Luigi Notari: Si è cercato non di difendere dei poliziotti ma di mettere in discussione i poteri del Paese e dello Stato
L'arresto degli otto poliziotti di Napoli ha provocato le reazione sia dei sindacati che del mondo politico e ha fatto crescere la polemica sui metodi della Polizia. Secondo te si rischia di creare un’ulteriore frattura tra Polizia e magistratura e tra Polizia e cittadini?
Senz’altro dobbiamo dare la nostra solidarietà ai colleghi che vengono accusati per reati commessi in servizio. Deve essere ben chiaro che il discorso vale, appunto, per i reati commessi nell’espletamento di un servizio. La solidarietà è dovuta per un lavoratore nei confronti di un collega che riceve un provvedimento relativo ai compiti che svolge in servizio, ma questa solidarietà non deve essere un obbligo. Deve essere un fatto sentito. Nel caso di eventuali errori commessi da poliziotti spesso la solidarietà diventa obbligata e questo può essere un rischio se si perde la capacità critica perché diventerebbe una limitazione della libertà culturale di ognuno di noi. Bisogna saper distinguere gli errori da eventuali comportamenti non deontologici.
Il pericolo di questa storia di Napoli è però l’emergere con forza di una forma di cultura che noi abbiamo contrastato per tanti anni, ovvero la cultura della separatezza. C’è stato un insieme di comportamenti che secondo me hanno favorito questa vecchia cultura all’interno della Polizia ma anche all’esterno. Ci sono state solidarietà pelose che erano completamente in contrasto con il progetto di democratizzazione della Polizia. La Polizia è di tutti, non si può “tifare” per essa quando conviene e condannarla quando non conviene. Quindi il pericolo è proprio la cultura della separatezza, la frammentazione fra società e Polizia.
Perché è venuto fuori questo chiamiamolo "scandalo", che cosa è successo veramente circa un anno fa a Napoli. È vero che ci sono stati degli errori oppure è stata un pò montata la polemica da un punto di vista politico?
Senz’altro è stata montata, parlo della polemica anti istituzionale, parlo nella separatezza dei poteri, di chi ci ha operato in questa fase per far si che rivenga messo in discussione quello che l’Assemblea Costituente aveva previsto tanti anni fa, dopo la seconda guerra mondiale. Si è cercato non di difendere dei poliziotti ma di mettere in discussione l’istituzione, i poteri del Paese, i poteri dello Stato. A mio parere in certi passaggi si è cercato di metter mano ai principi fondamentali della nostra istituzione repubblicana.
Per quanto riguarda i fatti, io non c’ero, ma ho sentito i racconti, molto brutti, che alcuni colleghi hanno fatto a proposito di una disorganizzazione, di confusione; c’è stato un momento in cui partirono degli ordini da elicotteri, confondendo le zone. Fu una situazione poco bella che fece anche molto clamore perché venne gestita dall’allora centro-sinistra. Anche noi all’interno del sindacato aprimmo una discussione e fu molto difficile portarla avanti.
A parte le anomalie cui accennavi, secondo te sta cambiando la politica dell’ordine pubblico nel nostro Paese?
Senz’altro qualcosa sta cambiando. Si prevede uno scontro. Anche le stesse politiche, per quello che si vede sembrano due treni che prima o poi si scontreranno.
Senz’altro il problema per il futuro c’è e ci sarà. Si tratta di vedere che tipo di piazza è prevista, se è una piazza in cui la gente può andare ad esprimere il proprio dissenso, se è una piazza che la gente che rappresenta poco cerca dei “moltiplicatori” di consenso o di visibilità con l’attuazione di atti di violenza, di atti clamorosi. La politica è fatta di piazza ma anche di rappresentanza, di capillare lavoro sul territorio, comunicazione. È vero che la comunicazione è sempre più difficile portarla avanti in uno Stato come questo in cui ci sono dei monopoli, in cui è sempre più difficile per un lavoratore, far valere i propri motivi.
Tornando ai fatti nostri, quelli che ci interessano, ci sono state per i fatti di Genova e Napoli delle denuncie forti fatte da cittadini per atti compiuti dalle Forze dell’ordine all’interno di locali. Non risulta, salvo i Carabinieri a Genova, che la magistratura abbia denunciato gente per scontri di piazza, ma sempre per fatti che vengono denunciati o riportati all’interno di locali chiusi, la Diaz, il Pertini e il Raniero a Napoli.
Personalmente sono contrario alla cultura formativa che viene attuata adesso dall’Amministrazione di questi Corpi che marciano a piedi, che battono il manganello sugli scudi. Va pure detto che i problemi sono sorti dove hanno operato reparti appartenenti alle Squadre Mobili perché sono persone abituate a lavorare con la criminalità comune, con la criminalità più forte, più violenta, quindi è più facile che l’operatore confonda l’atteggiamento aggressivo, politicamente aggressivo, di una persona che esprime il proprio dissenso, con quella che è l’aggressività della criminalità.
Quando accadono questi episodi bisogna andare a vedere i fatti, la formazione, chi comanda, ma poi c’è il sindacato che fa da parafulmine. L’attenzione della gente rischia di essere indirizzata tutta contro gli organi di rappresentanza dei lavoratori. Io ho visto che in tutti i momenti di difficoltà si scarica proprio sui sindacati la critica e la protesta, anche perché i sindacati sono gli unici che ci hanno dato un minimo di informazione, pluralista. È anche vero però che il sindacato rischia di sovresporsi, di diventare una sorta di parafulmine di tutte le contraddizioni organizzative che ci sono in queste organizzazioni del lavoro.
L’ultima domanda riguarda il senso di disagio che c’è in Polizia e l’opportunità di arrestare dei poliziotti. Che cosa ne pensi?
Se un Procuratore ha la forza (vedi quello di Genova) di coordinare le indagini è un conto. Ci sono differenze nel lavoro svolto dai magistrati a Genova e a Napoli. Di chi sia la colpa non sta a me dirlo. Ci sono queste due comparazioni, vedi Genova, vedi Napoli. Il procuratore Meloni di Genova, si è sempre assunto, esponendosi, la responsabilità dell’inchiesta sui fatti di Genova; invece il procuratore di Napoli ha agito diversamente. Forse per problemi organizzativi, non sta a me dirlo. A Genova l’inchiesta mi è sembrata più equilibrata almeno per l’osservatore. È vero comunque che c’è un disagio organizzativo oltre che all’interno della Polizia: qualche problema forse c’è anche nella stessa magistratura.
Il disagio in Polizia esiste. Il processo e la prospettiva date dalla legge 121 sono state dall’inizio contrastate in maniera ferma e organizzata. Si fa di tutto fuorché una Polizia civile. La gente ha fatto i concorsi, in particolare per il ruolo dirigente. Uno entra per fare il dirigente in Polizia e poi si trova a fare il caporale. Quindi la grande contraddizione, non solo per l’ispettore. I giovani che negli anni ’80 hanno fatto il concorso (e sono tanti) tra cui molti laureati, per fare l’ispettore poi si trovano a fare un ruolo da sottufficiale.
Sulle donne in Polizia (tanto per fare un altro esempio), il Ministero non ha puntato come elemento di trasformazione; si è preferito privilegiare il modello militare, la militarità. Un altro esempio: la Festa della Polizia. Alla Scuola superiore diversi vicecommissari hanno marciato per un mese in preparazione della sfilata per la festa del Corpo. Quest’anno il reparto è arrivato marciando, cosa che non si era mai vista gli altri anni.
Occorre maggiore preparazione ed invece si investe tutto sull’immagine, ma senza contenuti. Solo superficialità.
(Intervista a cura di Paolo Andruccioli)
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