Suicidio, omicidio o altro? Gli interrogativi sulla morte dell’esperto informatico Michele Landi sono rimasti aperti
Suicidio? Omicidio? Incidente di “gioco”? La morte di Michele Landi, 36 anni, super esperto informatico avviato a una sempre più brillante carriera, è ancora un enigma. E forse lo resterà, con il prevedibile strascico di dubbi, sospetti, ipotesi di vario segno.
La sera di giovedì 4 aprile il corpo di Michele Landi era stato trovato nel soggiorno della sua casa a Montecelio di Guidonia, un piccolo borgo nei pressi di Roma: appeso per il collo a una corda fissata in alto a un gradino della scala che dal living conduce alla camera da letto, al bagno e a uno sgabuzzino; le gambe poggiavano su un divano, in posizione inginocchiata. Impiccato. E i Carabinieri del gruppo di Frascati, ai quali per competenza territoriale spettano le indagini, propendevano subito per la tesi del suicidio.
Impensabile e impossibile, replicano i familiari, la fidanzata, gli amici: tra questi, un ufficiale della Guardia di Finanza e un magistrato. Landi, dicono, non aveva alcun motivo di uccidersi. Svolgeva un’attività professionale che lo gratificava e appassionava, e gli consentiva di vivere come voleva: gli piaceva lavorare, ma anche divertirsi, fare sport, viaggiare. Insomma, come si suol dire, la vita gli sorrideva: perché avrebbe dovuto decidere di troncarla?
Un interrogativo che non ha risposte convincenti, anche se - volendo allargarsi - ogni essere umano ha i suoi oscuri recessi. Però, restando alla realtà visibile e documentabile, è necessario descrivere sommariamente la figura di Michele Landi, e individuare gli aspetti che potrebbero fornire delle motivazioni alla sua morte. Anzi, gli indizi, trattandosi di un giallo.
All’informatica Landi si interessava da quando era iscritto alla facoltà di ingegneria (aveva dato tutti gli esami, senza però trovare il tempo di presentare la tesi), e poi era stato ufficiale di artiglieria a Bracciano: in quegli anni, dice un suo amico, i servizi segreti si sarebbero interessati alle sue capacità tecniche che spaziavano fino alla missilistica. Da una decina d’anni aveva ampliato e affinato le sue conoscenze nel campo dell’informatica, diventando una sorta di “mago” dei computer, un perito chiamato da varie Procure per dirimere i casi più difficili e spinosi. Era collaboratore, e amico, del colonnello Umberto Rapetto, uno dei maggiori esperti di indagini informatiche, comandante del Gruppo anticrimine tecnologico della Guardia di Finanza; fra le sue diverse attività, Landi teneva un corso alla Luiss riservato alle Fiamme Gialle. Il colonnello Rapetto è stato tra i primi a dichiarare di non credere alla tesi del suicidio. E il magistrato Lorenzo Matassa, pm di Firenze che conosceva bene il tecnico da quando era alla Procura di Palermo, e lo aveva avuto come consulente è andato più in là: “Lo hanno suicidato i servizi segreti deviati”.
Lavoro, sport (volo a vela, nautica, paracadutismo, alpinismo), amici, relazioni sentimentali. Da qualche tempo una fidanzata, Giusy, con la quale, insieme ad altri amici, aveva trascorso l’ultima serata prima della morte. L’aveva accompagnata a casa sulla sua moto Honda Transalp, ed era tornato dagli altri per bere un paio di birre, prima del ritorno a Montecelio, alle 5 del mattino. In un primo tempo la morte era stata situata tra le 18 e le 20 di giovedì, ma l’autopsia l’aveva riportata alle 6, un’ora dopo il suo ritorno. Un’ora per uccidersi, o per essere ucciso.
Com’è noto, Landi era entrato nelle indagini per l’omicidio del professor D’Antona, come perito della difesa di Alessandro Geri, presunto telefonista delle Br. Si era interessato anche, informalmente, del mortale agguato a Marco Biagi, e intervistato da un’emittente radiofonica aveva affermato di poter risalire al computer dal quale era partita la rivendicazione del delitto. Qualche giorno prima della sua morte, aveva confidato a un amico di fatto delle scoperte sorprendenti sul DC-9 precipitato nel mare di Ustica nel 1980. L’esperto informatico deteneva dei segreti in qualche modo pericolosi? È possibile, e forse molto probabile date la sua attività e le sue relazioni professionali. E certo deve prendere in considerazione anche questo aspetto per cercare la verità sulla sua fine improvvisa. Tenendo conto che “cercare” spesso non significa “trovare”, e che molto dipende dal peso che si vuole dare all’una o all’altra ipotesi.
1. Il suicidio. Michele Landi torna a casa alle 5, sulla sua moto che guidava agevolmente, nonostante una frattura alla caviglia destra lo obbligasse a portare un tutore di sostegno; fino a qualche tempo prima doveva usare le stampelle. Una volta entrato, ha - per motivi ignoti - una crisi depressiva, e decide di uccidersi. Prende una corda di nailon da alpinismo, ne fissa un’estremità a un gradino della scala interna, all’altro capo forma un nodo scorsoio, lo passa attorno al collo, afferrando un gradino si issa in alto con le braccia, e si lascia ricadere tenendo le gambe ripiegate. Un suicidio molto forzato, e per renderlo più sicuro gli sarebbe bastato spostare il divano, ma tecnicamente possibile. L’autopsia ha rivelato un elevato tasso alcolico nel sangue di Landi: eppure nella serata aveva bevuto moderatamente, e gli amici affermano che era sobrio e di ottimo umore. Anche la fidanzata assicura che fra loro filava tutto liscio: giovedì, dopo la lezione alla Luiss, dovevano vedersi nuovamente. Nella mattinata e nel primo pomeriggio sia la segreteria della scuola sia Giusy avevano ripetutamente telefonato per mettersi in contatto con Michele, e così era scattato l’allarme.
2. Il “gioco” finito male. Michele Landi torna a casa alle 5, e allestisce una falsa impiccagione con finalità erotiche. Senza entrare in dettagli scabrosi, si tratta di un’operazione che il Marchese de Sade descrisse minuziosamente in “Justine”. Landi, che nel frattempo aveva bevuto, non era però riuscito ad interrompere in tempo il “gioco”. Perquisendo l’abitazione i Carabinieri hanno trovato scarpe da donna con il tacco alto e una parrucca. Sono le prove di una sessualità perturbata? Se è così, tutti quelli che lo conoscevano e frequentavano si chiedono quando e come potesse vivere questa sua seconda personalità. E del resto, il tempo trascorso tra l’arrivo a Montecelio e la morte sembra troppo breve per escogitare e mettere in atto un’orgia solitaria, soprattutto considerata la stanchezza dopo una notte passata in bianco.
3. L’omicidio. Michele Landi aveva confidato a un amico di essere sorvegliato e pedinato. Diceva di non sentirsi tranquillo. La sera di mercoledì un vicino lo aveva sentito discutere con due uomini che parlavano con accento toscano. Secondo questa ipotesi, i killer lo avrebbero seguito in auto fino a Montecelio, o atteso nei pressi della abitazione. Subito dopo il suo ritorno, lo convincono, o lo obbligano, a lasciali entrare in casa, lo immobilizzano, gli fanno bere del vino o del liquore, e lo impiccano. Prima di allontanarsi, frugano nell’appartamento visitano i due computer di Landi, e lasciano le scarpe da donna e la parrucca per creare un secondo depistaggio.
Dopo le prime dichiarazioni tendenti a chiudere il caso come un gesto disperato di autodistruzione - anche il ministro dell’Interno Claudio Scajola aveva affermato: “I responsabili delle Forze dell’ordine e dell’intelligence sono portati a ritenere che quello di Michele Landi sia suicidio”; “le parole del ministro sulla morte di Michele mi sono parse affrettate”, aveva replicato la fidanzata Giusy, sul fascicolo dell’inchiesta, seguita da Salvatore Scalera, sostituto procuratore di Tivoli, è stata scritta la parola “omicidio”. In realtà si tratta di un’ipotesi obbligata per poter proseguire le indagini, ma per i parenti e gli amici di Landi è la conferma dei loro dubbi, anzi dei loro sospetti. Comunque, se davvero l’esperto informatico è stato ucciso, per scoprire i motivi del delitto si dovrà scavare a fondo, seguire percorsi labirintici che potrebbero condurre chissà dove, fare incontrare chissà chi. E va ricordato che non sarebbe la prima volta.
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