Giuseppe Pisanu, 65 anni, padre di tre figli, politico di tradizione democristiana (fu allievo di Zaccagnini), attualmente uomo di punta del partito del Presidente del Consiglio, Forza Italia, è il nuovo ministro dell’Interno. Ha sostituito in corsa Claudio Scajola, travolto da una crisi dai contorni inusuali che forse non sono stati ben chiariti neppure durante l’acceso dibattito parlamentare che ha sancito il passaggio del testimone tra i due colleghi-avversari. È nota a tutti la rivalità tra Pisanu e Scajola nelle faccende interne del partito e soprattutto nelle partite di potere. Scajola, infatti, poco più di un anno fà, venne preferito proprio a Pisanu per ricoprire la carica. Una lotta dunque tra due ex democristiani, l’esito finale della quale potrebbe avere anche altre conseguenze sugli assetti complessivi del Viminale. C’è chi scommette sulla possibile sostituzione dei vertici della Polizia. Questo, al momento non possiamo dirlo né prevederlo. Ci sembra però utile proporvi qualche riflessione intorno a questo strano caso.
La prima considerazione è semplice e perfino banale per una rivista come la nostra che si occupa da tanti anni di problemi di Polizia, di ordine pubblico e in generale di sicurezza dei cittadini, temi-bandiera di molte coalizioni politiche e sicuramente caratterizzanti per l’attuale governo di centro destra che ha vinto le elezioni, oltre che per le promesse sulla riduzione della pressione fiscale, anche per le promesse sulla sicurezza interna. Ebbene l’ex ministro dell’Interno, si è lasciato sfuggire un’affermazione molto grave, che speriamo sia frutto solo del suo sacco e non rappresenti invece un modo di pensare una “visione del mondo” dell’intera coalizione governativa. Claudio Scajola ha infatti detto che se il professor Biagi avesse avuto ancora la scorta, quel giorno maledetto, a Bologna, invece di un morto ce ne sarebbero stati tre: il professore e due poliziotti. La frase è stata magari enfatizzata, ma nessuno, tanto meno l’ex ministro, l’ha smentita. Che cosa significa questa frase? Come dobbiamo interpretarla? Evidentemente ci sono solo due modi, tra loro legati: l’ex ministro temeva troppo il terrorismo (e infatti sempre nei giorni sfortunati delle sue esternazioni aveva annunciato prossime azioni di sangue da parte delle nuove Br). Claudio Scajola in questa ipotesi avrebbe conoscenza di cose che noi comuni cittadini, lettori di giornali, non abbiamo. Avrebbe avuto notizia di una ripresa molto forte dell’organizzazione terroristica clandestina che si collega - almeno con le parole scritte sui documenti - alle Brigate Rosse storiche.
La seconda spiegazione dell’affermazione dell’ex è legata alla fiducia nelle Forze di polizia. Claudio Scajola, forse, non temeva tanto le nuove Br, quanto la debolezza della Polizia e in particolare del sistema delle scorte. Nessun ministro dell’Interno avrebbe mai fatto un’affermazione del genere. Che cosa significa? Che le scorte non servono a nulla, anzi creano ancora più pericolo? Come si lega questa affermazione, quantomeno imprudente, alla campagna del suo stesso governo sul vigile di quartiere, sulla Polizia di prossimità e via dicendo? Se mettessimo un vigile in ogni quartierie ci dovremmo aspettare lo scatenarsi della criminalità e delle sparatorie?
Una sotto-considerazione legata a questa prima riflessione sulle scorte, riguarda l’utilizzo delle Forze in polizia e in generale dei vari Corpi preposti alla sicurezza. Ci sono stati anni in cui i maggiori sindacati di Polizia hanno denunciato l’uso distorto degli uomini dei Reparti operativi. Anche la nostra rivista si rifà a una tradizione di lunghe e difficili battaglie sull’utilizzo del personale e delle risorse umane. Non solo noi, ma tanti prima di noi, hanno denunciato quell’andazzo indecente dell’utilizzo del poliziotto come “servitore” o “attendente” di qualche personaggio importante. Poliziotti utilizzati come autisti delle mogli di uomini di potere, poliziotti o finanzieri utilizzati come commessi o come “inviati” al supermercato. Si tratta di fenomenologie antiche e sicuramente superate. Roba vecchia. Ma sapendo tutto ciò ci sembra davvero ancora più sorprendente (e molto grave) questa polemica sulle scorte in generale e sulle scorte delle persone a rischio come Biagi in particolare. Invece di occuparsi seriamente della riorganizzazione del lavoro interno alle Forze di polizia e di pensare a qualcosa di diverso e piu “moderno”, che cosa si fa? Si taglia. E si taglia proprio laddove non si dovrebbe. In questo caso si è tagliato lasciando un varco alla morte, agli assassini. E non giovano neppure gli scaricamenti di colpe, magari su altri ex ministri come Bianco, l’uomo che istituì la scorta proprio per Marco Biagi.
La seconda considerazione riguarda Marco Biagi e le sue denunce. Sono vere o false le lettere di cui i giornali, in particolare La Repubblica hanno dato notizia? Se sono vere e se sono vere le notizie relative al grado di informazione del governo sul reale rischio che Marco Biagi correva, allora le responsabilità politiche sono molto pesanti. Da una parte ci sono uomini politici che negano di aver mai avuto notizie sulle minacce contro Biagi e nello stesso tempo che prendono per buoni tutti i riferimenti alle presunte minacce di Sergio Cofferati contro il professor Biagi. Siamo di fronte a una situazione paradossale e sconcertante. Le fonti sono date per buone solo quando servono ai fini biecamente polemici del momento. Se c’è da attaccare e magari criminalizzare il Segretario del più grande sindacato italiano (guarda caso l’unico che si oppone veramente alle politiche del governo), allora le fonti sono attendibili. Se invece si deve dire che Biagi è stato letteralmente abbandonato dallo Stato, allora le fonti non sono più attendibili.
Ma la terza e ultima considerazione che vogliamo fare esula un po’ - ma poi neppure tanto - dai problemi specifici della sicurezza e dell’organizzazione delle Forze di polizia. Si tratta appunto di Sergio Cofferati. È impressionante la memoria corta di certi mezzi di comunicazione e di una certa opinione pubblica un po’ prigra. Fino a qualche anno fa (diciamo cinque o sei? O magari quattro?), Cofferati era considerato sia dalla destra che dalla sinistra un tranquillo riformista, un moderato legato alle politiche di equilibrio nella tradizione della Cgil di Luciano Lama e Bruno Trentin, non tanto di Di Vittorio che forse oggi sarebbe considerato perfino un pericoloso estremista. Ebbene Cofferati, dall’immagine di moderato (vi ricordate gli attacchi di Bertinotti?) è passato all’immagine di un novello Masaniello. Da riformista, sindacalista abituato a firmare i compromessi, è diventato addirittura l’ispiratore del terrorismo. E nel frattempo succedono strani attentati nella sede di una Camera del lavoro, mentre oscuri personaggi trattano lettere e letterine che condizionano direttamente il dibattito e le scelte politiche. Sono queste, e tante altre, le cose più urgenti da chiarire per la salute della nostra democrazia.
Paolo Andruccioli
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