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giugno/2002 - Laboratorio
Laboratorio
Le grandi conquiste di ieri
di

Un passato che ci parla di grandi conquiste, normative e contrattuali, che hanno cambiato il volto della Polizia, il rapporto del poliziotto con il suo datore di lavoro. Ma sconfitte importanti, arretramenti vistosi, danno un quadro e portano, credo, a stilare un bilancio negativo, per quanto riguarda lo stato d’attuazione della 121/81.
Ruolo di direzione, pensiamo al tema annoso del potere d’ordinanza, dell’Autorità di Ps, ancora dimezzato, verso gli altri Corpi, ma anche all’interno della Polizia; specialità, da una parte sottoposte a un duro attacco, con i progetti di riordino oggi messi in attesa ma non ritirati, dall’altra mantenute come presidio di separazione più che di sapere specializzato al servizio dell’intero sistema; l’ispettore destituito della funzione investigativa che doveva, in via esclusiva, rivestire e divenuto un ruolo come un altro nell’ambito della carriera; la dirigenza ancora fuori dalla contrattazione, oggetto del ricatto e del condizionamento, che si manifesta attraverso il riconoscimento della fedeltà alle direttive, palesi e tacite, molto più che della capacità nella direzione operativa, nella gestione del personale e delle risorse materiali; il coordinamento ancora una chimera, con pulsioni ulteriormente degenerative, passanti soprattutto attraverso una certa spinta alla devoluzione, verso i poteri locali, delle potestà di Polizia.
Se si eccettua l’aspetto delle carriere, che dopo due riordini in cinque anni, dovremo tenerci come sono per alcuni anni ancora, nonostante il risultato, credo, negativo rispetto al quadro riformatore che la 121 e i decreti immediatamente attuativi avevano iniziato a tracciare,tutto questo non deve portarci a una mesta e rassegnata presa d’atto ma a trovare strumenti, magari rispolverando alcuni dei vecchi, per porre nuovamente sul tappeto alcune questioni,evitando di dire poiché non coordinata la Polizia perché dovremmo chiamare altre Forze di polizia a questo coordinamento.
Sembra di poter dire che la 121 è una riforma inattuata e, per certi aspetti, persino tradita. Le forze che hanno permesso, che hanno portato a questo, e alcune di queste sono venute meno al loro compito storico e ideale, sono molto più grandi di noi. Ma anche noi abbiamo messo del nostro e forse, in certi passaggi, il nostro atteggiamento è stato addirittura decisivo. Uno per tutti, la legge 78/00.
Noi su questa legge abbiamo fatto una capriola completa. Fino a novembre ’99, un giudizio; a febbraio 2000, al momento del voto, esattamente l’opposto. Non si comprende in presenza di quali modifiche al testo, posto che è rimasto praticamente il medesimo.Di più, il documento “Disinformazione pilotata sulla riforma delle Forze di polizia” ha rafforzato, anziché chiarire, questi dubbi, l’impressione di questo repentino cambiamento di orientamento della nostra organizzazione.
Si è detto non possiamo esporre il Siulp a una guerra fratricida. Ma i nostri fratelli non sono gli ufficiali superiori, che hanno sempre remato contro il coordinamento e la democratizzazione negli apparati di Polizia, i processi di smilitarizzazione e sindacalizzazione e che, soli, hanno ricevuto vantaggio e riconoscimento da questo passaggio di riforma. I nostri fratelli sono i carabinieri e i finanzieri, che ancora oggi, nell’Italia del XXI secolo, dell’Unione Europea avviata, si vedono negare i diritti sindacali, una riforma tesa a una vera promozione professionale nell’interesse di tutto il Paese. Di costoro la riforma non si è occupata gran che.
Il risultato è un coordinamento ancora più complicato e l’Arma ancora più distante da noi. Dal mancato approfondimento delle pressioni fatte sui parlamentari, il palcoscenico della difesa della Polizia e del modello civile di sicurezza, obiettivamente lasciato a forze minoritarie e percorse da intendimenti microcorporativi, all’uscita del documento Pappalardo , se il nostro atteggiamento, di contrarietà a questo riordino dei Corpi, fosse stato mantenuto, per il turbamento e la discussione che, anche tra i parlamentari, hanno suscitato certi fatti, l’esito di questo iter parlamentare sarebbe stato differente e avremmo recato un servigio al processo riformatore che abbiamo avviato oltre vent’anni orsono; se non altro, avremmo contribuito ad arrestare questo passaggio controriformatore.
Venendo all’aspetto più propriamente sindacale, molto del nostro impegno, va riportato alla dimensione di base. I delegati di base hanno perso il loro ruolo trainante, non adeguatamente spalleggiati , istruiti, dalle strutture locali. Va ricercato maggiormente nei tempi e ritmi del rapporto assemblare, fondamentale per i colleghi, dove bisogna saper proporre le nostre argomentazioni ma anche molto ascoltare il sentire profondo della categoria. Credo che un contributo negativo in questo senso sia stato dato dalla riforma della contrattazione decentrata.
Tutto questo per avviare una riflessione, che non deve decadere in uno squalificante palleggiamento di responsabilità tra centro e periferia del Siulp. Io, di queste ultime mi sento pienamente investito nel non padroneggiare del tutto quelle opportunità, che pure l’attuale modello di relazioni sindacali offre in periferia. Inoltre penso che dobbiamo procedere, con tutta la calma e l’approfondimento necessari, a un loro ripensamento a favore del ritorno a un ruolo più accentuato delle strutture periferiche. Vedo un momento insoddisfacente, perché lontano dal luogo fisico, dalle motivazioni particolari, storiche e anche, perché no, emotive e passionali, dello scontro, la composizione al centro, delle vertenze.
Condivido l’impostazione che sta emergendo sulla nuova tornata contrattuale, di attenzione al I° livello di contrattazione economica, per dare a tutti in misura corposamente uguale, evitando che si allarghi troppo la differenza tra i colleghi che percepiscono le indennità di II° livello e gli altri . Cosi come condividevo obiettivi e considero positivi i risultati del V° contratto che ci siamo lasciati alle spalle.
Tuttavia esprimendo la necessità di inaugurare un percorso contrattuale che parta realmente, più che nelle occasioni precedenti, dalla consultazione di base, dalle assemblee nei posti di lavoro, da una nuova, esaltata capacità propositiva delle strutture proviciali e regionali, vorrei evidenziare delle opportunità di orientamento per i prossimi accordi nazionali:
1) sul cambio turno retribuito, che è stato utilizzato da alcuni uffici delle specialità, ma non solo, sfruttando la disponibilità del Siulp a venire incontro a determinate esigenze posta dall’Amministrazione sin dagli accordi nazionali del ’95, per lo scardinamento dell’articolazione fondamentale dei turni di servizio continuativi, posta peraltro chiaramente nell’accordo nazionale quadro, dietro il paravento della programmazione settimanale.
O torniamo a un regime controllato rigidamente, non retribuito, dei cambi turno o facciamo venir meno la disponibilità a riconoscere quelle esigenze dell’Amministrazione e poniamo quale presupposto invalicabile per evitare il riconoscimento e la retribuzione del cambio turno, il rispetto dell’articolazione dei turni posta prevista dall’ Accordo Nazionale Quadro sin dalla programmazione settimanale;
2) riconoscimento della produttività sulla base delle presenze effettive nel corso dell’anno, anziché in riferimento a un tetto massimo di assenze;
3) possibilità di calcolare i diversi incentivi sulla base dell’attività effettivamente svolta e non su un criterio di prevalenza nel corso dell’anno;
4) dopo un attento monitoraggio sull’impiego dello straordinario e delle risorse a ciò destinate, esaminare la possibilità di una loro riduzione per finanziare altre necessità retributive, missioni o risorse necessarie ai cambi turno o da investire nella formazione;
5) statuizione, nel contratto, della fruizione differita del riposo settimanale quando coincida con il festivo.
Credo, inoltre, che vada posta maggior attenzione alle retribuzioni dei direttivi.
C’è stato un Siulp troppo politico; ora ce n’è uno troppo tecnico. Vado in controtendenza rispetto a vari interventi proposti fin qui e credo di associarmi a parte di quello del Segretario di Vercelli. Noi tra i due Siulp dobbiamo trovare un punto d’equilibrio, che, pur con le sfumature, le accentuazioni derivanti da impostazioni politico culturali o determinate da esigenze locali, costituisca la bussola per tutta l’organizzazione da un capo all’altro del nostro paese. Lì fuori c’è una società meno attenta di un tempo alle nostre ragioni. Ma questo aumenta le motivazioni del nostro impegno politico.
Immigrazione, giustizia, temi su cui va eleborata una linea progettuale. Sull’immigrazione credo che, a partire dalle relazioni del Segretario generale al Consiglio Generale a questo Congresso, dalle tesi congressuali, iniziamo con il piede giusto. Più politica dell’integrazione, anche riprendendo le parti inattuate della legge Turco Napolitano, meno ottica di Polizia nell’affrontare il fenomeno. Incentiviamo, appoggiamo i progetti promossi, nel trattamento di aspetti dei flussi migratori, dal ministero dell’Interno d’intesa con le organizzazioni delle Nazioni Unite e con l’associazionismo che lavora sugli stranieri. Sulla giustizia ci sono posizioni molto differenziate al nostro interno ma non possiamo restare spettatori per l’importanza che il tema sta assumendo rispetto ai fondamenti dello stato di diritto, in particolare ai rapporti tra i poteri dello stato che si ispirano a quei fondamenti. Prepariamo un’iniziativa nazionale che faccia il punto della nostra posizione, partendo dal rapporto che vorremmo tra Polizia giudiziaria e Procure, per arrivare a quale sia il modo di riformare, difendendo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e affermando una giustizia più rapida e giusta.
È stata colta ancora una volta dalla relazione del Segretario Generale l’importanza del nodo della formazione. Uno dei temi su cui va intensificato il nostro impegno, da sempre rivolto a coniugare diritti dei poliziotti e libertà dei cittadini. Necessità quindi di rivisitare le norme dell’’83 sugli istituti d’istruzione ed esercitare un nuovo controllo su programmi, selezione dei docenti, metodi e tempi dell’insegnamento e addestramento e aggiornamento professionale.
Apprezzabile mi sembra poi l’approccio critico alla gestione delle giornate di Genova, nel sottolineare la mancanza di un fecondo rapporto tra professionalità del centro e della periferia.
Credo però che non basti. Vanno infatti indicate le altre e più importanti componenti di un vero e proprio disastro dell’apparato della sicurezza, che si è rivelato nell’inadeguatezza dei servizi d’informazione rispetto all’individuazione dei pericoli reali, la militarizzazione spropositata e il cattivo uso delle forze in campo, specie nel primo giorno d’incidenti, quando la Polizia non è stata l’attore principale, il coordinamento assolutamente inconsistente, i diritti contrattuali dei poliziotti, specie sull’orario di lavoro, calpestati.
Credo che qualsiasi governo possa essere destinatario della nostra gratitudine se pone rimedio a queste che sono tendenze ricorrenti nella gestione dell’ordine pubblico, specie in occasione di vertici internazionali, perché questo è il messaggio democratico e di fiducia nonché di vicinanza ai poliziotti e alle loro reali esigenze non la riabilitazione di alcuni dirigenti.
Daniele Dovenna - Segr. Gen. Siulp
Friuli Venezia Giulia

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