Sono i più esposti a talune forme di criminalità spicciola e da ciò deriva il sentimento di profonda insicurezza
Nello studio dei fenomeni criminali, le vittime dei reati sono state per molti anni escluse da qualsiasi interesse teorico e pratico e solo a partire dall’ultimo dopoguerra, con la nascita della vittimologia come scienza empirica, hanno acquisito una dignità e un’importanza in relazione al loro ruolo, quasi sempre subìto , nella dinamica, talora complessa, dei reati. Col passare degli anni, sono stati elaborati concetti relativi ai rapporti fra gli autori di reati e le loro vittime, all’eventuale predisposizione di queste ultime e alla loro facilitazione del reato stesso, agli effetti dei diversi reati sulle vittime e alle possibilità di ridurli, alle discrepanze fra i dati oggettivi e le convinzioni comuni in tema di vittimizzazione. Negli ultimi anni sono stati messi in evidenza ulteriori aspetti, quali la “vittimizzazione secondaria”, legata al complesso iter socio-giuridico, che non raramente colpevolizza la vittima del reato più dello stesso autore, e le conseguenti forme di tutela delle vittime da questi meccanismi perversi e di coinvolgimento in attività riparative richieste agli autori di taluni reati.
Il riconoscimento del nuovo ruolo della vittima nella sua dimensione sociale è uno degli elementi caratterizzanti alcune attività di prevenzione, inteso così come strumento di produzione di sicurezza per tutta la collettività e non soltanto di recupero e reinserimento di categorie marginali. Fra i risultati di una ricerca sulla vittimizzazione effettuata in Svizzera fra il 1984 e il 1988 si è evidenziato che gli uomini sono più spesso vittime di reati, a causa del tipo di vita sociale più attiva e “pericolosa” che conducono, e che le persone più anziane corrono un rischio minore di subire reati gravi, quali quelli contro la persona. Al contrario, le persone più anziane presentano un rischio di traumatizzazione più elevato e di convalescenza più prolungato, aggravato dal maggior rischio di perdita di autonomia legato alla presenza o meno di adeguati sostegni materiali e psicologici. Come indicatori del sentimento di insicurezza vengono individuati la paura di passeggiare da soli, di notte, nel raggio di un chilometro dalla propria abitazione e quella di restare soli in casa nelle ore serali e notturne. Inoltre la vulnerabilità è probabilmente più importante, nella genesi della paura, del rischio reale di vittimizzazione; per tale motivo quest’ultima e il sentimento di insicurezza non appaiono strettamente correlati. La sola variabile situazionale su cui pare possibile incidere è quella di un cambiamento della vita sociale del quartiere, che porti a una “riappropriazione” degli spazi comuni; d’altra parte, come già ricordato, secondo un principio che definisce l’esposizione al rischio come principale fattore di vittimizzazione, aiutare le persone più anziane a uscire con più frequenza aumenta le loro probabilità di diventare vittime di determinati reati.
Nella già ricordata ricerca della Bpa si evidenziava l’incremento della fascia d’età caratterizzata nello stesso tempo da una maggiore fragilità fisica e da significative possibilità di trascorrere una certa parte della giornata fuori dalla propria abitazione: il 33% degli intervistati aveva un’età compresa fra i cinquantacinque e i sessant’anni, il 38% fra i sessantuno e i settanta e il 28% maggiore di settanta; il 28% non usciva mai di casa, con differenze nei diversi quartieri esaminati, e questa percentuale saliva al 46% fra le persone con più di settant’anni. Nel V Rapporto Cer sugli anziani, elaborato per conto dello Spi Cgil, è stata evidenziata la bassa esposizione degli anziani al rischio. Il 93% del campione considerato non è stato vittima di alcun reato, e coloro che hanno più di settantacinque anni risultano ancora meno esposti. Esiste inoltre una chiara relazione tra rischio e posizione socio-economica: la quota di chi non ha subìto alcun crimine, infatti, è inferiore fra gli intervistati della classe sociale superiore e per quelli con maggiore istruzione e redditi più elevati.
Più le vittime sono anziane, più richiedono rimedi da parte della Polizia e auspicano di essere informate sulle precauzioni da prendere e sui comportamenti pratici (percorsi, orari, eccetera) da mettere in atto. È inoltre importante il ruolo che può giocare la Polizia quando l’avvenimento ha ingenerato un sentimento d’insicurezza: informando, rassicurando, ascoltando le vittime e aiutandole a ritrovare il proprio autocontrollo e a gestire il proprio ambiente. La vittima è recettiva ai consigli della Polizia, soprattutto se riguardano misure di protezione che permettono di affrontare meglio la situazione e di ridurre il sentimento d’insicurezza.
Per quanto riguarda gli anziani vittime di reati, si può ricordare che, all’inizio degli anni Settanta, negli Usa si sosteneva che gli anziani erano più suscettibili di essere vittime di atti delinquenziali degli altri gruppi d’età, addirittura in maniera massiccia e drammatica. Negli anni successivi, ricerche più approfondite e obiettive ribaltarono completamente i risultati precedenti, con dati avvalorati dallo stesso Congresso Usa (1977) e dal Rapporto Figgie (1980), in cui si legge che il 49% dei giovani (età fra i diciotto e i ventinove anni) ha paura di essere vittima di reati violenti, contro il 33% degli anziani (età superiore a sessant’anni). Fu anche messo in evidenza come l’impatto dell’età sulla vittimizzazione fosse diverso in ogni gruppo etnico-razziale. Gli anziani, neri e bianchi, percepiscono il fenomeno criminale in maniera più acuta rispetto ai giovani, fra i portoricani e gli asiatici non sembrano sussistere differenze fra anziani e giovani.
Ulteriori ricerche effettuate in Nord America e in altri paesi hanno dimostrato che i maggiori rischi di maltrattamenti (fisici, psichici e legali) vengono corsi da persone di età superiore ai settantacinque anni, di sesso femminile e dipendenti da altri a causa delle loro limitazioni psicofisiche.
Nel 1981, una ricerca sulla vittimizzazione effettuata in Canada a cura del governo federale, avendo esaminato, fra l’altro, oltre 1.500.000 episodi di reati contro le persone e i beni domestici, ha potuto appurare che le persone anziane ne erano state vittime nel 2% dei casi.
Nel 1984, sempre in Canada, fu evidenziato che le vittime di reati di età inferiore ai trent’anni rappresentavano il 50% del totale, quelle di età compresa fra i trentuno e i cinquantanove anni il 39%, quelle sessantenni e più l’11%. Di quest’ultimo gruppo, il 7% era rappresentato da donne e il 4% da uomini, e ciò in contrasto con tutti gli altri gruppi di età per i quali risultava che i maschi erano oggetto di reati in proporzione nettamente superiore rispetto alle femmine. Per quanto riguarda i tipi di reato contro gli anziani, rari erano quelli contro la persona, più frequenti quelli contro la proprietà (furti, borseggio) e quelli di truffa e di circonvenzione.
Da non dimenticare infine, che non raramente gli anziani possono essere vittime di altre forme di abusi, quando non di veri e propri reati, che causano loro disagi e sofferenze, rendendo spesso difficili se non intollerabili le loro condizioni di vita: si va dall’omissione di cura e di assistenza, ai diversi abusi fisici, psicologici e materiali, alla violazione di diritti primari quali la libertà personale. D’altra parte, si tratta di una serie di comportamenti difficili da individuare e da perseguire, sia perché non raramente messi in atto all’interno del nucleo familiare sia per la delicatezza delle indagini, spesso oscillanti fra l’eccessiva razionalizzazione di taluni anziani per nascondere la realtà, e le fantasie esasperate, collegate a problematiche di altro tipo.
Anche la recente ricerca Istat conferma queste convinzioni. Viene ricordato come il rischio di vittimizzazione sia distribuito in modo diseguale fra i vari strati della popolazione e, nel caso dei reati contro la persona, il rischio vari a seconda del sesso e dell’età, così che le donne hanno più probabilità di essere scippate o borseggiate rispetto agli uomini, che, a loro volta, possono più frequentemente essere vittime di rapine o violenze personali. Ugualmente, il rischio di vittimizzazione per i diversi reati è significativamente diverso in rapporto all’età (per giovani e minori è da dieci a venti volte superiore rispetto agli anziani oltre i sessant’anni). Per quanto si riferisce, invece, ai furti con contatto (scippi e borseggi), i gruppi più a rischio sono quelli dei ventenni e dei sessantenni; questi reati presentano un andamento caratterizzato da due picchi, in corrispondenza appunto delle fasce d’età diciannove-ventitré e sessanta-sessantacinque anni; “considerando insieme tutti i reati predatori contro la persona vediamo che il rischio di essere stato vittima, almeno una volta di uno di questi diminuisce all’aumentare dell’età”.
Altri dati che emergono dalla ricerca Istat, particolarmente interessante in quanto effettuata analizzando i dati relativi alla vittimizzazione di un campione di cittadini, evidenziano come in Italia, a differenza di altri paesi, il rischio di subire determinati reati (scippo, borseggio, rapina e furto senza contatto) è tanto maggiore quanto più alta è la classe sociale della vittima; inoltre, il tasso di vittimizzazione cresce con l’aumentare della popolazione dai comuni più piccoli ai più grandi, e presenta i valori più alti nelle aree metropolitane.
Da considerare anche l’importanza che negli ultimi anni hanno acquisito gli spostamenti di vario tipo che caratterizzano i nostri comportamenti socio-produttivi. “Sono quasi la totalità gli italiani dei poli metropolitani che vengono scippati o borseggiati, aggrediti o rapinati nel luogo in cui risiedono, mentre la maggioranza di quelli dei comuni più piccoli (fino a diecimila abitanti) subiscono questi reati mentre si trovano in un altro comune; (...) una grandissima parte dei reati predatori vengono commessi nei centri delle aree metropolitane. Ma molti colpiscono persone che in questi centri si recano periodicamente per lavoro o per ricreazione: i pendolari, i consumatori metropolitani, i dirigenti e i professionisti in viaggio di affari”.
Quest’analisi ci consente di osservare che, con le debite eccezioni e con l’esclusione dei viaggi di piacere effettuati sempre più frequentemente anche da anziani, le categorie sopra indicate come maggiormente a rischio comprendono sempre meno persone in età avanzata.
Come ho avuto modo di mettere in evidenza, però, il relativamente ridotto numero di reati contro le persone anziane non ci deve portare a sottovalutare il fenomeno, sia sul piano individuale sia su quello sociale. Proprio per le caratteristiche peculiari delle vittime, le conseguenze di questi reati sono solidamente più gravi di quelle indotte in persone più giovani, sia per quello che si riferisce agli aspetti fisici, legati alla situazione fisiologica dell’individuo, sia per gli aspetti economici, connessi a una minore capacità reddituale, sia infine per gli aspetti affettivo-psicologici correlati a specifiche situazioni di personalità.
D’altra parte, le ipotesi formulate per spiegare la diversa percentuale di rischio di vittimizzazione, correlate con lo “stile di vita”, le “attività abituali” e le “remuneratività” di ciascuno di noi, ci possono aiutare a delineare gli aspetti di maggiore vulnerabilità delle persone anziane, per le quali possiamo ipotizzare uno stile di vita particolarmente prudente, caratterizzato da attenzione negli spostamenti, ridotta regolarità degli stessi e basso livello di visibilità e di remuneratività.
“Uno dei principali fattori che spiegano le basse percentuali di vittimizzazione delle persone anziane è costituito dal fatto che esse si espongono meno a situazioni a rischio elevato, quali ad esempio quelle che si verificano la sera fuori casa (...) e la loro presenza in casa può avere un effetto dissuasivo nei confronti di eventuali effrazioni. Il tasso relativamente basso di reati violenti contro le persone anziane non deve tuttavia portarci a minimizzare il problema. Le persone anziane sono più suscettibili degli altri gruppi d’età di essere vittime di reati gravi, in quanto il rapporto fra le infrazioni più gravi e quelle meno gravi risultava più elevato per le persone anziane. Le ripercussioni fisiche e quelle economiche di atti delittuosi contro gli anziani si sono rivelate più gravi che non per le altre fasce d’età e, malgrado i dati riferiti, gli anziani esprimono più di ogni altro la paura per la criminalità”.
Ciò ovviamente non mette l’anziano al riparo da aggressioni violente, ma ne può ridurre la frequenza. Al contrario, la situazione di solitudine, talora per il disinteresse o l’assenza di congiunti, o per carenza di una rete sociale di conoscenze e amicizie, può facilitare l’inserimento di ignobili figure di ogni sesso ed età che dell’anziano cercano di carpire la fiducia e la disponibilità. Ed ecco quindi spuntare “amiche della nipote”, “cugine della sua vicina di letto il mese scorso in ospedale”, “dottoressa della Asl”, “esecutori testamentari”, “facoltosi benefattori” e più banali “funzionari dell’Inps”, “ispettori dell’Enel o del gas”, e così via.
Purtroppo, questa vulnerabilità psico-sociale delle persone anziane ben si accompagna, per i delinquenti, con l’abitudine di queste - legata a un bisogno di controllo manuale e visivo dei propri soldi, che non giustifica un transito in conti correnti, alle difficoltà culturali di utilizzare gli strumenti di “moneta elettronica”, all’idea della necessità di dover disporre di una certa cifra per spese impreviste - a conservare in casa il proprio gruzzolo, modesto o ingente che sia. Se a questa aggiungiamo i monili, pochi o tanti, veri o fasulli, comunque significativi sul piano affettivo, conservati in uno dei soliti “nascondigli sicuri”, possiamo ben capire come derubare la gran parte degli anziani sia forse più facile che rubare le caramelle a un bambino, anche in considerazione del come sono smaliziati i bambini di oggi.
Da un’analisi dello stato d’insicurezza degli anziani nelle città di Lyon e Grenoble, viene sottolineato che lo stato di salute permette o meno la gestione della propria vita, dei propri spostamenti, dello spazio individuale e di quello interpersonale. Sul piano macro-sociale, la maggiore apprensione appare legata a una disaffezione progressiva a ogni legame sociale, che inizia con il pensionamento e può portare alla relegazione in istituto; con la rarefazione degli scambi sociali, si viene a elaborare un’immagine del mondo che finisce per diventare estranea, inquietante, ostile. Da qui, la necessità di mantenere o ricreare intorno alle persone anziane, quanto più possibile adeguatamente sostenute, il tessuto sociale esistente, partendo dall’osservazione che la maggior parte delle persone anziane o portatrici di handicap ha intorno a sé e nel proprio ambiente prossimo un potenziale relazionale che non sempre è in grado di utilizzare quando ne ha più bisogno.
(da “Sicurezza in città e qualità della vita” di Francesco Carrer - ed. Spi-Cgil)
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