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giugno/2002 - Editoriale
Otto piccoli boss
di Paolo Andruccioli

A volte la realtà supera la fantasia. E non sempre è facile capire se le polemiche anticipano le notizie, o viceversa. Provate a giudicare voi la sequenza che vi sottoponiamo. Seconda metà di maggio 2002. Sono passati dieci anni dalla strage di Capaci dove morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. Infuriano le polemiche intorno alle celebrazioni. C’è chi accusa, chi replica, chi sostiene che la memoria del giudice antimafia è comunque infangata. C’è chi sostiene, con argomenti ben meditati, che può anche succedere il paradosso di veder festeggiare l’anniversario della morte del giudice. Chi invece pensa che il nome del giudice che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la grande criminalità organizzata venga utilizzato a sproposito anche da chi gli è stato nemico. Ci si insulta utilizzando la memoria di Falcone e si usano gli argomenti della polemica per dare battaglia politica. Davvero una brutta scena da vedersi e davvero un anniversario rovinato. Ma fin qui niente di strano. Può apparire triste che un uomo come Falcone venga ricordato in questo modo, ma di questi tempi ce ne possiamo perfino fare una ragione. Ma le polemiche non rimangano mai fini a se stesse. Sono il prodotto di qualcosa di concreto o producono sempre qualcosa di concreto.
Da quelle polemiche, da quegli scontri tra rappresentanti politici di opposti fronti non passano neppure dieci giorni che succede qualche altra cosa. Finisce il mese di maggio e sui giornali del primo giorno di giugno compaiono altre due notizie legate direttamente o indirettamente a quella storia siciliana di tanti anni fa. La prima notizia: la Cassazione non conferma il verdetto di condanna per gli uomini della Cupola. Secondo la Corte, furono soltanto i corleonesi a dare l’ordine di uccidere Falcone. Gli altri non c’entrano e comunque le loro colpe sono tutte da provare. Dunque tutto da rifare. Il processo ai boss dovrà essere ripetuto. Si ricomincia quasi dall’inizio. Seconda notizia: per un disguido burocratico, essendo arrivato troppo tardi l’ordine di proroga della custodia cautelare, a Palermo vengono scarcerati otto boss mafiosi, che pure sono stati condannati per decine di reati e per decine di omicidi.
Non si è capito ancora bene che cosa sia successo a Palermo e se ci sono stati degli errori da parte di qualche magistrato. Al momento in cui scriviamo sappiamo solo che il ministro di Giustizia, Roberto Castelli, ha deciso di inviare degli ispettori ministeriali a Trapani. L’incarico è stato dato al capo dell’Ispettorato, Giovanni Schiavon che dovrà “accertare eventuali responsabilità connesse alla vicenda della scarcerazione di otto persone”. La vicenda, come è noto riguarda le guerre di mafia nella provincia di Trapani ed è per questo che gli ispettori sono inviati a Trapani e non a Palermo. In ogni caso sono tornati in libertà Leonardo Ciaccio, Francesco D’Amico, capomafia di Marsala, Antonio Rallo, uomo d’onore di Marsala, Gaspare Raia, che era già agli arresti domiciliari per ragioni d’età, Giuseppe Bonafede, parente di boss ma condannato solo per omicidio, Vito Marceca, vicecapofamiglia di Marsala e Nunzio Spezia, capofamiglia di Campobello di Mazara e Raffaele Urso. Erano stati i protagonisti imputati del processo “Omega” sulle guerre di mafia in provincia di Trapani, guerre che nell’arco di circa venti anni hanno prodotto una quarantina di omicidi. L’obiettivo delle faide e degli ammazzamenti era la scalata ai vertici dell’organizzazione dei boss alleati di Totò Riina.
La notizia della scarcerazione degli otto boss è magari sconnessa da tutto il resto. Potremmo addirittura pensare che si tratti di una coincidenza casuale, ovvero che non c’entri proprio nulla con le polemiche su Falcone, né con la decisione di riaprire il processo ai responsabili della strage di Capaci e che non c’entra neppure con la riorganizzazione delle varie famiglie mafiose che stanno per darsi nuovamente battaglia alla riconquista di Palermo, pronte a battagliare con ogni mezzo per accaparrarsi i soldi dei finanziamenti per le opere pubbliche. Può darsi che non ci sia nessun legame tra questi fatti e tra i fatti e le polemiche su Falcone. È però comprensibile lo sfogo disperato di un magistrato di Palermo, Massimo Russo, che si è occupato del processo “Omega”. “Per cultura e stile professionale – ha dichiarato – non ho mai commentato le vicende di un processo in corso e tuttavia, come magistrato e cittadino siciliano, non posso non cogliere gli effetti devastanti di quello che è successo”. Per Russo, che ha istruito l’inchiesta e l’ha condotta fino al dibattimento, la scarcerazione degli otto ergastolani è davvero un fatto “devastante per le Forze dell’ordine impegnate ogni giorno in un’opera assai delicata e difficile, devastante per i cittadini e per l’efficacia e la credibilità della lotta alla mafia”. Il magistrato ha anche spiegato che il fatto riguarda una zona, quella trapanese, ritenuta “lo zoccolo duro di Cosa Nostra”.
Boss che vengono scarcerati, processi che debbono essere rifatti, informazione che non si occupa più direttamente della mafia e in generale delle grandi organizzazioni criminali che operano in Italia e nel mondo. Con la globalizzazione dei mercati e con le leggi più stringenti sull’immigrazione si pensa di aver risolto il problema una volta per tutte? C’è davvero qualcuno che può pensare realisticamente che il grande crimine sia stato battuto una volta per sempre e che la mafia sia stata distrutta e disarmata, come un noto studioso di problemi criminali internazionali aveva fatto intendere qualche tempo fa? Noi pensiamo proprio il contrario. Pensiamo cioè che un periodo storico della mafia italiana sia finito da tempo e che forse proprio il sacrificio estremo di uomini come Falcone e Borsellino hanno determinato la conclusione di questa fase. Ma negli ultimi dieci anni la mafia non si è eclissata. I boss liberi o in carcere non si sono riciclati in altre occupazioni o hanno partecipato a corsi di aggiornamento professionale. Le famiglie e i loro capi (i più vecchi, ma soprattutto i giovani emergenti) si sono magari presi un po’ di tempo per riorganizzarsi. La grande stampa ha quasi dimenticato il problema. Il grande crimine ha potuto lavorare meglio nell’ombra, anche se le strutture di Polizia non hanno certo dormito. Il lavoro è continuato da una parte e dall’altra. E anche dalla parte della magistratura. Ma il clima non sembra oggi tra i più favorevoli. La lotta dello Stato contro la grande criminalità sembra appunto roba di altri tempi. Ed è in un clima del genere che possono svilupparsi polemiche astratte e fatti concreti come quelli che vi abbiamo raccontato e che voi avevate sicuramente appresso dalla grande stampa e della televisione. Questo genere di notizie passano però molto veloci, spesso quasi inosservate e inascoltate. Che vuoi che sia – molti penseranno – la scarcerazione di otto boss mafiosi? Vuoi mettere con il pericolo degli sbarchi degli immigrati clandestini, con le minacce sempre incombenti di Bin Laden e della sua banda di terroristi fanatici. Vuoi mettere con le minacce della criminalità comune, con i tanti scippi, le rapine, gli assalti nelle ville? Vuoi mettere?

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