire, aziendalistica, di riduzione dei costi e che manda questo messaggio ai prefetti e ai questori; non il messaggio “valutate attentamente il rischio che ognuno corre, fatta questa valutazione riducete dove non c’è questo rischio, dove non serve, dove è bene recuperare risorse”, no, capovolge l’ottica e dice “dovete ridurre del 30% le scorte”. Questo, di per sé è un elemento che condiziona la scelta di prefetti e questori che leggevano in quella circolare l’indirizzo, il vincolo, la direttiva a ridurre di almeno il 30%, ma rispetto ai quali si era creato un clima, un orientamento che veniva dal centro e diceva “il bravo prefetto, il bravo questore deve ridurre ben oltre il 30%”. Un’ottica aziendalistica che in una materia delicata come questa non è adeguata.
L’altro elemento che ha condizionato pesantemente le scelte fatte dall’autorità di Pubblica sicurezza in quel periodo è stata la condizione determinante per la concessione o il mantenimento della scorta, cioè la presenza, in ogni caso, di minacce concrete e attuali alla persona scortata. Il fatto è che non tutte le persone scortate sono scortate perché hanno delle minacce concrete e attuali, vi sono alcune persone che devono essere scortate per il solo fatto che svolgono determinati incarichi. Per fare un esempio, fin troppo evidente, il Procuratore antimafia di Palermo o il Procuratore antimafia nazionale, per il solo fatto che svolgono attività di contrasto da un punto di vista giudiziario delle organizzazioni mafiose, sono a rischio anche se non hanno mai ricevuto o non riceveranno mai in vita loro nessuna minaccia concreta e attuale. Con quella circolare, infatti, proprio dai magistrati si è cominciato a operare, e si è polemizzato molto su questo. Io ricordo che il nostro sindacato ha minacciato anche una fiaccolata a Palermo perché il governo aveva deciso di togliere molte scorte a Palermo, anche a magistrati che erano impegnati sul fronte antimafia e lo faceva sulla base di questa circolare che diceva da una parte di ridurre del 30% e dall’altra parte se non c’è una minaccia concreta e attuale deve essere tolta la scorta. A noi è sembrata una cosa paradossale, estremamente pericolosa, un messaggio pericolosissimo alla società civile e alle organizzazioni criminali; togliere la scorta a magistrati impegnati sul fronte antimafia anche quando non avevano ricevuto alcuna minaccia, ci sembrava estremamente pericoloso anche nei confronti degli operatori di Polizia, che poi erano costretti complessivamente a lavorare in condizioni di maggiore rischio perché minore era l’attenzione complessiva del sistema rispetto a questo versante. Noi abbiamo minacciato una fiaccolata a Palermo, subito tra i primi ad aderire a questa iniziativa ci fu anche il sindaco “forzista” di Palermo, oltre le forze sociali e politiche. Il ministero dell’Interno fece marcia indietro e le scorte a Palermo non furono toccate da nessun punto di vista: né nel numero, né nelle modalità di svolgimento, perché l’ipotesi era anche di fare la scorta senza macchina blindata e questo rendeva non solo la persona scortata, ma anche gli operatori, un bersaglio facilissimo; poi il governo aveva pensato di farle fare in divisa rendendo anche qui gli operatori di Polizia un bersaglio estremamente facile. Di fronte a un attacco sono i decimi di secondo che contano, un operatore in divisa è un bersaglio facilissimo, si comincia a colpire l’operatore ovviamente prima ancora della persona scortata. E questi sono i motivi per cui abbiamo minacciato quella fiaccolata. Le adesioni, le reazioni che abbiamo riscontrato e ricevuto attorno alla nostra iniziativa indussero il governo a fare marcia indietro e le scorte non sono state più toccate. Ma questo lo dico per ricordare che quella circolare aveva, come primi obiettivi, anche quei magistrati che erano impegnati in versanti estremamente rischiosi, ma era quella la cartina di tornasole che ci faceva dire che quella circolare conteneva pesanti, gravi elementi di responsabilità politica, perché non teneva conto del fatto che alcuni servitori dello Stato svolgono funzioni rischiose per conto dello Stato e lo Stato non li può lasciare senza protezione. Purtroppo il caso dell’assassinio di Biagi ha messo in evidenza queste carenze, Biagi era una persona a rischio per il solo fatto di essere il successore di Massimo D’Antona, con il suo incarico di consulente al ministero del Lavoro. Solo per questo fatto egli era a rischio, ma non avendo ricevuto quelle che erano state considerate significative minacce concrete e attuali, lui era senza scorta.
E quindi entriamo direttamente nel campo di una responsabilità politica attraverso le scelte che sono state fatte in quella circolare: la riduzione da una parte del 30% e la richiesta come condizione di minacce concrete e attuali, hanno determinato le scelte. È giusto che siano verificate dal punto di vista delle responsabilità individuali da parte della magistratura, ma le scelte politiche hanno sicuramente determinato scelte sbagliate dal punto di vista delle soluzioni che sono state adottate, ma sono state sicuramente condizionate dal contenuto di quella circolare e da questa esigenza, che veniva in quel momento dal governo, di applicazione di una circolare che doveva tagliare le scorte, a volte in maniera indiscriminata - in quel periodo si era tolta la scorta anche a giudici particolarmente esposti come la Boccassini, per fare un esempio - e quindi si era creata attorno a quella circolare questo clima di pressione nei confronti delle autorità della Pubblica sicurezza perché il numero delle scorte doveva essere drasticamente ridotto.
Allora noi diciamo: bene l’accertamento delle responsabilità - che si faccia il più velocemente possibile ovviamente perché la verità su queste cose va accertata anche in maniera tempestiva, per ridare serenità a chi oggi è impegnato alla valutazione del rischio delle persone protette, a chi deve ancora svolgere questa funzione - ma non si dimentichi mai che c’è una forte responsabilità di governo nell’avere emanato una circolare sbagliata, dai contenuti rischiosi, che secondo me ha fortemente condizionato le scelte dei singoli.
Veniamo a un discorso più tecnico, anche se legato alla valutazione del rischio come dicevi prima. Per motivare questa scelta, cioè la tendenza a ridurre le scorte, si è sviluppata in televisione, sui giornali, una polemica che mi sembra abbia suscitato anche l’ex ministro Scajola. Si è arrivati a dire che le scorte addirittura non servono, anzi che potrebbero essere proprio controproducenti.
Queste sono dichiarazioni gravissime. Nessuno ha mai detto e nessuno può pensare che una scorta sia una garanzia totale per nessuno. Purtroppo l’organizzazione terroristica o l’organizzazione criminale non si ferma, anche di fronte a scorte ben organizzate; le stragi di Falcone e Borsellino lo dimostrano molto drammaticamente. Gli attentati delle organizzazioni terroristiche e criminali non possono essere neutralizzate completamente, soltanto attraverso le scorte. Le scorte non sono la soluzione contro questo, ma di qui a dire che non servono c’è ne corre parecchio. Tra l’altro io mi domando: se non servissero perché sono andati a morire in tutti questi anni, operatori di Polizia che hanno svolto con lealtà e con impegno il loro lavoro, condividendo lo stesso destino delle persone che erano scortate? Ci sembra irresponsabile questa dichiarazione proprio di fronte al sacrificio anche dell’operatore di Polizia. Se veramente le scorte fossero inutili c’è da chiedersi perché i poliziotti, i carabinieri e gli altri appartenenti alle diverse Forze di polizia rischiano.
In realtà non è vero che le scorte sono inutili, le scorte riducono i rischi nei confronti delle persone scortate, inducono le organizzazioni terroristiche e criminali a dover organizzare, in maniera eventualmente diversa, molto più complessa, i loro attentanti e quindi consentono di ridurre le capacità operative delle organizzazioni terroristiche o criminali. Cioè richiedono organizzazioni più impegnative e più complesse, e questo di per sé riduce i rischi; riduce anche il numero dei soggetti che possono decidere di fare un attentato nei confronti di persone scortate.
Poi le scorte sono tanto più efficaci quanto più si inseriscono in un sistema di sicurezza che possa svolgere un lavoro preventivo. La scorta è l’ultimo anello. È ovvio che quando si arriva all’ultimo anello, se un’organizzazione terroristica o criminale è in grado di fare un attentato, è evidente che fino a quel momento non sono state incisive tutte le attività di intelligence e tutte le attività di contrasto dell’organizzazione criminale o terroristica che poi ha deciso di fare un attentanto. L’organizzazione criminale o terroristica ha potuto preparare con calma un attentato che - proprio perché fatto nei confronti di una persona scortata - richiede un alto livello di preparazione e di mezzi messi a disposizione. Di qui l’importanza di un lavoro costante, incessante di attacco - da un punto di vista di intelligence, da un punto di vista dell’investigazione, da un punto di vista della prevenzione - rispetto al mondo del crimine organizzato e delle organizzazioni terroristiche, perché questo riduce anche la possibilità di attentanto nei confronti delle singole persone. L’organizzazione che ha il fiato al collo, sente il fiato sul collo rispetto all’azione dello Stato è un organizzazione che ha molte difficoltà in più nell’organizzare un attentato. Allora la scorta è solo l’ultimo anello, l’ultima difesa. Però anche l’ultima difesa è importante. Più di una volta è successo, persone scortate lo hanno testimoniato, anche persone sottoposte a grossissimi rischi, che la loro vita è stata salvata dalla presenza di una scorta, dalle decisioni delle scorte di operare in certi momenti di rischio in maniera efficace.
La scorta serve, è ancora più efficacie se inserita all’interno di un circuito di sicurezza che funziona, che può svolgere una funzione preventiva attorno a quell’ultimo anello che è costituito intorno alla persona scortata che viaggia nel territorio. Anche lì, se la scorta non è un’entità assolutamente slegata da qualunque altra struttura di Polizia che viaggia nel territorio, consente un certo livello di protezione, se la scorta è un’entità che è in rapporto costante con le Forze di polizia che fanno il controllo del territorio, con le Forze di polizia che svolgono attività di investigazione e intelligence - e quindi sono in grado di allertare le persone che sono oggetto di possibile attentato - allora anche la scorta può svolgere un ruolo molto più efficace.
Dal punto di vista della professionalità e dell’organizzazione delle scorte e di questi servizi di Polizia, secondo te c’entra qualcosa il discorso che facevi prima sull’allentamento di un certo tipo di attenzione? Si può dire che esiste anche un problema di professionalità oppure è solo un problema di risparmio economico, di aziendalismo come dicevi prima? Quando si è posto il problema che c’erano troppe scorte, per alcuni era evidentemente falso - tipo per Biagi - ma è vero che c’è un utilizzo distorto delle risorse di Polizia, una mancanza di protezione?
Ma sì, a volte c’è stato, c’è sicuramente... Allora il punto è l’invito a una valutazione attenta e costante anche dei livelli di rischio. Perché una persona, a un certo momento anche per l’attività che svolge, per le cose per cui è impegnato, per le minacce che in quel momento ha ricevuto può essere ad alto livello di rischio, allora nei suoi confronti vanno attrezzate, vanno predisposte tutte le misure per la protezione, però per evitare che vengano impegnate le risorse in maniera non razionale, che vengano sprecate risorse è fondamentale una valutazione costante dei livelli di rischio che in quel momento le persone scortate subiscono, in modo da adottare decisioni che possano consentire il riutilizzo di risorse nei confronti di persone che in quel momento hanno un maggior livello di rischio. Per cui il punto in questa materia è tenere costantemente aggiornata la valutazione dei rischi e assumere le decisioni di conseguenza perché le risorse sono limitate e ovviamente vanno utilizzate in maniera efficace.
La questione della formazione, della preparazione, della professionalità del personale è una questione fondamentale. Anche da questo punto di vista noi in passato ci siamo battuti, per esempio, perché tutto il personale che svolge attività di scorta svolgesse i corsi formativi specifici, di aggiornamento specifico per questo settore. Per la Polizia di Stato sono i corsi che avvengono presso la scuola di Abbasanta in Sardegna. Perché in passato era frequente che operatori che non avevano una preparazione specifica, ma una normale preparazione generica da operatore di Polizia, venissero impiegati in un settore che, secondo noi, per la tutela delle persone scortate ma anche per maggiore tutela degli operatori stessi, richiede una preparazione specifica, una professionalità adeguata ai livelli di rischio che ormai questi settori corrono. Per cui la questione della formazione è determinante.
Noi siamo preoccupati perché nell’ultimo contratto che abbiamo appena stipulato con l’attuale governo, ma anche dalla stesura del Dpef che è stato presentato, non si coglie un’idea di formazione delle Forze di polizia come risorsa strategica. Questo è preoccupante perché non si coglie la delicatezza dell’impegno che le Forze di polizia hanno in generale, ma anche in settori specifici come questi che ormai sono ritornati ai massimi livelli di attenzione dal punto di vista del rischio. Su questo noi lanciamo un allarme, siamo fortemente impegnati.
Su queste questioni, ma anche sulle altre che riguardano il Dpef abbiamo preso l’impegno di rispondere, qualora non dovessimo vedere che c’è un cambiamento di rotta da parte del governo, qualora dovessimo riscontrare che per il governo la sicurezza, al di là dei proclami che erano stati fatti in campagna elettorale non è una priorità, non è una priorità una politica a favore delle Forze dell’ordine che consenta di migliorare la sicurezza nel suo complesso e i trattamenti anche specifici nei confronti degli operatori che fanno un lavoro rischioso, allora noi organizzeremo manifestazioni di piazza da parte degli operatori di Polizia; perché la questione sicurezza è una questione prioritaria, determinante che preoccupa, forse più di ogni altro, i cittadini di questo Paese e non è accettabile che, dopo i proclami che questo governo aveva fatto proprio su questo tema, si debba assistere solo a politiche di facciata, sia sul versante della sicurezza pubblica che sul versante della politica a favore degli operatori.
Per tornare alla questione della formazione, che è una risorsa che serve a rendere più efficiente, più efficace il lavoro dell’Amministrazione, ma anche a tutelare gli operatori impegnati in questo settore, per noi la formazione è un obiettivo strategico che va assolutamente raggiunto.
Dopo tutte le problematiche che ci sono state e dopo i cambi al vertice del Viminale, si possono ripetere casi alla Biagi? Speriamo tutti di no, che non ce ne sia bisogno, ma prima facevi un discorso sul fatto che non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia sul terrorismo ma anche sulle cose più banali. Siamo attrezzati a rispondere a quello che potrebbe succedere?
Intanto bisogna ritrovare la capacità di una risposta complessiva a minacce come quelle terroristiche, per esempio. Anche dalle cose che dicevo prima, sembra chiaro che per noi la scorta è fondamentale ma diventa veramente efficace se inserita all’interno di una risposta complessiva da parte del circuito investigativo, delle Forze di polizia e anche del circuito giudiziario. Allora la prima cosa che va fatta è ripristinare quell’attenzione rispetto al contrasto dell’azione eversiva che c’era durante gli anni di piombo e che poi si è persa successivamente.
Ripristinare attenzione vuol dire investire risorse nel settore investigativo che si occupa del contrasto all’eversione, per migliorare mezzi tecnici, per favorire la formazione e l’aggiornamento del personale, perché questi sono settori dove ci sono sviluppi velocissimi che vanno seguiti; non seguirli vuol dire non avere conoscenza, non essere in grado di sviluppare le indagini adeguatamente.
Da un punto di vista politico è necessario un messaggio chiaro, e cioè che il contrasto del terrorismo è una priorità, i settori delle Forze di polizia che devono svolgere il contrasto sul piano preventivo, sul piano investigativo, devono essere rafforzati. Questa è la prima condizione perché altrimenti anche il lavoro di chi fa la protezione delle persone scortate diventa molto più difficile e anche meno efficace. Sarà sempre utile, noi continuamo a dirlo, le scorte sono assolutamente necessarie, sono utili ma da sole non possono risolvere il problema. Allora la prima condizione è che ci sia un messaggio politico chiaro, in questo momento purtroppo non lo vediamo dal punto di vista del governo, nel rafforzare le strutture che sono impegnate sul versante del contrasto all’eversione.
Sul versante specifico delle scorte, della protezione delle persone a rischio, è stato costituito un nuovo organismo, l’Ucis, al quale è stata riconosciuta la responsabilità nella valutazioni complessiva delle condizioni di rischio, è stata attribuita la responsabilità nell’adozione dei relativi provvedimenti di protezione. L’organismo si avvale di una commissione a composizione mista tra appartenenti alle diverse Forze di polizia e ai servizi di sicurezza, per una valutazione del rischio che avvenga in sinergia e in coordinamento.
Una delle cose che si era notata, in occasione dell’assassinio di Marco Biagi, è che qualche giorno prima, sulle pagine di un settimanale di questo Paese, di Panorama, era stata pubblicata la notizia della relazione dei servizi di sicurezza che diceva con molta chiarezza: sono a rischio in questo Paese coloro i quali lavorano nell’ambito del ministero del Lavoro e svolgono attività di consulenza. È evidente che lì c’è stato anche un serio problema di coordinamento. Una parte degli apparati dello Stato lancia un messaggio grave, un allarme sulle condizioni di rischio di alcune figure che operano nell’ambito dell’attività governativa e un’altra parte degli apparati dello Stato o non è evidentemente a conoscenza di questo messaggio o, se ne è a conoscenza, lo sottovaluta in maniera grave.
La prima responsabilità è stata la decisione del governo di emanare quella circolare. Secondo problema strutturale è la mancanza di coordinamento tra i settori dello Stato che sono impegnati su questo versante. I servizi di sicurezza lanciano l’allarme su alcune figure, i settori della sicurezza pubblica non lo conoscono oppure non lo raccolgono e non prendono le decisioni conseguenti. Questo è l’altro problema. Con l’Ucis - che è un organismo che vede la partecipazione di funzionari dei diversi settori delle Forze di polizia e dei servizi di sicurezza - si dovrebbe almeno risolvere il problema del reciproco scambio di informazioni sui livelli di rischio delle singole persone, delle informazioni che ci sono in possesso; quindi l’Ucis dovrebbe risolvere il problema del coordinamento nella valutazione del rischio e nell’adozione delle decisioni.
Però c’è un problema più generale, legato al rapporto del centro e la periferia su tutti i versanti dell’attività di sicurezza pubblica; noi abbiamo bisogno di mettere in condizioni sia il centro, ma soprattutto le periferie, di svolgere azioni, ma anche di adottare provvedimenti che siano all’altezza dei problemi che abbiamo sul tappeto, e questo vuol dire risorse, vuol dire riconoscimento di competenze, vuol dire anche professionalità per chi sta sul territorio.
Ma più in generale c’è ancora un problema, noi lo notiamo, c’è un problema di impegno politico e di risorse su questo versante. Non basta una legge e non basta un organismo come l’Ucis per garantire che adesso la valutazione del rischio e i provvedimenti conseguenti raggiungano il massimo di efficacia, se dietro non c’è un orientamento politico tendente a rafforzare anche questo settore. Con il ritorno visibile del terrorismo cresce ovviamente la domanda di protezione dei singoli e siccome la protezione non potrà essere realizzata nei confronti di tutti, ancora più determinante di prima è la valutazione dei rischi che sia adeguata ai problemi che abbiamo sul tappeto. Le risorse, le conoscenze, la professionalità, gli strumenti tecnici sono fondamentali. Dietro a tutto questo, ancora una volta, la soluzione non può che essere, innanzitutto, un orientamento politico chiaro, attraverso il quale si manifesta la volontà di investire in questo settore perché considerato determinate, perché considerato centrale. E qui c’è il problema, ancora una volta torniamo al Dpef, perché è il documento politico di governo che noi abbiamo avanti in questo momento. Dal Dpef questa volontà netta, chiara, decisa di investire in questi settori che sono strategici per la sicurezza del Paese, non si evince, non si raccoglie. Il Dpef anche in queste cose è così generico da far trasparire una scarsissima consapevolezza che questi settori, queste minacce sono in grado, non soltanto di minacciare in maniera mortale i diritti dei cittadini di questo Paese, ma di condizionare fortemente le scelte politiche di questo Paese e mettere a rischio la sua democrazia. Manca questa consapevolezza dalle linee strategiche del Dpef. Noi su questo siamo fortemente preoccupati, anche per questo, quando vedremo la legge finanziaria decideremo le iniziative da adottare. Di fronte a una complessità di problemi di questo tipo, l’assoluta mancanza di volontà di investire in questo settore ci sembra allarmante e irresponsabile. Per questo verificheremo e saremo pronti a far scendere gli operatori di Polizia in piazza perché ci sia un investimento chiaro sulle politiche della sicurezza e sulle politiche delle Forze dell’ordine.
|