È un fenomeno nascosto che non abbiamo ogni giorno davanti agli occhi. Ma l’uso della manodopera infantile si estende e assume sempre forme diverse
“…lo sfruttamento dell’infanzia… è l’atto più ignobile, più intollerabile per il cuore dell’uomo…”
Albert Thomas
Primo Direttore dell’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (1919-1932)
Il lavoro minorile sfugge allo sguardo della maggior parte della gente ma è una pressante problematica di natura socioeconomica riguardante anche i diritti fondamentali dell’uomo. In base a stime effettuate, nel mondo lavorano circa 250 milioni di bambini, privati delle libertà fondamentali, di un’educazione adeguata e perfino della salute. Di questi oltre 8 milioni si possono considerare veri e propri schiavi, 179 milioni sono impegnati in ruoli destinati a segnarli fisicamente, mentalmente, psicologicamente.
In Italia, secondo le recenti stime dell’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro), il numero di bambini che si possono considerare sfruttati è di 31.500. Ed è il Nord-Est a vincere il triste primato della diffusione del lavoro minorile (19,4%), mentre al Centro-Sud scende la percentuale dei minori che ha lavorato, saltuariamente o in maniera continuativa (9%).
Nel nostro ordinamento, l’art. 37 Cost. dichiara che “ La legge stabilisce il limite minimo d’età per il lavoro salariato” , mentre gli artt. 600 e 602 del Codice penale affrontano l’uno il problema della riduzione in schiavitù, l’altro dell’alienazione ed acquisto di schiavi. Per avere un quadro più chiaro del problema occorre far riferimento soprattutto all’attività svolta dall’Oil.
L’Oil ha un ruolo unico tra le organizzazioni internazionali, in quanto riunisce, su un piano di parità, governi, lavoratori e datori di lavoro in un impegno comune per migliorare la protezione sul piano sociale e le condizioni di lavoro in tutto il mondo. Fin dalla sua creazione avvenuta nel 1919, l’Oil si è impegnata a fondo per eliminare il lavoro minorile. Secondo quanto afferma il Preambolo della Costituzione, l’Organizzazione s’impegna a proteggere l’infanzia, riconoscendo che ciò è essenziale al perseguimento della giustizia sociale e della pace universale. Una delle normative più complete è stata formulata con la Convenzione sull’età minima del 1973 (No. 138) e le relative Raccomandazioni (No. 146). La Convenzione fa appello agli Stati membri affinchè mirino all’effettiva abolizione del lavoro minorile. L’art. 3 specifica che : “L’età minima per l’assunzione a qualinque tipo di impiego o di lavoro che, per la sua natura o per le condizioni nelle quali viene esercitato, può compromettere la salute, la sicurezza o la moralità degli adolescenti non dovrà essere inferiore ai diciotto anni”. Da ciò si desume una prima importante chiarificazione, (che ritroviamo nel Decreto Legislativo del 1999 n. 345 che attuava una direttiva Cee relativa alla protezione dei giovani sul lavoro), secondo cui queste norme non si applicano agli adolescenti (minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni) addetti a lavori occasionali o di breve durata concernenti servizi domestici prestati in ambito familiare e prestazioni di lavoro non nocivo, né pregiudizievole, né pericoloso, nelle imprese a conduzione familiare.
A completamento di questa Convenzione fondamentale è stato approvata il 17 giugno 1999 la Convenzione relativa alla proibizione e immediata azione per l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile. Essa invoca l’adozione di misure per abolire immediatamente tutte le forme estreme di lavoro minorile quali la schiavitù e pratiche simili, l’impiego o l’offerta di un bambino in attività illegali, nella prostituzione o nella pornografia ed altri tipi di lavoro o attività che possano compromettere la salute, la sicurezza o la moralità dei ragazzi. Inoltre l’Oil ha lanciato una vigorosa offensiva contro il lavoro minorile. Nel 1992, la creazione del Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile(Ipec) ha dato un nuovo slancio a tale iniziativa. Il programma è ora operante in tre continenti ed in oltre 20 paesi. L’Ipec si propone di eliminare gradualmente il lavoro minorile, rafforzando la capacità dei paesi a far fronte al problema e promuovendo un movimento mondiale contro il lavoro minorile. Appare chiaro a tutti che non è realistico credere di poter eliminare, da un giorno all’altro, un problema come questo che esiste da diverso tempo. Sebbene l’eliminazione rimanga l’obiettivo ultimo, il compito più urgente per l’Oil-Ipec è quello di assistere i paesi interessati nel mettere fine alle forme più intollerabili di lavoro minorile. Proprio per questo motivo sono stati identificati tre gruppi prioritari ossia i ragazzi costretti al lavoro forzato o in stato di schiavitù, i ragazzi costretti a condizioni di lavoro e ad occupazioni pericolose ed i ragazzi particolarmente vulnerabili, vale a dire i giovanissimi al di sotto dei 12 anni e le bambine.
Il punto di partenza per l’attuazione della strategia posta in essere dall’Oil-Ipec, nei paesi che vi partecipano, resta la volontà e l’impegno dei singoli governi nell’affrontare il problema del lavoro minorile in collaborazione ed in consultazione con le organizzazioni padronali, quelle dei lavoratori, le Ong (organizzazioni non governative) e le parti interessate, quali le università ed i mass media.
A molti queste possono sembrare solo parole ma la lotta contro il lavoro minorile deve avere le sue radici nella cultura, nelle istituzioni e nelle aspirazioni proprie di ogni società. I ragazzi stessi e le loro famiglie sono sicuramente la prima linea di difesa contro il lavoro minorile. Ecco perché è importante prendere in considerazione con la massima serietà i programmi elaborati da organizzazioni del calibro dell’Oil che, come ha sempre fatto anche in altri settori del lavoro, cerca d’identificare ed attuare misure concrete che diano ai ragazzi e alle loro famiglie più potere, attraverso una maggiore consapevolezza, partecipazione ed organizzazione.
Recentemente l’Oil ha diffuso un rapporto molto interessante riportando, oltre alle varie stime sul numero dei “baby sfruttati” nel mondo, un ulteriore allarme: dopo la crisi dell’11 settembre è caduta l’attenzione di alcune grandi imprese ad investire in politiche di sviluppo che salvaguardino i bambini e ne vietino lo sfruttamento. L’Occidente, insomma, non considera ancora il lavoro minorile come un “suo” problema.
BOX
Iqbal Masih, un bambino coraggioso
Era nato nel 1983 Iqbal Masih e aveva quattro anni quando suo padre decise di venderlo come schiavo a un fabbricante di tappeti. Per 12 dollari.
È l'inizio di una schiavitù senza fine: gli interessi del "prestito" ottenuto in cambio del lavoro del bambino non faranno che accrescere il debito.
Picchiato, sgridato e incatenato al suo telaio, Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. È uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan; le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente.
Un giorno del 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (Bllf). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Proprio come lui. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali. Iqbal decide anche che non vuole tornare a lavorare in fabbrica e un avvocato del Bllf lo aiuta a preparare una lettera di "dimissioni" da presentare al suo ex padrone.
Durante la manifestazione Iqbal conosce Eshan Ullah Khan, leader del Bllf, il sindacalista che rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini. Così Iqbal comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma e a Boston: "Da grande voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non lavorino troppo". Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere il suo impegno di piccolo sindacalista.
Ma la storia della sua libertà è breve. Il 16 aprile 1995 gli sparano a bruciapelo mentre corre in bicicletta nella sua città natale Muridke, con i suoi cugini Liaqat e Faryad. "Un complotto della mafia dei tappeti" dirà Ullah Khan subito dopo il suo assassinio. Qualcuno si era sentito minacciato dall'attivismo di Iqbal, la Polizia fu accusata di collusione con gli assassini. Di fatto molti dettagli di quella tragica domenica sono rimasti poco chiari.
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