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giugno/2002 - Interviste
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Carcere, un mondo a parte
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I dipendenti del Corpo di Polizia Penitenziaria lo sanno fin troppo bene: per avere un rimborso spese, bisogna attendere moltissimo tempo. Chi scrive (ormai in quiescenza) attende il rimborso per le cure termali sostenute nell’ottobre dello scorso anno. Nonostante i solleciti, non mi è giunta una risposta.
E pensare che chi delinque è spesso compatito e qualche volta persino giustificato un po’ da tutti. Chi, viceversa, è ligio al proprio dovere e fedele alle istituzioni, viene spesso trascurato.
Questo che scrivo deriva dal fatto che sono stato spesso a contatto con arrestati: presunti innocenti, presunti incolpati, con persone che si professano, sempre e comunque, innocenti, con chi accusa e chi si accusa, con quelli che si fanno comunque arrestare perché non sanno dove andare e dove trascorrere i freddi giorni invernali, con quelli che dopo tre gradi di giudizio vengono assolti “per non aver commesso il fatto” o perché “il fatto non sussiste”, con delinquenti incalliti, con persone che devi “proteggere” da altri detenuti.
Una cosa è certa (e lo dico con amarezza): se a morire sono dipendenti dei Corpi di Polizia o magistrati, pochi se ne curano; gli autori non si riescono a trovare e, quando li trovano, vengono scarcerati dopo pochi anni.
Non voglio fare di ogni erba un fascio. Ho fatto solo alcune considerazioni, frutto della mia lunga permanenza nella Polizia Penitenziaria, dalla quale sono uscito non per mia volontà, ma per cause di forza maggiore, avendo subito un incidente automobilistico per colpa altrui, ma “in itinere”.
Ho svolto il mio servizio senza mai guardare l’orologio, senza mai essere sicuro di poter fruire del giorno di riposo o delle ferie.
Fare servizio in una struttura penitenziaria, significa vivere ed operare in un mondo a parte, dove tutto è diverso, dove tutto cambia. Ho fatto il mio lavoro sempre osservando le leggi e i regolamenti; cercando di capire i problemi dei colleghi ma anche quelli dei detenuti per i quali non ho mai fatto differenze o manifestato preferenze, anche se talune volte ti immedesimi in loro cercando di capire se è vero ciò che essi ti dicono. Ho colloquiato con i ristretti ma senza mai entrare in confidenza con loro (giacché proprio la confidenza può portare a comportamenti devianti da parte del personale di custodia).
Io ripeto spesso una frase: tenere un cane in gabbia è sempre difficile, figuriamoci una persona! Occorre ricordare che con i cancelli e i portoni, al ristretto, si chiude alle sue spalle anche tutto un mondo. Spesso per il personale della Polizia Penitenziaria, tutto ciò difficilmente riesce comprensibile, mentre è tragicamente presente in chi entra, come detenuto, nel carcere.
Da tanti anni di servizio (nel corso del quale ho percorso tutta la carriera, da agente ad ispettore capo, ho ricavato una convinzione: con i veri delinquenti, quelli incalliti ed irriducibili, le norme dovrebbero essere un po’ più restrittive. Chi opera nel carcere - a seconda dei suoi specifici ruoli - deve essere un buon psicologo, un buon psichiatra, un buon educatore, eccetera. Tenersi informato e aggiornato sulla sua materia giacché la vera professionalità non la si acquisisce da un giorno all’altro, ma deve diventare il frutto della esperienza che si va maturando in tanto tempo.
Donato Bisceglia
già Isp. Capo Polizia Penitenziaria

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