Angiolo Marroni, (consigliere regionale Lazio, presidente Direzione regionale Ds Lazio e vicepresidente Commissione “Roma Capitale”) analizza taluni aspetti del settore, fortemente condizionato anche dal conflitto d’interessi che grava sul Presidente del Consiglio
In questo ultimo periodo il tema della Giustizia è stato spesso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana. Le sembra che sia stato presentato e trattato bene, oppure ci sono stati elementi di confusione che andrebbero chiariti?
Elementi di confusione ci sono; anzi sono tutt’ora preminenti. Essi hanno distolto l’attenzione da temi fondamentali e hanno ostacolato un dibattito serio e responsabile. A mio avviso, ciò è dovuto alla situazione molto particolare, direi unica, in cui si trova il nostro Paese.
In essa il ruolo del Parlamento, di molti dei suoi membri, si è confuso con gli interessi di una singola persona, il Presidente del Consiglio, ancorché del tutto legittimi se perseguiti privatamente. In sostanza l’obiettivo conflitto d’interessi dell’on. Berlusconi, ha minato alla radice la possibilità di un dibattito sereno e ridotto il tutto all’adesione, più o meno fideistica, all’uno o all’altro schieramento. Alla fine chi ci rimette sono i cittadini e la Giustizia.
Quali sono, secondo lei, le vere urgenze da affrontare e risolvere per migliorare il funzionamento dell’apparato della Giustizia in Italia?
L’attenzione dell’opinione pubblica è molto attratta da episodi relativi alla Giustizia penale. Tutto questo è comprensibile.
Si tratta della sicurezza di ognuno di noi, di fatti che ci appassionano, ci colpiscono, di questioni relative alla libertà personale, insomma dei delitti e delle pene. Ma, a mio avviso, l’urgenza più grave è la lentezza della Giustizia civile e amministrativa. La quasi totalità dei cittadini ne è coinvolta. I tempi per una sentenza sono enormemente dilatati. Basti pensare che a Roma, per ottenere la copia di una sentenza di un procedimento civile già concluso e deciso può passare anche un anno!
Tale inefficienza equivale ad una denegata giustizia per milioni di persone e mina alle fondamenta i rapporti tra i cittadini e tra questi e la Giustizia, creando un vero allarme sociale. La lentezza produce un senso di impotenza per chi ne è vittima ed un senso di impunità per chi ne trae vantaggio. Per questo spesso si rinuncia a far valere le proprie ragioni in un’aula del Tribunale e si porta il cittadino alla rassegnazione.
Recentemente è stata approvata la riforma delle carriere dei magistrati, con la conseguente separazione delle funzioni giudicanti da quelle inquirenti. Le sembra sia un importante passo avanti?
Si tratta di una questione molto delicata e complessa. È chiaro il tentativo del governo di imbrigliare ed intimidire la magistratura, riducendone l’autonomia. Tutte le dichiarazioni dei Ministri e dello stesso on. Berlusconi, mirano a tale obiettivo. A questo bisogna reagire per far sì che l’autonomia della magistratura sancita dalla Costituzione resti intatta; altrimenti il regime sarebbe davvero alle porte.
Lo stesso attacco al Consiglio Superiore della Magistratura va nel senso che ho denunciato. Se ci si oppone fermamente a tali orientamenti, allora ogni proposta per rendere più efficiente, autorevole e indipendente la magistratura può essere valutata ed apprezzata positivamente. Una cosa è certa che non si può accettare che scompaia l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia dei magistrati, giudicanti ed inquirenti, per sottoporre poi il tutto alla volontà di questo o quel governo.
L’on. Berlusconi e il suo ineffabile ministro della Giustizia dimenticano che si può essere al governo ma si può anche andare all’opposizione.
(Intervista a cura di Paolo Andruccioli)
|