Nella città, all’estremo confine con la Slovenia, il fenomeno ha assunto aspetti allarmanti, anche dal punto di vista umanitario. L’impegno del Siulp goriziano per l’istituzione di centri di accoglienza
Non v’è dubbio che nel contesto del fenomeno trasnazionale dell’immigrazione illegale, Gorizia, città posta sull’estremo confine con la Repubblica di Slovenia, rappresenta un osservatorio privilegiato. A dimostrarlo sono i numeri: dal 1998 a febbraio di quest’anno sono poco meno di 30.000 i cittadini stranieri rintracciati dalle Forze di polizia poco dopo che avevano varcato illegalmente la “porta” che li aveva introdotti in Europa. È ragionevole ritenere che almeno altrettanti siano riusciti a farla franca eludendo i controlli (vedi tabella in queste pagine).
Malgrado questa consapevolezza, politici, autorità, e più in generale quasi tutte le istituzioni locali, si sono attardate in atteggiamenti di drammatizzazione alternate a fasi di minimizzazione e negazione del problema. D’altro canto anche il Dipartimento della pubblica sicurezza, ritenendo evidentemente a torto che il fenomeno dell’immigrazione illegale sarebbe rimasto prevalentemente confinato alle note regioni meridionali, per troppo tempo ha trascurato questa particolare area del Paese.
L’approccio di tipo emergenziale e a seguire la sterile contrapposizione politica rispetto al complesso fenomeno hanno determinato una sorta d’immobilismo nell’applicazione delle poche misure strutturali previste dalla cosiddetta legge Turco-Napolitano.
Dei ritardi e dell’evoluzione delle strategie adottate per contrastare l’immigrazione illegale a Gorizia ne è testimone il Siulp goriziano, unico soggetto tra tutte le istituzioni locali e tra le organizzazioni sindacali di Polizia che sin dal giugno 1998, quando ancora il fenomeno non aveva assunto le dimensioni di “emergenza”, avviò il dibattito sulla spinosa questione.
Un impegno coerente e continuo sfociato in oltre 80 interventi pubblicati dai mezzi d’informazione locali e nazionali, due convegni dedicati allo specifico tema, incontri con parlamentari dei diversi schieramenti politici, con il coordinatore del Comitato nazionale di controllo Schengen e con il Capo della Polizia.
Un percorso anche di tipo culturale che si è rivelato decisivo nel contrastare tentativi di militarizzazione del territorio mediante l’impiego dell’Esercito: valso anche spostare il concetto di criminalizzazione dell’immigrato al “favoreggiatore” dell’odioso traffico, ma anche a non guardare all’immigrato unicamente sotto l’aspetto utilitaristico o peggio con il pregiudizio che esso sia solo portatore d’illegalità.
Non meno importante è stato il contributo sul piano propositivo. Al Siulp goriziano si deve, infatti, sia l’intuizione del servizio di pattugliamento automontato a composizione mista tra poliziotti italiani e sloveni attivato in territorio italiano e sul versante sloveno, sia l’istituzione del centro d’accoglienza gestito dalla locale Caritas. Misure, quest’ultime, avversate con determinazione da tutti i partiti d’opposizione oggi al governo, dal Comune di Gorizia, dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dagli altri sindacati di Polizia.
L’anno 2000 si chiuse con il Siulp rimasto solo a sostenere, sin dal settembre del 1998, l’esigenza di istituire un centro d’accoglienza per umanizzare l’accoglienza dei clandestini sino a quel momento trattenuti in situazione di promiscuità d’età, di sesso e di etnia, in locali assolutamente inadeguati sotto il profilo umanitario e sanitario e peraltro all’interno di una caserma di Polizia.
Una situazione insostenibile di cui si facevano carico i poliziotti i quali, dopo aver effettuato il rintraccio, si vedevano costretti ad abbandonare i loro compiti istituzionali di controllo del territorio per occuparsi degli aspetti relativi all’assistenza più svariati: dal reperire pannolini, latte e giocattoli per i neonati e bambini, al recupero di medicine, indumenti e quant’altro.
Merito delle elezioni politiche alle porte, dal mese di novembre 2000 e sino ad aprile dell’anno successivo, come per incanto l’emergenza Gorizia diventa “caso nazionale”. I politici d’opposizione che sino a quel momento si erano interessati esclusivamente per opporsi alla realizzazione di centri d’accoglienza o di trattenimento, e che avevano sparato ad alzo zero contro l’avvio delle pattuglie miste e più in generale contro qualsiasi ipotesi di collaborazione con gli organi di Polizia slovena, vennero a più riprese a prendere contezza di persona del problema. Non mancarono autorevoli esponenti politici di primo piano, sia d’area governativa sia d’opposizione come il ministro Bianco, gli on. Giovanni Bossi e Gasparri solo per fare qualche esempio. Costoro naturalmente non mancarono di solidarizzare con gli operatori di Polizia e d’indignarsi per le condizioni in cui venivano trattenuti i clandestini. S’indignarono a tal punto che non potendosi più opporre all’istituzione di centri capaci di coinvolgere enti, istituzioni e mondo del volontariato necessari per corrispondere meglio alle esigenze d’accoglienza e assistenza devoluti sino a quel momento esclusivamente ai poliziotti che, pur di non riconoscere la validità dei centri previsti dalla legge Turco-Napolitano, s’inventarono e lanciarono il “centro di smistamento”.
È da ritenere che l’attenuazione degli ingressi illegali registrata nell’ultimo periodo sia dovuta in larga parte all’istituzione del centro d’accoglienza gestito dalla Caritas che ha consentito di recuperare i poliziotti ai compiti di controllo del territorio e più in particolare alla vigilanza della linea confinaria, da compiti non propri; merito anche del consolidamento e potenziamento dell’attività di pattugliamento misto oltre che dell’alta capacità professionale maturata dalle Forze di polizia in generale e in special modo della Polizia di Frontiera nel contrasto alle organizzazioni criminali che alimentano e sfruttano il traffico d’immigrati.
Ritengo che si debba proseguire sul versante della collaborazione con le autorità slovene favorendo sempre di più le attività congiunte in entrambi i territori mediante il coinvolgimento dei settori investigativi e di intelligence.
Sono del parere che non serva “l’esibizione di muscoli” voluta dal nuovo corso che recentemente, mediante l’aggregazione di centinaia di uomini di altri reparti, si è rivelata di sicuro effetto mediatico ma di scarsa valenza operativa sotto il profilo dei risultati. Esempio emblematico di tale strategia è stata la fallimentare quanto dispendiosa sperimentazione del trasferimento dei clandestini rintracciati a Gorizia presso i centri di trattenimento pugliesi.
Sono altresì convinto che non sarà d’aiuto, qualora dovesse passare definitivamente tale proposta, l’arresto del clandestino recidivo. Non solo perché tale misura appare del tutto sproporzionata se si considera che nel nostro Paese non si riesce a tenere in carcere quanti commettono reati ben più gravi ma in quanto, tra l’altro, lascerebbe immutato il problema dell’allontanamento del clandestino al termine della carcerazione. L’ultimo risultato concreto che si otterrebbe sarebbe semmai quello di intasare ulteriormente la magistratura e di riempire le strutture carcerarie. Strutture peraltro già piene d’immigrati non solo perché molti di questi delinquono, ma anche perché nei loro confronti è difficoltosa l’applicazione di misure alternative al carcere giacché non disponendo di residenza, domicilio, parenti o altre possibilità alloggiative nel territorio italiano, diviene praticamente impossibile la concessione, ad esempio, degli arresti domiciliari.
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