Nella passata legislatura è stata approvata la legge 8 marzo 2000 n. 53, che reca “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”. Gli allora partiti di governo ed in particolare il Ministro della Solidarietà Sociale, pubblicizzarono a lungo l’iniziativa quale primo e significativo passo verso un sostegno concreto e fattivo alle famiglie, quale strumento in grado di “promuovere un equilibrio tra i tempi di lavoro, cura, formazione e relazione”. È possibile rammentare pure la produzione, da parte del Dipartimento per gli Affari Sociali, di un calendario per l’anno 2001 con tanto di sorridente papà con l’immancabile carrozzina del pargoletto.
La legge, nel delineare una struttura normativa minima comune a tutti i lavoratori, faceva salve eventuali e migliorative condizioni già previste o da prevedere nelle contrattazioni di categoria. Anche per la Polizia di Stato le innovazioni della legge 53/2000 si calarono quindi su una normativa preesistente che regolava l’intera materia in modo soddisfacente per i primi tre anni di vita del bambino, mentre si registrava il vuoto assoluto per gli anni successivi. La legge si proponeva altresì la finalità di riordinare l’intera materia tanto che, sulla scorta delle previsioni dell’art. 15, è stato emanato il Decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, quale “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”.
Non è certamente questa la sede per affrontare una disamina completa della nuova normativa, cosa, questa, già esaurientemente effettuata dal Siulp a tutti i livelli. Più interessante è calare, invece, l’impianto della legge nella previgente impostazione al fine di verificare gli effettivi cambiamenti e le conseguenze pratiche sulla quotidianità delle famiglie italiane e, più specificatamente, su quelle dei lavoratori di Polizia. È possibile affermare, senza timore di essere smentiti, che la legge 53 del 2000 non coglie sicuramente gli obiettivi che si era prefissata, considerato che il legislatore non ha voluto o potuto dare concretezza alle importanti ma decisamente aleatorie affermazioni di principio.
Nella previgente normativa, infatti, la penetrante azione del Siulp ed il coraggio dell’allora Capo della Polizia avevano dato origine ad una situazione nel complesso soddisfacente. Fino ai tre anni di vita del bambino era infatti possibile l’astensione facoltativa in regime di congedo straordinario per 45 giorni per ciascun anno (se non altrimenti fruiti). I genitori del bambino avevano quindi la possibilità di fruire, al massimo, di 135 giorni nei primi tre anni di vita e, aspetto più rilevante, alla luce della ministeriale n. M/7202 del 31 dicembre 1993, senza alcuna decurtazione sulla propria retribuzione in virtù del ricorso al congedo straordinario. All’approvazione della nuova legge del marzo 2000 si riteneva di potere ampliare le tutele e lo stesso Siulp ha sollecitato a più riprese l’Amministrazione affinché si pervenisse nel più breve tempo possibile ad una chiarificazione in merito.
Così, però, non è stato, i tempi si sono inspiegabilmente allungati e solamente il 6 agosto 2001, con la Circolare ministeriale n. 333-A/9807.F.6.2, il Dipartimento ha regolamentato la materia determinando, però, un deciso arretramento e, nei fatti, un’ulteriore discrasia con i principi ispiratori della legge in questione.
In particolare nei primi tre anni di vita del bambino non è più consentito ricorrere, per l’astensione facoltativa, ai 45 giorni per anno in regime di congedo straordinario, ma a soli 45 giorni nei tre anni con effettiva riduzione di ben 90 giorni precedentemente destinati alle esigense della famiglia (in termini percentuali il 66 per cento in meno).
Resta ovviamente confermata la possibilità di ricorrere, sempre nel limite complessivo individuale di mesi sei (elevabili a sette per il papà che fruisce di almeno tre mesi), al trattamento economico del 30% della retribuzione. A fronte di questo evidente peggioramento del trattamento economico per i primi tre anni di vita, anche quanto prospettato dal terzo all’ottavo anno di vita del bambino non coglie le reali esigenze della famiglia. Il congedo parentale in tale ultimo caso comporterà la riduzione a zero della retribuzione e solamente il 30% della stessa se il reddito individuale lordo dell’interessato risulti inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (lire 23.429.250 lorde per l’anno 2000). Risulta quindi evidente il deciso arretramento introdotto di fatto dal legislatore e dalla miope azione discrezionale dell’Amministrazione per i lavoratori di Polizia in materia di congedi parentali e di tutela della famiglia e, in altri termini, il distacco di certe scelte dall’esistenza quotidiana di nuclei familiari che tra l’altro, già devono continuamente fare i conti con orari di servizio irregolari, turni, lavoro notturno e festivo, ferie bloccate e continue “esigenze di servizio”.
Non bisogna quindi meravigliarsi di fenomeni preoccupanti quali la bassa natalità, l’instabilità dei legami familiari, lo sbandamento dei giovani e la perdita dei valori: sono infatti tutte innegabili conseguenze di scelte politiche errate come quella sui congedi parentali.
Il Siulp, da parte sua, dovrà continuare l’opera di sensibilizzazione delle forze politiche e, più in particolare, della maggioranza di governo dalla quale, al pari di quella passata, i lavoratori di Polizia non si accontenteranno di enunciazioni di principio ed arretramenti effettivi nel campo dei diritti, ma pretenderanno scelte politiche coraggiose e lungimiranti, che vadano a favorire la difficile quotidianità della famiglia che rimane, occorre sempre rammentare, la cellula base della società e che ha pure il delicatissimo compito di formare le nuove generazioni.
Mai come in questo caso è proprio vero che “gli alberi si riconoscono e si riconosceranno dai frutti”!
Paolo Molinelli
Segr. Reg. Siulp - Marche
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