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luglio / agosto/2002 - Interviste
CRIMINI IN FAMIGLIA
C’è un “ostacolo” che li scatena
di Marco Cannavicci

Le dinamiche psicologiche dei delitti in ambito familiare, spesso prendono l’avvio da un elemento della famiglia che rappresenta alla mente dell’altro, una delusione, un impedimento, una carenza affettiva

I delitti che avvengono nell’ambito familiare sono legati al notevole grado di violenza che viene liberata in alcune tipiche dinamiche interpersonali che avvengono fra le pareti domestiche e che ormai sono sufficientemente conosciute e studiate. Ci occuperemo quindi dello studio di queste dinamiche sia negli aspetti causali che in quelli fenomenologici, arrivando a tracciare delle utili indicazioni di prevenzione.
Sul fenomeno violenza domestica c’è una violenza “visibile”, fisica, fatta di percosse, di schiaffi e di calci che lascia le sue ferite sul corpo e che non fanno male, e c’è una violenza “invisibile” fatta di umiliazioni, di privazioni, di carenze affettive ed incomprensioni che lascia permanentemente i suoi lividi nell’animo e che non smettono mai di fare male.
Generalmente la violenza in ambito familiare, qualunque essa sia, può avvenire in due forme. C’è una forma acuta, improvvisa, parossistica, come ad esempio uno sfogo di rabbia, che tende ad infliggere immediato dolore e sofferenza, e c’è poi una forma cronica, sfumata, sottile, come ad esempio in una relazione di dominanza, in cui si acquisisce un potere ed un controllo sulla vita e sul comportamento di un familiare. La forma acuta prevede episodi violenti poco frequenti, ma molto intensi e con liberazione di notevole quantità di rabbia ed aggressività (come in un raptus), mentre la forma cronica prevede episodi frequenti di ostilità, ma con una bassa intensità aggressiva, sul tipo di una stabile relazione di dominanza (come un padre-padrone).
Come ben sanno coloro che queste forme di violenza le hanno subite, tanto più è grave, distruttiva e profonda è la violenza ricevuta quanto più è difficile dimostrarla, comunicarla e farla capire.
Le cause che ritroviamo essere dietro questi episodi di violenza non sempre prendono origine dalla psicopatologia, come ad esempio le frequenti psicosi schizofreniche, deliranti o depressive. Contrariamente a quello che molti semplicisticamente pensano, nella maggior parte dei casi di violenza familiare si tratta di semplici e banali cause psicologiche. Sono stati psicologici estremizzati, ma che comunque rientrano in un ambito di normalità. Rientrano fra queste le espressioni di alcune strutture di personalità, come le personalità borderline, paranoidea ed ossessiva, alcune dinamiche relazionali con vissuti di forti sentimenti di frustrazione e rivendicazione, ed infine vi ritroviamo gli effetti ed i condizionamenti psicologici e comportamentali di alcuni ambienti sociali, in cui vige la sottocultura della violenza e della sopraffazione.
Le tipologie che i delitti in famiglia possono assumere e di cui recentemente la cronaca si è maggiormente occupata, riguardano in genere le seguenti situazioni:
a. l’infanticidio – si tratta della uccisione del feto nelle circostanze del parto o del neonato immediatamente dopo il parto. Nel 98% dei casi è la madre a commettere l’infanticidio e la legge stessa, negli articoli del codice penale che riguardano l’infanticidio, riconosce alla madre una condizione psicologica alterata legata alla paura e all’angoscia delle conseguenze che la presenza del neonato provocherebbe nel proprio ambito familiare e le concede delle attenuanti. È infanticidio se la morte viene provocata, per abbandono, asfissia o ferite subito dopo il parto. Trascorso un giorno di vita, da infanticidio si passa ad omicidio e le attenuanti psicologiche non ci sono più.
b. il maltrattamento infantile – può assumere varie forme in quanto può essere provocato sia con la violenza fisica che con l’incuria e la violenza emozionale. Secondo le statistiche, un bambino su tre che viene visitato ad un pronto soccorso ospedaliero presenta lesioni da maltrattamento fisico ed è il maltrattamento fisico la seconda causa di morte, dopo gli incidenti domestici, per i bambini di età fra uno e sei anni. Le osservazioni su questo fenomeno familiare hanno evidenziato la tragica trasformazione che il bambino, da vittima, si trasforma a sua volta in un adulto carnefice di altri bambini.
c. la violenza coniugale – può assumere anche questa varie forme e presentarsi sia in forma fisica che psicologica o solo verbale. Le statistiche riportano valori epidemiologici che coinvolgono tutte le fasce d’età, tutte le condizioni sociali e tutti i livelli di cultura. Lo studio e la ricchezza non proteggono quindi dai conflitti coniugali che sfociano in violenza e dunque lo ritroviamo come fenomeno trasversale che abbraccia tutte le condizioni sociali essendo prevalentemente collegato con la natura affettiva e relazionale dei problemi di coppia.
d. la violenza verso gli anziani – gli anziani, come i bambini, rappresentano la parte debole, fragile e più vulnerabile della società e della famiglia. La violenza verso di loro spesso non è una violenza diretta, fisica, il più delle volte si tratta di incuria, di trascuratezza, di esclusione, di non considerazioni. Si tratta quindi di una violenza non fisica, bensì psicologica, affettiva, relazionale che vede gli anziani soli e abbandonati a se stessi, utili solo per il giorno del ritiro della pensione.
e. la violenza sessuale – può assumere le forme del gioco, come nella pedofilia verso i bambini più piccoli, oppure le forme della costrizione e del sadismo, come spesso avviene fra i coniugi. Attualmente la legge italiana considera stupro anche un rapporto sessuale fra coniugi, quando viene a mancare il consenso all’atto stesso, oppure la violazione di un orifizio naturale del corpo sia con dita che con oggetti. La violenza sessuale in ambito domestico è considerata una aggravante rispetto alla generica violenza sessuale e per questo punita con pene più severe.
f. l’omicidio – tutte le forme di violenza fin qui esposte possono, nei casi estremi e più gravi, arrivare anche alla morte della vittima. L’opinione pubblica in Italia è stata recentemente molto scossa da alcuni episodi di cronaca nera domestica, come i fatti di Erika ed Omar oppure come l’omicidio del piccolo Samuele a Cogne, al punto da voler accendere una luce più chiara sul fenomeno. Per poi scoprire tragicamente che non si tratta di attualità, bensì di crimini di cui la storia, la società, il costume, il teatro, la narrativa degli ultimi duemila anni si è ampiamente occupata.
Le dinamiche psicologiche del delitto in famiglia spesso prendono l’avvio da un familiare che rappresenta agli occhi e alla mente dell’altro un ostacolo, una delusione, una carenza affettiva oppure la fonte di indifferenza e di incomprensione.
Queste situazioni, che spesso nascono in modo segreto e nascosto, represse interiormente, sono in grado di provocare una frustrazione cronica. Perdurando tale frustrazione nel tempo si ha che quanto più a lungo viene repressa interiormente questa frustrazione tanto più forte e brutale sarà la violenza e l’aggressività che successivamente verrà ad essere liberata.
I conflitti relazionali che di norma sono alla base di queste pericolose dinamiche psicologiche, sono diversi nell’adulto rispetto all’adolescente. Nell’adulto, prevalentemente nell’uomo, il conflitto nasce dalla discrepanza tra le aspettative pre-matrimoniali e la pratica della vita matrimoniale vissuta. L’uomo sempre più spesso si ritrova a fare i conti con una donna che non rispecchia la figura della madre che lui ha avuto, tutta casa e figli, e che non riesce a ritrovare nella moglie. E di cui non riesce ad adattarsi. La donna invece si vuole distaccare da un modello materno fatto di passività e rinunce, e chiede il riconoscimento anche in famiglia di un ruolo decisionale che in società, sul lavoro, ottiene e che il marito non le concede. Da qui conflitti, litigi e botte.
Nell’adolescente il conflitto matura dalla diversità esistente tra le sue aspettative e le sue richieste effettuate in famiglia (principalmente formulate in emulazione dei suoi coetanei o dei suoi modelli televisivi) e le possibili concessioni della famiglia, di norma molto al di sotto delle sue aspettative. Anche in questo caso ecco i conflitti, i litigi, le botte e le tragiche e risolutive soluzioni estreme, come quelle di far fuori i genitori e di prendere il possesso di tutti i loro beni (come nel caso di Pietro Maso).
All’interno delle famiglie vengono quindi a convivere varie persone e personalità (i nonni, i genitori, i figli) che hanno pochissimo in comune in quanto amano stili di vita dissimili ed hanno aspettative troppo diverse fra loro. Questo crea conflitti e dissidi generazionali e relazionali che richiedono delle capacità generalmente assenti nell’ambito domestico e familiare, anche in situazioni di benessere economico o di elevati titoli di studio. Fra queste importanti capacità ricordiamo il saper litigare, la capacità di gestione dei conflitti e la capacità di negoziazione. Tutte modalità che la scuola e la vita spontaneamente non insegnano, ma che sono diventate dei necessari requisiti per assicurarsi il benessere domestico e familiare.



BOX - 1

Le cause della violenza...

- psicologiche - personalità di tipo “Borderline”
- personalità antisociale
- personalità paranoidea
- dinamiche relazionali di frustrazione
- dinamiche relazionali rivendicative
- ambiente sociale violento

- psicopatologiche - psicosi schizofrenica
- psicosi delirante paranoidea
- depressione psicotica



BOX – 2

...e le forme

- acuta - bassa frequenza
- alta intensità (raptus)
- vuole infliggere dolore e sofferenza

- cronica - alta frequenza
- bassa intensità (stile relazionale)
- vuole acquisire potere e controllo

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