Nel suo ultimo libro, Paolo Roversi ambienta la storia
nella Bassa Padana. Sullo sfondo, un maresciallo
dei Carabinieri e un giornalista intrigante
Fin dalla prima pagina del libro (Paolo Roversi, La mano sinistra del diavolo, Mursia, 2006, euro 15.00) Roversi ci descrive i tratti essenziali che caratterizzeranno questa storia.
Siamo nella “Bassa”, definizione che contraddistingue la pianura Padana, terra di fiume, di nebbia e di ricordi mai abbandonati di uomini che hanno combattuto per restituire una dignità all’Italia massacrata dalla guerra, terra di partigiani.
Uno di questi uomini, Giasér, è morto e al suo funerale partecipa tutto il paese, i compagni che hanno fatto la resistenza sono allineati subito dopo il carro funebre, con i fazzoletti rossi al collo e i gonfaloni dell’Associazione nazionale Partigiani alzati. Il parroco del paese segue la scena a distanza, perché Giasér ha sempre detto che in chiesa non sarebbe mai entrato, neanche con i piedi in avanti. Il maresciallo dei Carabinieri, Boskovic, dal suo ufficio assiste da lontano alla scena, pensa che in quel paese il massimo accadimento sia la morte di un vecchio partigiano. Ancora non sa quanto si sbaglia.
All’arrivo in paese di Radeschi, giornalista freelance per un quotidiano milanese che ha i genitori che vivono lì, viene trovata una mano monca dentro la buchetta delle lettere di una casa disabitata. Il maresciallo Boscovic, indagando, si troverà sempre in mezzo ai piedi il giornalista a caccia di notizie, che, per fortuna, dovrà andare anche a Milano a esercitare il suo diritto di cronaca, perchè viene contemporaneamente trovata una giovane donna uccisa. A indagare su quest’ultimo caso è il suo amico, il funzionario di polizia Sebastiani.
Accattivanti le figure del maresciallo e del giornalista, intrigante la storia e belle le descrizioni della gente e del paese di provincia. Un romanzo da leggere per il valore che viene dato all’importanza della Memoria.
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“Sono fiero di questo mio libro”
Dalla Milano di Blue tango (Blue tango. Noir metropolitano, ed. Stampa alternativa, 2006) passi a un piccolo paese della Bassa, il paese di origine di Enrico Radeschi, il protagonista del romanzo, posso vederci qualcosa di autobiografico?
Qualcosa certamente c'è. Credo, tuttavia, che in ogni personaggio ci sia molto del suo creatore. E non parlo solo del sottoscritto, naturalmente. La cosa più macroscopica, forse, è che anch'io, come Radeschi, possiedo una Vespa gialla del 1974 e che entrambi siamo nati in un borgo affacciato sul Po.
A parte queste, chiamiamole coincidenze, il resto è pura inventio letteraria, anche se ritengo sia impossibile per uno scrittore non mettere una parte di sé nei personaggi che si descrive.
Coprotagonisti sono un funzionario della questura di Milano e un maresciallo, comandante della stazione Carabinieri del paese. Sei riuscito a fare lavorare insieme un poliziotto, un carabiniere e un giornalista, categorie tra cui non corre notoriamente buon sangue. Come sono nati questi due personaggi?
Ho basato il rapporto fra il poliziotto e il giornalista sull'amicizia, sulla fiducia reciproca. Li ho fatti incontrare per ragioni professionali ma poi hanno avuto una disavventura in comune che li ha avvicinati. Anzi: sono diventati grandi amici.
L'idea originaria, quando ho creato la figura del giornalista e quella del vicequestore, nel mio primo romanzo Blue Tango, era quella della compensazione. Ritengo che affinché un giallo sia credibile occorra sempre inserire fra i protagonisti un personaggio appartenente alle Forze dell'ordine. E' fondamentale per rendere più credibile la storia. Inoltre, in mille situazioni, ti aiuta a portare avanti l'azione in maniera efficace e credibile.
Nel mio caso, fra i due protagonisti, esiste un rapporto di do ut des. Radeschi è un giornalista freelance hacker, uno smanettone. Sebastiani, invece, è un poliziotto tutto d'un pezzo, che non capisce nulla di computer. Quando però ha bisogno di consulenze di questo tipo convoca Radeschi per togliergli le castagne dal fuoco. In cambio gli fornisce qualche informazione sulle indagini per i suoi articoli.
La storia che racconti deve fare i conti con un passato che continua a lasciare strascichi nella pianura Padana. Così come nei libri di Valerio Varesi (ambientati nel parmense) la guerra è presente.
Ho scelto una frase di George Orwell per aprire, e forse descrivere, il mio libro. Eccola: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”.
Significa che anche se è passato molto tempo, certe ferite è difficile rimarginarle e finché certe situazioni non arrivano ad una soluzione chiara, il tempo non le può cancellare.
Stai scrivendo? Il prossimo romanzo vedrà i tre protagonisti che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro?
Sì sono al lavoro per quello che sarà il terzo, e forse ultimo romanzo, della saga Radeschi- Sebastiani- Boskovic. Fino ad ora ho scritto solo un paio di capitoli quindi non so quando uscirà.
Per ora penso solo a godermi "La mano sinistra del diavolo" che sta andando molto bene e di cui vado molto fiero.
(Intervista a cura di Simona Mammano)
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