Da un anno le Borse americane, europee ed asiatiche sono sotto il segno meno. Gli scandali tipo Enron hanno solo peggiorato un sistema già in crisi per ragioni interne. Ora le società ripensano le “stock option”
Warren Buffet è considerato il più grande investitore di Borsa del mondo, oltre ad essere uno degli uomini più ricchi d’America. Per queste sue qualità è un punto di riferimento al livello dei mercati e comincia ad avere un’influenza pari se non superiore alle grandi istituzioni politiche e finanziarie. Si dice infatti che le sue previsioni e le sue scelte possano influenzare l’andamento della Borsa di New York più delle parole rassicuranti del presidente Bush o degli interventi finora provvidenziali di Alan Greenspan, il presidente della Federal Reserve che ha passato gli ultimi anni a tagliare i tassi di interesse per rivitalizzare l’economia di quella che una volta era “la locomotiva a stelle e strisce”.
Non è detto che Warren Buffet sia davvero così potente o sia più potente del presidente degli Stati Uniti e del capo dell’istituzione finanziaria più importante. È certo però che le sue parole e soprattutto le sue scelte pratiche incidono profondamente. La differenza tra Bush, Greenspan e Buffet, agli occhi dei mitici mercati mondiali sta nel coinvolgimento concreto degli interessi. Buffet infatti non parla solo di soldi e di azioni, ma cerca di farli fruttare perché sono i suoi, perché dall’andamento del Dow Jones e del Nasdaq dipendono le sue fortune. Così mentre Bush e Greenspan - che non sa più dove tagliare - continuano a fare discorsi generici sulla capacità dell’economia americana di riprendere la corsa e sulla Borsa di reagire ai pesanti scandali degli ultimi tempi, Buffet sceglie la via delle scelte radicali. Prima dell’estate, alla luce degli scandali di Worldcom e dei tanti nomi prestigiosi rimasti coinvolti nella crisi di Wall Strett, Buffet, che è uno dei maggiori azionisti della Coca Cola, ha dato una indicazione, anzi un ordine, agli amministratori della multinazionale della bevanda più famosa nel mondo: ripulire i bilanci riformandone la struttura. Saranno conteggiate come spese le cosiddette stock option quel particolare tipo di azioni offerte ai dipendenti e soprattutto ai manager delle aziende. “Sarei più felice – ha dichiarato Buffet – se anche altre società seguissero questo esempio”. Di che cosa si tratta? E perché è una operazione a suo modo “rivoluzionaria”?
Le stock option stanno alla base di quella particolare forma di capitalismo che ha segnato la storia recente dell’economia americana e in generale anglosassone, il cosiddetto capitalismo popolare, ovvero il coinvolgimento dei dipendenti ai destini delle aziende. Non si tratta tanto di un coinvolgimento politico o ideologico, ma soprattutto pratico. Invece di promettere grandi carriere o aumenti degli stipendi si è pensato di coinvolgere i dipendenti nella corsa ai guadagni di borsa. Offrendo azioni speciali, opzioni speciali nell’acquisto delle azioni si volevano ottenere due risultati: far decollare sempre di più le aziende non tanto dal punto di vista industriale quanto appunto dal punto di vista finanziario, ovvero della quotazione in Borsa. E, secondo punto non certo secondario, quello di rendere più fedeli possibile i dipendenti e soprattutto i manager. Ma questo sistema si è rivelato fallimentare e perfino pericoloso. Anzi è stata la scoperta più amara del capitalismo americano dopo gli scandali della Enron e a cascata di tutti gli altri, un vero e proprio terremoto che ha scosso Wall Street e xper i noti effetti della globalizzazione dei mercati, alla fine tutto il mondo.
I difetti del sistema delle stock option sono sostanzialmente due. I bilanci vengono oscurati e resi illeggibili, le aziende non vengono stimolate a crescere dal punto di vista industriale e produttivo perché il gioco si concentra appunto sulla speculazione finanziaria. Il sistema delle stock option, direttamente, ma soprattutto indirettamente ha determinato poi quella vera e propria patologia del comportamento criminale, ovvero del trucco dei bilanci, per aumentare la competizione. Ma c’è anche chi contesta il carattere patologico di questi comportamenti interpretandoli addirittura come fisiologici, ovvero facenti parte a tutto titolo del sistema capitalistico, come da noi sono state e sono le tangenti. “Più che di malattia - dice per esempio Vittorio Zucconi - si dovrebbe parlare di shock da disintossicazione, di tremenda purga”. La vera malattia del capitalismo americano, secondo Zucconi che da anni è un osservatore diretto, fu l’ubriacatura della fine degli anni ’90 quando “i piazzisti di sogni arrivarono ad affermare, nelle parole di Greenspan, che la new economy aveva eliminato per sempre i cicli classici di espansione e di contrazione, grazie a un nuovo paradigma creato da Internet”. In realtà quell’affermazione non era vera.
Come si vede si rimette oggi in discussione proprio tutto e gli inteventi sulle stock option sembrano (ma forse lo saranno pure) cose del tutto marginali. Eppure hanno il pregio di andare a toccare le radici del funzionamento attuale dell’economia. Il primo difetto grave è che le stock option producono un mercato drogato e inaffidabile. Essendo considerate dal lato delle spese e delle entrate (ovvero dei guadagni di Borsa) le stock option producono più fumo che arrosto e non rendono chiari i bilanci e quindi gli andamenti reali delle singole società. Cercare di capire lo stato di salute reale di un’azienda o di una grande multinazionale analizzando i suoi bilanci è stato ultimamente quasi impossibile. Non si capiva più bene la vera forza industriale e commerciale del soggetto in questione. Non si riusciva più a capire quali fossero i reali profitti dell’azienda in questione. Mettere le stock option sotto la voce “spese” come ha fatto la Coca Cola su ordine del suo maggiore investitore Buffet, o come hanno fatto altre importanti compagnie (la Boeing, per esempio) ha prodotto come effetto immediato l’abbassamento della soglia tra i profitti annuali e il prezzo corrente delle azioni. In qualche modo è stata una decisione negativa perché ha fatto crollare le azioni delle aziende deprezzandole in Borsa. Ma secondo Buffet - e ormai molti altri big della finanza mondiale - alla lunga sarà una scelta che “pagherà” perché ristabilisce o almeno dovrebbe ristabilire la fiducia degli investitori, soprattutto dei piccoli investitori, ovvero del popolo del capitalismo.
Il ragionamento di Buffet è molto semplice. Se noi mettiamo in chiaro quali sono le spese per coinvolgere i manager e li responsabilizziamo apertamente, non saranno più possibili scandali come quello della Enron. Se cioè non ci saranno più condizioni di favore e saranno aumentati i controlli per chi opera in Borsa e decide le scelte produttive e finanziarie, tutto ritornerà più pulito e come prima. L’economia ridiventerà sana e trasparente. E non si potrà più dire, come hanno detto in molti, che il “poliziotto è stato usato per tenere il sacco dei ladri”. Conteggiare le azioni di “favore” offerte ai manager e ai dipendenti sotto la voce spese dovrebbe rendere chiaro finalmente il reale stato di salute della singola azienda i cui bilanci diventerebbero più trasparenti. Cosicché anche il piccolo investitore sarà (o almeno dovrebbe essere) in grado di valutare l’azienda sulla quale vuole investire. La speranza di Buffet e degli altri come lui è dunque quella di recuperare le migliaia di persone che sono letteralmente fuggite dalla Borsa dopo il grande terremoto. Non è detto però che la decisione della Coca Cola non si trasformi nella famosa scena campagnola del chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati e non hanno alcuna intenzione di tornare.
Gli investitori, i piccoli investitori, sanno infatti di non contare nulla nel grande mercato, ma sono ormai smaliziati. Molti di loro, negli Usa, ma anche qui da noi, hanno visto in faccia la tragedia, dopo i crolli a catena del Dow Jones e dopo i fallimenti della cosiddetta “new economy”. In tantissimi hanno sperato nel guadagno facile, quello che con poco sforzo ti arricchisce. Centinaia di migliaia di persone si sono fatte convincere che investire i risparmi sulla base dei destini di quella o quell’altra società avrebbe alla fine reso un capitale. E invece c’è gente che ha perso la casa e la pensione con questo scherzetto. C’è gente che è stata letteralmente rovinata dalle illusioni del guadagno facile e dalle azioni criminali dei manager che ora confessano di aver truccato i bilanci. Dal canto suo il Presidente americano è dovuto intervenire modificando le norme e rendendo molto più drastici i controlli e le sanzioni. Ma forse non basta e la gente se ne è resa conto, visto che nessuno è stato rassicurato dagli interventi di Bush e di Greenspan. Nessuno più crede al padre che promette sanzioni per i figli che sgarrano. Anche perché sono noti i trascorsi della stessa famiglia Bush, sia nell’ambito petrolifero, sia nell’ambito di quelli che oggi sono considerati scandali e crimini. Gli investitori americani queste cose le sanno e hanno imparato a seguire e a interpretare le notizie provenienti da Wall Street.
In fondo, poi, c’è poco da interpretare. Basta guardare i dati. Le Borse mondiali hanno infatti bruciato in pochi mesi, anzi in poche settimane, miliardi e miliardi di dollari, una ricchezza incredibile che avrebbe potuto risanare le economie di quello che una volta era il Terzo Mondo. Prima dell’estate, in poche settimane, in pratica da maggio giugno ad agosto, le Borse hanno bruciato tutto quello che era stato guadagnato dal 1997. I profitti di cinque anni si sono volatilizzati. In questo ultimo anno tutti i mercati finanziari del mondo sono stati sotto il segno meno. Ripercorrere i dati in rassegna fa una certa impressione. Il Dow Jones, il più importante indicatore dell’economia americana, ha perso in media il 20 per cento. Il Nasdaq, ovvero l’indicatore della nuova economia (i tecnologici, le telecomunicazioni, il mondo della rete virtuale, ecc.) ha perso in media il 33 per cento. Ma la Borsa americana ha poi trascinato con sé tutte le altre. Francoforte ha perso il 24,58 per cento, Londra il 21,45 per cento, Stoccolma il 35,44 per cento, Zurigo il 22,46 per cento e via dicendo. Anche la Borsa italiana è stata scossa dai crolli ripetuti e negli ultimi mesi è scesa in media del 19 per cento. Sembrano freddi numeri, percentuali senza senso e invece sono il segno (negativo) che qualcosa proprio non va, nonostante le rassicurazioni dei tanti guru e dei tanti presidenti che sostengono di capirci qualche cosa. Quante volte abbiamo sentito la frase: non vi preoccupate, tenete i nervi saldi, vedrete che tra poco i mercati si riprenderanno e ricominceranno a correre?
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