Recenti ricerche statistiche in Italia evidenziano che nel nostro Paese la paura della criminalità è presente, specialmente nelle fasce più esposte come i giovani e gli anziani vittime, questi ultimi, della microcriminalità
Dal volume “Sicurezza in città e qualità della vita” di Francesco Carrer (ed. Liberetà) a cura di Spi-Cgil, riportiamo ampie parti del primo capitolo.
Il fenomeno dell’insicurezza, che in maniera sempre più significativa ci interessa tutti, soprattutto se abitiamo realtà urbane medio-grandi, si caratterizza per la complessità e la varietà dei fattori che concorrono a costituirlo. Inserito nel complesso della qualità della vita e della vivibilità delle città, si presenta variamente correlato con parametri individuali e collettivi, oggettivi e soggettivi, psicologici, sociali, relazionali, culturali, esperienze personali, talora significativamente coinvolgenti, ma anche con “voci”, chiacchiere, pregiudizi e vere e proprie leggende metropolitane.
Ciò significa che, oltre a fenomeni conclamati di criminalità diffusa, che costituiscono il fattore principale e, per certi aspetti più facilmente percepibile e misurabile, concorrono alla genesi dell’insicurezza pressappochismo con cui viene progettata e costruita la gran parte delle città e delle case, i ritmi di vita degli abitanti, gli episodi di vandalismo, inciviltà e forme di degrado percepite come un segno dell’assenza dello Stato, centrale e locale, la mancanza di servizi alla persona funzionali e funzionanti. A questi fenomeni se ne aggiungono altri, quali l’anomia, la perdita di rapporti umani, di conoscenze, di solidarietà, di collaborazione e di fiducia che segnano il nostro vivere quotidiano. [...]
Il sentimento d’insicurezza degli abitanti di una determinata zona non dipende dalla pressione della delinquenza nella zona stessa né dalle esperienze personali di vittimizzazione e dalla reale esposizione a situazioni di pericolo.
La sicurezza urbana, in quanto costruzione sociale, è considerata un concetto in evoluzione permanente, in cui la dimensione soggettiva dell’insicurezza, rinviando alla costruzione mitologica dell’immaginario collettivo, assume un’importanza uguale, talvolta superiore, alla propria esperienza del reato. Questi due aspetti sono indissociabili dalla percezione che i cittadini si fanno della loro presenza nell’ambiente e del loro rapporto con questo. [...]
Le persone anziane evidenziano un atteggiamento punitivo significativamente superiore a quello delle persone delle altre fasce d’età; quelle che auspicano un sistema penale più severo nei confronti dei delinquenti sono, in larga misura, coloro che hanno una visione globale del mondo più rigida, conservatrice e intollerante, coloro cioè che sono culturalmente più ancorati al passato, ai valori e alle istituzioni ancestrali. Per una corretta e globale valutazione del fenomeno in tutti i suoi aspetti, si ritiene di estrema importanza distinguere, fra le persone anziane, quelle che hanno svolto o no un’attività lavorativa, quelle che sono ancora attive e quelle che non lo sono più, quelle che sono sole e quelle che sono malate. Sembra più corretto pensare che la punitività sia un atteggiamento di base che si radica nella personalità degli individui, nelle loro credenze e nei loro valori, nella loro visione del mondo e nella loro ideologia. [...]
Una recente ricerca Istat sulla sicurezza dei cittadini, rappresenta un contributo molto importante per la conoscenza di questo fenomeno in Italia, ed evidenzia che “anche nel nostro Paese il senso di insicurezza della popolazione per la criminalità non solo esiste, ma è diventato un fenomeno sociale imponente, che non possiamo continuare a ignorare o a negare”.
Il 29% degli italiani di età superiore ai quattordici anni dichiara di sentirsi “poco o per niente sicuro” quando cammina da solo nelle ore serali, e quasi il 10% della popolazione non esce mai nelle ore serali, anche se non tutti per motivi legati alla paura. Ancor più significativa appare l’informazione che il 12% delle persone si sente poco o per niente sicuro quando deve stare da solo alla sera all’interno della propria abitazione, quasi il 20% di coloro che vi rientra effettua controlli accurati per verificare l’assenza di intrusi e il 53% compie verifiche accurate a seguito di rumori inusuali.
Lo stesso rapporto di ricerca sottolinea come la paura non sia distribuita in maniera uniforme tra la popolazione, sia presente in misura superiore nella popolazione femminile, e abbia un andamento curvilineo in rapporto all’età: le persone anziane sono quelle che anno più paura, poi vengono i giovani e infine gli adulti di mezz’età.
Una ricerca effettuata nel 1996 a Modena sulla qualità urbana e la sicurezza degli anziani ha messo in evidenza, fra l’altro, come fossero soprattutto questi ultimi a essere preoccupati per la “microcriminalità”, con un significativo incremento della fascia d’età caratterizzata nello stesso tempo da una maggiore fragilità fisica e dalla possibilità di trascorrere fuori dalla propria abitazione un’ampia parte della giornata. A ulteriore prova della complessità del fenomeno, si può sottolineare che, se da un lato la sola variabile situazionale su cui pare possibile incidere è quella di un cambiamento della vita sociale dell’anziano, che lo metta in condizione di partecipare, con gli altri cittadini, a una riappropriazione degli spazi comuni, dall’altro aiutare le persone più anziane a uscire con più frequenza aumenta per loro la possibilità di diventare vittime di reati, secondo un principio che definisce l’esposizione al rischio fra i principali fattori di vittimizzazione.
Tutto ciò avviene in una realtà in cui l’isolamento non è solo fisico, ma soprattutto sociale, e disinteresse, vigliaccheria e omertà prendono spesso il posto di solidarietà e collaborazione. Alla fine del XIX secolo il vagabondo incarnava la peggiore figura sociale, antitesi del contadino, laborioso e rispettoso delle tradizioni. Oggi si fa aprioristicamente l’associazione extracomunitario-violenza, e il delinquente, così come lo straniero, è collocato fuori dalla città sociale e politica. Gli stranieri sarebbero comunque devianti, minaccerebbero la sicurezza fisica, economica e morale, e tenterebbero di usurpare una qualità e uno status di cittadini da cui dovrebbero invece essere esclusi.
Per quanto riguarda in particolare gli atteggiamenti delle persone anziane, è stata da più parti messa in evidenza l’esistenza di una grande varietà di figure, a torto o a ragione percepite come pericolose, dai falsi rappresentanti di qualcosa, ai falsi agenti della sicurezza sociale, alle zingare. C’è una sorta di valvola di sfogo rappresentata dall’espressione soggettivizzata, una compensazione necessaria al clima di miseria sociale in cui sono tenuti gli anziani della società attuale. Il modo in cui proiettano i loro timori sui giovani e sugli stranieri consente di esorcizzare la paura della morte fisica svalorizzando tutto ciò che simula la vita.
La paura della delinquenza, soprattutto da parte delle persone anziane, è diventata un aspetto fondamentale della nostra società ed è, per di più, in costante aumento. Quanto alle sue cause, queste vengono spiegate soprattutto con l’azione dei mezzi di comunicazione e si suggerisce la possibilità di utilizzarli con specifiche campagne d’informazione, tese a sensibilizzare correttamente l’opinione pubblica in proposito. [...]
La preoccupazione per la delinquenza appare più una reazione sociale che non una paura reale e concreta; quella che fa più paura è la violenza contro le persone, e sono le persone più esposte ai mass media che si mostrano più inquiete nei confronti della delinquenza; costoro tendono a sopravvalutare il volume della delinquenza stessa per quanto riguarda la situazione a livello nazionale, mentre tendono a sottostimarla per quanto concerne la situazione relativa alla città e al quartiere di residenza. Inoltre l’età e il sesso sembrano i principali fattori che motivano l’adozione di particolari comportamenti prudenziali.
Dall’esame dei dati di una ricerca in tema di sicurezza ambientale, si sottolinea che i soggetti ansiosi sembrano percepire l’ambiente come più carico di minacce e più ricco di pericoli potenziali di quanto non facciano i soggetti meno ansiosi. Ma, contemporaneamente, per una forma di autorassicurazione, essi tendono a dimenticare le esperienze negative con comportamenti caratterizzati da minor prudenza. Inoltre, si può osservare che i bisogni specifici di sicurezza di ogni individuo non sono legati alle sue esperienze di avvenimenti specifici e che l’ansia generale si esprime in maniera ben definita. Gli ansiosi manifestano i bisogni maggiori per quel che riguarda la dimensione sociale dell’ambiente: paura della solitudine, dell’aggressione, dell’ostilità e dell’indifferenza.
La nozione di insicurezza appare mal definita, non univoca, costituita da una parte dal rischio obiettivo di essere implicato o vittima di un atto di aggressione, e dall’altra dalla percezione individuale di questo rischio e dalla stima della propria vulnerabilità personale. Il sentimento d’insicurezza risulta alimentato dalle informazioni relative ad aggressioni che siano avvenute nell’ambiente di ogni individuo, e sembra dipendere dal grado di inserimento sociale e da quello di socializzazione di ciascuno; sembra egualmente legato all’impressione che ogni individuo ha di essere o meno in grado di controllare la situazione o l’ambiente in cui si trova. Si possono così delineare le caratteristiche che concorrono a generare un senso di insicurezza: mancanza di visibilità, buio, deserto, graffiti e affissioni selvagge; e quelle, opposte, di una zona piacevole e accogliente: chiara, luminosa, conosciuta, con strade e passaggi larghi, pulita, calma e ben tenuta.
Esistono poi luoghi associati alla delinquenza, che certe persone temono o evitano sistematicamente di frequentare. Per ciascuno, si tratta di evidenziare una “mappa mentale” relativa alle proprie percezioni della paura della criminalità. Si tratta di un concetto che copre un campo assai vasto, che va da una semplice preoccupazione nei riguardi del fenomeno della delinquenza a uno stato di ansia davanti a un eventuale pericolo di vittimizzazione. Quanto ai luoghi considerati “pericolosi”, numerosi studi concordano nell’indicare che quello giudicato più pericoloso è la strada, e in particolare “la strada male illuminata”; seguono i parchi, le stazioni della metropolitana, le piazze e le autorimesse. Questo pericolo viene avvertito soprattutto la sera e la notte. Sembra che ci si senta sicuri a casa propria, nel proprio ambiente, nel territorio che si conosce. Non si ha paura dei “propri”, ciò che si teme sono “gli altri”.
Un sottopassaggio o un parcheggio sotterraneo non contengono in sé i germi di comportamenti delinquenziali, ma, uniti ad altri elementi criminogeni, aumentano le condizioni favorevoli alla commissione di un reato.
Con i loro lunghi corridoi, i loro ascensori vuoti e le loro scale deserte sfocianti in strade altrettanto deserte, le costruzioni di carattere popolare costituiscono per i delinquenti un teatro ideale per la loro attività. Le due principali fonti di paura di coloro che frequentano gli spazi pubblici dei quartieri popolari sono il timore di essere improvvisamente e violentemente assaliti da uno sconosciuto e quello di essere importunati da mendicanti, drogati, ubriachi, giovani schiamazzanti, vagabondi, malati mentali o altri perturbatori della quiete pubblica.
Il senso d’insicurezza o di violenza non sono la conseguenza di una esperienza violenta, ma al contrario, formano la base su cui si organizzano la percezione e l’interpretazione dell’esperienza individuale. Il senso di insicurezza si delinea come una caratteristica, nello stesso tempo sociale e psicologica, di fatto priva di rapporti con l’esperienza individuale di violenza.
La paura è comunicativa, e si fa di tutto per trasmetterla agli altri. A poco a poco diventa una norma, ed è rassicurante sapere che anche gli altri hanno paura. Ciascuno tenta così di colpire il proprio vicino con storie spaventose che gli hanno raccontato così da relativizzare la propria insicurezza.
La paura è un fenomeno psicologico che si ha difficoltà a controllare, è una costruzione intellettuale che lascia spazio all’immaginazione. La paura della criminalità è un concetto complesso, che da una parte dipende molto dalle caratteristiche di ciascun individuo e dall’altra da una serie di timori diffusi senza apparenti legami. La personalità di ciascuno interferisce sull’inquietudine, che è uno stato che varia soprattutto in funzione della disposizione del nostro carattere.
Esiste una differenza fra la realtà oggettiva (rischio reale di essere vittima di un reato) e la percezione soggettiva (valutazione dell’importanza del rischio), che tende ad aggravare la situazione. Il sentimento di insicurezza modifica i comportamenti e gli atteggiamenti delle persone; il sentimento di paura si rivela più forte in coloro che, in realtà, sono meno in pericolo (gli anziani sono proporzionalmente meno vittime dei giovani e, esclusi i furti e i reati sessuali, le donne meno degli uomini); si evidenzia un rapporto fra livello di istruzione e di informazione e corretta percezione del rischio, a conferma del fatto che la paura è caratterizzata da una significativa componente culturale ed emotiva; esiste un’incidenza, talora negativa, dei mezzi d’informazione, che tendono a presentare il fenomeno sovradimensionato e accusano spesso ingiustamente le Forze dell’ordine d’incapacità e d’impotenza. È stato sottolineato come la stampa giochi la carta dell’insicurezza, nella consapevolezza che la paura e il brivido che ne derivano facciano aumentare le vendite. Se c’è un campo in cui le conclusioni di tutti gli studi concordano è quello dell'influenza dei media nella creazione, nel mantenimento e nell’utilizzo dell’inquietudine della pubblica opinione nei confronti dell’evoluzione dei tassi di criminalità.
Una posizione critica rispetto ai dati ufficiali mette in causa la stessa nozione di sicurezza: nessuno sa cosa sia. I commentatori si riferiscono ai risultati dei sondaggi d’opinione, che, come ben si sa, variano a seconda di come vengono poste le domande; tutto ciò permette di dubitare degli interessi dei fabbricanti d’opinione, dei ministri dell’Interno, dei diversi Corpi di Polizia, delle industrie operanti nel settore della sicurezza. È quindi necessario prendere sul serio il problema dell’insicurezza, che appare una realtà collettiva, non riconducibile a una somma di atteggiamenti individuali. L’insicurezza fa parlare, questa è la sua caratteristica più importante. Un furto in casa non si riduce al disordine, alla sottrazione, allo shock psicologico e alle noie burocratiche che implica, ma diventa rapidamente l’oggetto di un racconto che, divulgato di bocca in bocca, si aggiunge all’insieme degli innumerevoli episodi quotidiani con i quali, al di là della sfera dei mass media, i gruppi sociali raccontano la propria insicurezza.
Per motivi legati alle caratteristiche psicofisiche, i problemi relativi alla sicurezza si presentano con particolare gravità per le persone anziane. Possiamo ricordare come la riduzione delle conoscenze, legata alle rapide trasformazioni tecniche e tecnologiche, l’impreparazione alla vecchiaia, l’enucleazione della classe anziana come entità, la solitudine in un periodo particolarmente critico, il mutamento dei ruoli all’interno della famiglia, la riduzione della solidarietà sociale, il deterioramento mentale, la debolezza fisica, vera e presunta, la depressione e l’introversione, il senso di dipendenza e di inutilità, la precarietà e l’insicurezza, cui si contrappone un allungamento della vita biologica, costituiscono per la persona anziana un equilibrio pericolosamente instabile verso posizioni oggettivamente negative. Molti anziani si caratterizzano così per una serie di “paure”: di perdita di ruolo sociale, di potere economico, di stima e considerazione altrui; paura della malattia, dell’invalidità, della solitudine, della morte. È una situazione in cui componenti obiettive si intrecciano con altre fantasticamente costruire e proiettate da tratti di personalità, esperienze e disponibilità economiche.
Particolari critiche sono mosse alle interpretazioni più generalizzate, ritenendo che le campagne ufficiali sull’insicurezza abbiano potuto trovare un’eco grazie alla mitizzazione che ha rivestito il tema. Le condizioni obiettive della vita in ambiente urbano comportano un insieme molto ampio di rischi per la sicurezza degli abitanti, che concerne la vita professionale ed economica, lo stato sociale, i sistemi di rapporti.
Il sentimento di insicurezza, infine, può essere fatto risalire ad altri fattori che non hanno nessuna relazione diretta con la delinquenza e la criminalità. È proprio nel corso di determinate congiunture che si produce un sentimento di insicurezza che deriva dal crollo delle certezze e dalla disgregazione sociale e in genere dal corto circuito tra vari elementi del degrado e del disagio della vita sociale stessa.
Francesco Carrer
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