Si fa un gran parlare dello stato di salute della giustizia in Italia, ridente Paese che conta il maggior numero di condanne da parte della Corte Europea di Giustizia per procedimenti errati, o almeno così riferiscono talvolta le cronache.
Ma quanti si preoccupano di andare a vedere effettivamente cosa accade dentro ai palazzi di giustizia; di chiedere a chi lavora in tale settore quali sono le condizioni che deve affrontare quotidianamente.
Chi interpella magistrati, cancellieri, segretarie e componenti delle Sezioni di Polizia giudiziaria? Probabilmente nessuno, tranne talvolta i sindacati di categoria i quali, nella melassosità del burocratismo dell’Amministrazione pubblica, vedono affondare buona parte dei fondamentali diritti dei lavoratori.
Così, laddove il Codice di Procedura Penale ora in vigore, ha decuplicato i carichi di lavoro rispetto agli anni precedenti il suo avvio, nessuno ha pensato di adeguare l’organico, con conseguente, inevitabile, sbilanciamento di competenze.
Sempre più gli oneri che il Codice fissava a carico del Pm, per le migliaia di fascicoli da trattare, sono lentamente, formalmente, passati ai collaboratori.
Così il legislatore ha pensato bene - all’epoca - di dare agli Ufficiali di Polizia giudiziaria l’onere di affrontare da Pm anche le udienze. Senza garantire loro un’adeguata formazione né tantomeno una dignitosa corresponsione retributiva.
Ora circa 12 anni dopo, si ripresenta, aggravato, il problema, con la nuova legge sul giudice di pace.
Sempre senza considerare che probabilmente un adeguamento degli organici sia civili che di Polizia giudiziaria, aiuterebbe a smaltire più agevolmente il quotidiano onere delle migliaia di querele, non si comprende come la Polizia giudiziaria possa assolvere degnamente ai propri compiti se poi dagli stessi è continuamente distolta onde fare fronte ad un’emergenza che non allarma ma crea polemiche.
Polemiche che - com’è prassi italiana - sono speculativamente mirate a:
1) far decadere nella cittadinanza la fiducia nello Stato e nel diritto;
2) far soprassedere sui limiti oggettivi che potrebbero essere facilmente valicati;
3) contribuire alle propagande elettorali.
Senza per di più calcolare:
a) la demotivazione che sempre più si fomenta nei lavoratori e lavoratrici che con maggior personale spirito di sacrificio cercano di sanare tale situazione;
b) la frustrazione che negli stessi si ingenera quando a parità di stipendio le responsabilità che si assumono hanno rilievo penale di notevole entità rispetto ad altri dipendenti pubblici e privati;
c) la tensione che si ingenera in tali lavoratori e lavoratrici e fra questi gli avvocati che esigono efficienza teutonica in un sistema tutto italiano.
Allora, con coscienza, oltre a rivedere l’intero ferraginoso impianto giurisprudenziale di questo Paese, occorrerebbe adottare un criterio di assunzioni proporzionate ai carichi di lavoro già dimostratisi e consentire così a tutti, magistrati compresi, di fare dignitosamente il proprio lavoro, ma soprattutto, di far sì che ciascuno espleti strettamente le proprie funzioni, senza che il cittadino che si porta in una Procura della Repubblica debba essere rimpallato fra Segreterie, Sezioni di Polizia giudiziaria e Pubblici Ministeri perché lo stato della propria pratica è indifferentemente collocabile per trattazione in ciascuno di detti uffici.
Non per legge, ma per necessità.
Gianclaudio Vianzone
Segr. Reg. Siulp - Piemonte
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