L’urlo di Nanni Moretti ha scosso il popolo dell’Ulivo ed ha riproposto alcuni temi comuni al modo di interpretare l’attività politica nel suo complesso.
Indipendentemente dalle opinioni che ognuno ha e da questo episodio, è tangibile un senso di disagio nei confronti della politica. Non si tratta di uno schieramento o di un gruppo in particolare bensì dell’atteggiamento che, generalmente, caratterizza nell’attualità i rapporti tra le persone e la politica.
Secondo Hannah Arendt dopo l’antichità nessuno ha più pensato che il senso della politica sia la libertà; si tratta di una fotografia impietosa di una realtà alla quale ci siamo purtroppo rassegnati. Riflettendo su questo pensiero si possono individuare molti aspetti collegati tra loro dalla comune percezione della distanza tra vita quotidiana e politica.
Uno di questi è il legame tra politica e cultura: da sempre la politica è espressione della cultura. Oggi si nota come la cultura sia evitata dalla politica la quale, forte di rinnovate alleanze con il mondo dell’economia, legge il rapporto con la cultura come un indebolimento.
Mentre nel passato (anche recente) l’impegno culturale si associava ad una connotazione politica oggi sembra che i due percorsi siano scollegati al punto che difficilmente si assiste ad iniziative culturali promosse da associazioni politiche. Lo stesso impegno sindacale in questo ambito risulta ridotto e conformisticamente orientato rispetto alle nuove esigenze. In altro ambito vengono sollevate critiche all’attività sindacale perché accusata di eccessiva contiguità con gli schieramenti politici, dimenticando così oltre che un tratto peculiare del sindacalismo nostrano anche l’essenza di un impegno che non può per definizione essere apolitico.
Trionfa la politica attenta alle opzioni minimaliste in nome del recupero di un rapporto che per tutti attraversa una crisi profonda: ma proprio dal versante dialettico che si vorrebbe aperto al dialogo ed al confronto provengono altri segnali non confortanti. La politica ha perso il riferimento con la libertà anche perché non riesce a farsi comprendere: la terminologia usata da molti uomini politici appare astratta, lontana dal quotidiano.
A scanso di equivoci occorre precisare che il linguaggio della politica non è affetto da afasia, anzi appare oggi più che mai ridondante ed autocelebrativo.
L’esposizione su singoli argomenti e le apparizioni sui media però non dissipano il senso di distacco che aleggia tra i percorsi tracciati e la vita quotidiana: anzi il moltiplicarsi delle occasioni per ascoltare i politici per contrasto pare ridurre la fiducia nella capacità di risoluzione dei problemi.
Se a ciò si aggiunge il modo di utilizzare il tempo caratteristico del politico, la sua primaria esigenza di razionalizzare gli impegni per riuscire a controllare un ampio ventaglio di attività che spesso sono in luoghi diversi ma ravvicinate nel tempo, ne consegue che l’elettore potrà apprezzare o meno i suoi beniamini ma difficilmente potrà confrontarsi con loro se non tramite l’illusorio ed onnipresente mezzo televisivo. Lo stesso uomo politico che in determinate circostanze parla di libertà paradossalmente non è un uomo libero nel senso che non può disporre del suo tempo se non secondo gli schemi prefissati.
Non va trascurato poi il dato ormai consolidato circa la disaffezione per le consultazioni elettorali. Le critiche che gli studiosi da tempo muovono al sistema della democrazia si materializzano in una crisi senza precedenti e con imprevedibili sbocchi futuri: tutti i Paesi vedono ridursi progressivamente il numero dei votanti e, a fronte di questa situazione, i rappresentanti eletti si trovano a prendere decisioni sempre più pregnanti incidendo in modo crescente anche nella sfera più personale dell’individuo.
Deliberatamente qui si tralascia tutto il settore della politica praticata, quel sistema di scelte che non pare imperniato su criteri di trasparenza e sul quale sarebbe interessante soffermarsi per delineare una sorta di ‘storia parallela’ della politica alternativa rispetto a quella edulcorata che quotidianamente ci viene filtrata e proposta.
Una politica quindi che perde di vista l’Uomo ed il suo sistema di relazioni ricomprendendo tutto in un sistema più ampio, quello economico appunto, dove l’uomo esiste ed ha valore in funzione di quanto può guadagnare e spendere convive stabilmente con un sistema politico costruito in modo che chi arriva al potere non interpreti il suo ruolo come servizio bensì come mandato in senso stretto.
La frase della Arendt sembra attuale più che mai tra guerre presenti e future, squilibri economici salvaguardati con tenacia, fame, malattie: povertà a cui non sappiamo mettere un freno.
Massimo Buggea
|