Sempre più spesso si sente parlare di mobbing. Tanti sono i lavoratori che se ne dicono vittima o ne risultano tali. Si tratta di un fenomeno in continua espansione sia nel “privato” che nell’ambito della Pubblica amministrazione e che, inquinando l’ambiente di lavoro, minando i diritti e il benessere di questi può diventare un perverso strumento di controllo e condizionamento delle dinamiche lavorative. In gran parte sconosciuto fino a non molto tempo fa, oggi il mobbing ha conquistato non solo l’attenzione dei media ma anche il Parlamento ha cominciato ad occuparsene. Le organizzazioni sindacali non possono ignorare il fenomeno ed aprire una discussione al loro interno, acquisire il parere degli esperti e confrontarsi con lavoratori e controparte al fine di elaborare politiche di vigilanza e di contrasto.
Ma che cosa è il mobbing? In breve si tratta di una situazione di aggressione di un lavoratore da parte di colleghi o superiori. Nel primo caso si parlerà di mobbing orizzontale, viceversa di mobbing verticale. In italiano questo termine potrebbe tradursi con “molestie morali sul luogo di lavoro o terrore psicologico in ufficio”. Di norma si concretizza attraverso un’incisiva forma di prepotenza, vessazioni e stress sociale sul posto di lavoro. Si attua anche con l’isolamento, la mancanza di informazioni utili allo svolgimento dell’attività lavorativa, diffusione di pettegolezzi sul mobbizzato. L’obiettivo finale è costringere la vittima ad abbandonare il lavoro. Le conseguenze sulla vittima possono essere catastrofiche e si ripercuotono non solo sulla sua vita professionale, ma anche in ambito familiare e sullo stato di salute. Non tutte le situazioni conflittuali possono però ricondursi al mobbing. Per poter parlare di mobbing occorre infatti che questo tipo di azioni si ripetano con una certa frequenza e per un non breve periodo.
Vittime sono generalmente personalità portatrici di valori non conformi al resto del gruppo, che hanno idee politiche o religiose diverse, gusti sessuali particolari, idee originali sullo sviluppo dell’attività lavorativa e comunque difformi da quelle di cui si fa portatore l’ambiente restante. Spesso il mobbing è innescato da situazioni di gelosie o da una esasperata competizione interna e colpisce gli elementi più dinamici e capaci. Studi effettuati hanno anche evidenziato la costante responsabilità del management, dello stile della leadership e del modo di gestione dei conflitti.
Di particolare interesse è l’aspetto giuridico legato al fenomeno, ricordando che una specifica proposta di legge è all’esame del Parlamento. Concetti utili possono già ritrovarsi nella Carta costituzionale (artt. 2,4,13,32 e 35), laddove viene sancito l’inviolabilità della libertà personale, il diritto al lavoro, il diritto alla salute fisica e morale, la tutela delle condizioni di lavoro.
I Codici civile e penale contengono già, altresì, articoli idonei a punire il molestatore e risarcire la vittima (art. 2043 Codice civile), lesioni personali colpose (art. 590 Codice penale), ingiuria e diffamazione (artt. 594 e 595 C.p.), abuso d’ufficio (art. 323 C.p.), violenza privata (art. 610 C.p.). Occorre tuttavia dimostrare il dolo o la colpa, il nesso di causa, l’ingiustizia subita, il danno. Tutte cose ad oggi tremendamente difficili da dimostrare, ed è questo l’aspetto più subdolo del mobbing, poiché spesso si tratta di piccole ingiustizie, di sottintesi, di messaggi non verbali, di azioni con scarsa visibilità esterna. Sono proprio queste difficoltà a rendere il mobbing un fenomeno in gran parte sommerso.
Per la risoluzione occorrerà affrontare un lungo cammino e noi stiamo muovendo appena i primi passi. Questo articolo muove da questa prospettiva; lungi dall’essere un’analisi completa del fenomeno (non posseggo gli indispensabili strumenti culturali per questo) aspira ad aprire una discussione. Vuole essere per il sindacato una stimolo ad approfondire, a studiare, ad elaborare proposte; per i colleghi un contributo alla conoscenza del fenomeno ed uno spunto di riflessione.
Antonio Costa
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