Fino agli anni ’70, la prevenzione della criminalità in Belgio è stata intesa prevalentemente come prevenzione del passaggio all’atto delinquente e inserita nel quadro della protezione sociale dei giovani. Questa idea della prevenzione è entrata in piena crisi negli anni ’80. La prospettiva teorica della reazione sociale ed altre criminologie critiche più radicali hanno fortemente criticato l’interventismo di questa politica preventiva.
Emergono inoltre politiche realiste nella teoria del diritto penale, orientate ai risultati e all’intervento “efficace”, che dubitano degli effetti di queste forme tradizionali di prevenzione.
Questa crisi viene aggravata dai conflitti tra le comunità fiamminghe e quelle francofone che hanno portato a revisioni costituzionali della competenza nazionale sulle politiche per i giovani.
Nascono, all’inizio degli anni ’80, le nuove politiche di prevenzione. Gli attori principali sono la Gendarmeria e le Polizie comunali che promuovono e sostengono tali politiche: è una prevenzione di Polizia di livello nazionale, quindi coordinata dal ministero dell’Interno. Solo dall’inizio del 1990 si diffondono le politiche a livello locale, attraverso i governi federali, che trovano espressione nei contratti di sicurezza e di prevenzione stipulati con le città.
Come si è detto, agli inizi degli anni ’80 l’impulso alle nuove politiche preventive viene dalla Gendarmeria, durante il governo democratico-cristiano del 1981-1985 di Martens-Gol, nel quadro di una politica neo-liberale di risanamento socio-economico. Di fronte all’insicurezza e all’aumento dei tassi di criminalità, alcuni giovani ufficiali di Polizia hanno elaborato, con l’approvazione degli stati maggiori, una nuova politica preventiva più proattiva, nel quadro dell’esercizio di funzioni amministrative.
Convivono nuovi orientamenti della Polizia (per esempio, l’attenzione alle vittime) con forme tradizionali di prevenzione morbida del disagio giovanile (che però si accompagnano anche a interventi fortemente repressivi della Polizia nei quartieri dei giovani immigrati di seconda generazione).
All’inizio degli anni ’80 si assiste ad una vera e propria guerra tra le Polizie del Belgio, che vede la contrapposizione delle Polizie comunali alla Gendarmeria. Una breve premessa sull’articolazione delle Forze di polizia in Belgio è forse opportuna. La struttura della Polizia belga è articolata su due livelli: quello federale è coperto dalla Gendarmeria e quello locale dalla Polizia comunale. Entrambe le istituzioni si trovano però a svolgere funzioni di Polizia di base, con evidente rischio di concorrenza e sovrapposizione. A questo proposito sono a tutt’oggi attive e regolamentate “zone di cooperazione” tra Polizia comunale e Gendarmeria:
-le Zip (zone interpolice): si tratta di territori composti da più comuni all’interno dei quali i servizi di Polizia regolari assumono insieme i compiti di Polizia. La creazione delle Zip si fonda su accordi locali tra i commissari di Polizia ed i comandanti della Gendarmeria, ed è finalizzata alla risoluzione di bisogni specifici dei comuni interessati. Tali Zip permettono ai servizi di Polizia di inserirsi all’interno di una politica di sicurezza integrata e strutturata;
- la concertazione pentagonale: si tratta di uno strumento di coordinazione istituito dalle autorità federali; riunisce con regolarità cinque attori della sicurezza: il procuratore del Re, il sindaco e i responsabili della Polizia comunale, della Gendarmeria e della Polizia giudiziaria. Nel corso delle riunioni, i membri della concertazione pentagonale definiscono la politica criminale locale e le priorità in materia di criminalità;
- gli statuti di sicurezza: si tratta di uno strumento di lavoro che vale per i comuni della Zip e contiene gli accordi di collaborazione e di coordinamento presi dai diversi attori interessati al funzionamento della Polizia. Determinano, sulla base dei problemi di sicurezza rilevati dalla popolazione della Zip, le attività di Polizia che sono in grado di offrire una risposta ad essi adeguata ed ogni singolo contributo che può essere portato dai diversi servizi di Polizia. I cittadini sono strettamente coinvolti nell’elaborazione degli statuti di sicurezza attraverso la scorciatoia del consiglio comunale, che deve infatti approvare le convenzioni concluse dal sindaco in materia di cooperazione tra le Polizie e che hanno ripercussioni sulla politica di sicurezza comunale e sulle funzioni della Polizia amministrativa.
In seguito ai contrasti dei primi anni ’80, dunque, la Gendarmeria si rafforza, anche come numero di agenti, e amplia la sua sfera di intervento, diventa uno Stato nello Stato.
In questa concorrenza, la Polizia locale cerca di assumere nuovi compiti nel quadro della prevenzione, di fatto riproducendo le competenze che la Gendarmeria ha cercato di sviluppare a livello nazionale. In numerosi Corpi di Polizia comunale viene creata una nuova funzione di “ufficiale di prevenzione”. Alcuni ufficiali vengono mandati a formarsi nei Paesi Bassi sulle nuove forme di prevenzione di Polizia. Si sviluppano programmi preventivi a livello locale dove si accentua molto la relazione tra Polizia comunale e cittadini (campagne di informazione e sensibilizzazione dirette alla comunità, azioni di controllo sociale informale, attraverso la partecipazione dei cittadini stessi, sull’esempio dei “Neighbourhood watches”). Al contrario di quanto fa la Polizia nazionale, quella locale non sviluppa programmi di prevenzione orientati agli autori potenziali della criminalità.
In generale, le nuove politiche di prevenzione di Gendarmeria e di Polizia locale si sviluppano in assenza di coordinamento e in concorrenza reciproca.
Sempre su iniziativa di ufficiali di Polizie le autorità provinciali (e nazionali) vengono sollecitate a prendere provvedimenti legislativi per definire un quadro generale delle politiche di prevenzione. È sull’onda di queste spinte che viene costituito nella Provincia delle Fiandre Occidentali, nel 1984, un Consiglio provinciale per la prevenzione della criminalità, che raggruppa ufficiali della Gendarmeria, della Polizia locale e membri della magistratura minore. Dopo una convincente giornata di studi sulla prevenzione, organizzata nel 1984 dall’Istituto superiore di Polizia, e sotto l’effetto della pressione così esercitata, viene creato un Consiglio Superiore Nazionale (6 agosto 1985), incaricato di sviluppare la politica nazionale di prevenzione del Belgio. Nasce dal ministero dell’Interno e le linee fondamentali dell’iniziativa mettono in evidenza chiaramente la preferenza per un modello di prevenzione di tipo situazionale e tecnologico.
Questo Consiglio Superiore viene però effettivamente costituito soltanto nel 1988 ed è composto da ufficiali superiori della Gendarmeria, commissari di Polizia comunale, magistrati di parquet, due professori di criminologia e un rappresentante delle compagnie assicurative. Il Consiglio ha funzionato poco, limitandosi a predisporre guide per i cittadini sui furti d’auto, l’uso di droghe, ecc.
Il medesimo regolamento aveva anche previsto la creazione di consigli provinciali nelle nove province del Belgio, al fine di coordinare meglio le iniziative già avviate dalle Forze di polizia. Anche questi organismi sono prevalentemente composti da Polizie e magistratura. A livello comunale, le due Polizie rimangono gli attori principali che danno corso ai progetti provinciali.
Negli stessi anni, sulla spinta di grandi eventi drammatici (Heysel, ecc.) viene varato dal Ministro della Giustizia anche un piano pluriennale denominato La sicurezza dei cittadini (emerge per la prima volta il termine sicurezza), pensato soprattutto per contrastare la grande delinquenza e il terrorismo.
Dopo l’elezione del governo di centro sinistra, del 1987, alcune cose cominciano a cambiare. Pur mantenendo alcune impostazioni neo-liberali, il nuovo governo lancia programmi contro la povertà ed elabora una politica per l’immigrazione.
Il nuovo Ministro dell’Interno, socialista fiammingo, introduce nuovi orientamenti nella politica preventiva, indirizzata verso il livello locale e con maggiore attenzione agli aspetti sociali.
La nuova filosofia preventiva del governo viene esplicitata alla fine del 1990 attraverso due circolari ministeriali del ministero dell’Interno, indirizzate ai Borgomastri, dove si delineano le linee-guida:
- la prevenzione deve essere condotta a livello locale dalle autorità locali (la Polizia comunale deve avere un ruolo importante, ma secondario);
- deve integrare misure situazionali e sociali;
- deve porre attenzione ai soggetti socialmente deboli, nelle loro condizioni sia di potenziali autori, sia di potenziali vittime.
Con queste circolari, nel 1991 vengono finanziati 27 progetti pilota di prevenzione amministrativa, locale ed integrata guidati da 60 agenti di prevenzione (criminologi, sociologi, psicologi e operatori sociali), selezionati, formati ed assistiti, nei primi mesi di lavoro, dal Ministero. Le città che concorrono ai progetti pilota devono invece prevedere un inquadramento amministrativo delle attività e sostenere le spese di funzionamento. I progetti sono stati seguiti da un servizio amministrativo del Servizio di Prevenzione del ministero dell’Interno; quattro équipe di ricerca universitaria hanno accompagnato e valutato i vari progetti - pilota ed alla fine dell’anno la maggior parte di essi ha ottenuto un prolungamento all’anno successivo.
I numerosi progetti presentati non erano di buona qualità, a causa del poco tempo che le amministrazioni hanno avuto davanti per predisporli.
All’inizio degli anni ’90, con l’Arrête Royal del 31 gennaio 1991, viene modificato il precedente testo di legge e vengono introdotte quindi alcune modifiche che si ispirano alla nuova filosofia preventiva. La rappresentanza della Polizia nel Consiglio Superiore viene ristretta; il Consiglio viene più chiaramente delineato come organo consultivo del Ministro ed è da lui stesso presieduto: vengono inseriti nuovi componenti rappresentanti degli organi locali e viene accentuato il ruolo degli enti locali.
La riforma, tuttavia, non ha funzionato e dall’estate del 1992 il Consiglio non si è più riunito.
Anche la creazione dei Consigli comunali di prevenzione va a rilento e il Ministro dell’Interno, nel gennaio 1992, invia una circolare ai sindaci per sollecitarli a creare queste istituzioni. I compiti dei Consigli comunali vengono delineati più chiaramente come segue:
- formulare proposte sulla prevenzione e sull’analisi dei problemi locali;
- formulare proposte sui problemi che devono avere la priorità;
- formulare proposte sugli attori da coinvolgere e sulle varie attività.
In una fase di crisi della politica tradizionale, emersa dalle elezioni del novembre 1991, si insedia nel marzo 1992 il nuovo governo di alleanza democratico-cristiana e socialista. Nel giugno dello stesso anno il governo approva una nota sulle linee-guida delle politiche di prevenzione, da cui scompare il precedente riferimento al fatto che le politiche dovevano rivolgersi alle persone vulnerabili e da cui emerge un ritorno alla impostazione situazionale e tecnologica, in parte mitigato dalla affermazione dell’importanza della prevenzione sociale.
A partire dall’estate, vengono avviati dal ministero dell’Interno due diversi piani di intervento per la negoziazione, da un lato, di contratti di prevenzione e, dall’altro, di contratti di sicurezza. I primi, destinati a ventitré comuni, riguardano l’adozione di programmi di prevenzione corrispondenti alle direttive della nota informativa; i secondi, destinati alle cinque grandi città ed a sette comuni a rischio dell’area di Bruxelles, oltre all’indirizzo preventivo, ne devono contenere un secondo teso al miglioramento della qualità del lavoro della Polizia municipale (presenza sulla strada, Polizia di prossimità, accessibilità dei commissariati, ecc.).
Tutte le città interessate dovevano poi istituire un Consiglio comunale di prevenzione; analogamente la nota informativa prevede a livello nazionale la costituzione di un Segretariato permanente alle politiche di prevenzione, che diventerà poi anche l’organo incaricato della gestione complessiva dei contratti di sicurezza e di prevenzione.
Il Segretariato permanente alle politiche di prevenzione, previsto appunto dalla nota informativa di giugno 1992, inizia a funzionare effettivamente nel 1993/1994 con una durata programmata di cinque anni. È composto da un segretario permanente di nomina ministeriale, da due segretari aggiunti e da una serie di collaboratori tecnici, di estrazione universitaria e con particolari competenze sui problemi della sicurezza e della prevenzione.
Si tratta di un nuovo servizio centrale, presso il ministero dell’Interno, che ha l’incarico di sostenere le iniziative locali e la politica nazionale di prevenzione. Le sue competenze sono inoltre di contribuire alla ricerca ed all’analisi dei problemi di criminalità, di offrire servizi di documentazione, formazione e informazione, di pubblicare una rivista e di trasmettere allo stesso Ministero un rapporto annuale sulle attività del servizio.
Nel corso dei successivi due anni si assiste ad un significativo potenziamento dei contratti di prevenzione, dei contratti di sicurezza e di altre iniziative affini. Innanzitutto nel 1994, attraverso due Arrêté Royal, vengono fissate le condizioni che devono essere soddisfatte perché una città possa partecipare a tali progetti. Per i contratti di sicurezza sono necessari:
- almeno 100 funzionari di Polizia municipale in servizio;
- l’istituzione del Consiglio comunale di prevenzione;
- il coinvolgimento di un funzionario di prevenzione;
- la cooperazione tra Polizia, magistratura e sindaco;
- lo sviluppo di una prestazione massima di servizi offerti alla popolazione attraverso la cooperazione con la Gendarmeria.
Per i contratti di prevenzione il criterio fondamentale (oltre a quelli ripresi dai contratti di sicurezza) è invece che si abbia un tasso di criminalità per 1.000 abitanti superiore alla media nazionale o un aumento costante della criminalità negli ultimi due anni.
Nello stesso anno viene imposto alle città contraenti di sviluppare dei progetti di prevenzione della criminalità legati al problema dei furti di e su autovetture e di organizzare dei progetti di formazione per giovani in età scolare contro l’uso di droghe.
Aumenta infine il numero di comuni interessati: alla fine del 1995 infatti si arriva ad un totale di 29 contratti di prevenzione per un investimento di 170 milioni di franchi e di altrettanti contratti di sicurezza per un investimento di 1.54 miliardi di franchi, con inoltre la possibilità per queste ultime città di ricevere finanziamenti per progetti sussidiari (misure alternative penali di accompagnamento, prevenzione della droga, creazione di centri di assistenza medico-sociali per tossicodipendenti, ecc.).
Dopo le elezioni politiche del maggio 1995, si insedia un nuovo governo di centro-sinistra, che comprende socialisti e democratici-cristiani. Johan Van de Lanotte, socialista fiammingo, che già alla fine del governo precedente aveva assunto la carica di ministro dell’Interno sostituendo Luis Tobback, viene riconfermato a questo ministero.
I contratti di sicurezza e di prevenzione stipulati a tutto il 1995 vengono rinnovati; il finanziamento rimane lo stesso dell’anno precedente.
Nel 1996 i contratti di sicurezza, che già prevedono un settore Polizia, un settore prevenzione ed un settore droga, vengono ampliati e devono ora ricomprendere anche un settore giustizia ed un settore assistenti di prevenzione e di sicurezza.
Il settore giustizia prevede il finanziamento di progetti, in accordo con il ministero della Giustizia, riguardanti le misure alternative.
Nel quadro del secondo nuovo settore, si prevede che persone disoccupate siano formate e assunte per organizzare delle ronde di sorveglianza a piedi nei quartieri, con lo scopo anche di rassicurare i cittadini e di contribuire a migliorare la qualità della vita in certi quartieri. Questo progetto di “assistenti alla prevenzione e alla sicurezza” è finanziato dal Ministro dell’Interno in collaborazione con il ministero del Lavoro.
Per decisione del Consiglio dei Ministri il 2 agosto 1996 il governo annuncia che intende concludere, nel 1997, ulteriori contratti con le città che già hanno siglato questi accordi. La novità è che i contratti dovranno ora contenere anche un settore rinnovamento urbano.
Nell’agosto 1996 l’affare Dutroux sconvolge il Belgio. Pressato da una opinione pubblica scandalizzata, la priorità del governo diventa il rinnovamento dell’apparato giudiziario, con conseguente rafforzamento della posizione del Ministro della Giustizia ed aumento del budget a sua disposizione.
Consapevole che i fondi destinati alla sicurezza non potranno aumentare molto negli anni successivi, il Ministro dell’Interno mira all’efficacia dell’utilizzazione dei finanziamenti già disponibili. Consapevole poi della necessità di dimostrare alle successive elezioni i risultati effettivamente raggiunti nella riduzione della criminalità e del sentimento di insicurezza, con le circolari del 19 settembre 1996 e del 24 aprile 1997 è lo stesso ministero dell’Interno a porre l’accento sul tema della valutazione dei contratti di sicurezza e di prevenzione.
Confermati senza grandi modifiche per il 1997 gli stessi progetti del 1996, la valutazione dei contratti a livello di ogni città prende la forma di un processo valutativo doppio.
Innanzitutto si ha una valutazione amministrativa, finanziaria e di contenuto condotta dal ministero dell’Interno per i contratti di sicurezza e dal Segretariato permanente alle politiche di prevenzione per i contratti di prevenzione; a questo fine, vengono messe a disposizione delle città dei riferimenti quali griglie di valutazione e liste di indicatori.
In secondo luogo le città sono obbligate a predisporre dei documenti di valutazione, riguardanti sia l’analisi del processo di implementazione, sia i risultati ottenuti. Sempre a partire dal 1997, per aiutare le città nel processo valutativo, il ministero dell’Interno mette a loro disposizione questi tre strumenti: statistiche della criminalità con dati raccolti da tutte le Polizie, il “crime index” e il “moniteur de securité”. Si tratta, per le città, di contestualizzare i propri dati e di arricchirli attraverso questo aiuto ministeriale.
Inoltre i settori prevenzione, Polizia e assistenti di prevenzione e di sicurezza vengono valutati da istituzioni scientifiche (due università), mentre i settori tossicodipendenza e giustizia sono oggetto di una valutazione centrale separata, sotto l’egida di una Commissione nazionale di valutazione e di accompagnamento, già istituita nel 1994.
Sulla base dei rapporti trasmessi da tutti gli organi di valutazione sopra indicati, il ministero dell’Interno ha redatto dal 1997 una valutazione finale integrata che riprende gli elementi significativi delle azioni realizzate, completa di una cartografia della criminalità. Queste valutazioni vengono rimesse a disposizione delle città e dei comuni.
L’ambizione del Ministro dell’Interno di trasformare i contratti di sicurezza in contratti di società fatica a realizzarsi per la concertazione necessaria in un quadro di elevata complessità istituzionale, come è quello belga. Il settore “rinnovamento urbano”, la novità più importante dei contratti di società, è concepito sulla base di un partenariato più vasto, che comprende anche le Comunità e le Regioni. Il processo per avviare questa trasformazione è lento: nel 1997 viene organizzata una conferenza interministeriale sul rinnovamento urbano con la presidenza del Ministro dell’Interno ed iniziano le concertazioni con Regioni e Comunità. Nel 1998 i contratti vengono rinnovati e assumono definitivamente il nome di “contratti di sicurezza e di società”.
È soltanto nella seconda metà del 1998, però che vengono approvati dal Consiglio dei Ministri i primi progetti di rinnovamento urbano inseriti in un contratto.
Nel 1999 e nel 2000 l’essenza dei contratti di sicurezza e di società rimane sostanzialmente invariata. Le città e i Comuni vengono invitati a non richiedere supplementi di finanziamento, ma piuttosto a riorientare le risorse che hanno a disposizione, utilizzando i fondi per il rafforzamento dei progetti effettivamente rispondenti ai bisogni fondamentali della popolazione locale o per l’assunzione di personale supplementare. Una maggiore attenzione alla questione dell’immigrazione nei servizi di Polizia e alla sicurezza stradale viene poi richiesta dal ministero dell’Interno. Infine alcuni contratti, che non avevano funzionato bene, vengono soppressi o progressivamente diminuiti.
Politiche di prevenzione e politiche socio-economiche
La politica di prevenzione si sviluppa, in Belgio, nel quadro di una politica governativa socio-economica di stampo neoliberale, moderata da alcuni accenti democratico-cristiani e socialdemocratici. Gli effetti sociali, culturali ed ideologici della ristrutturazione economica provocata dalla internazionalizzazione e da alcune politiche interne hanno marginalizzato strati sempre più ampi di popolazione. Tale condizione di marginalizzazione ha portato alla diffusione di strategie di sopravvivenza spesso caratterizzate da inciviltà sociali e talvolta al passaggio a comportamenti devianti. La maggiore vulnerabilità di certe fasce della classe operaia o della classe media si è tradotta in un aumento del rischio di vittimizzazione e del sentimento di insicurezza. Queste situazioni si sono manifestate in modo più evidente in alcune città o in alcuni quartieri.
Per fronteggiare il deficit di bilancio i governi successivi hanno condotto una politica di riassestamento della spesa pubblica ed anche le città belghe sono state costrette a risanare le proprie finanze, ai danni della politica sociale locale. Al contrario, il budget dei ministeri federali dell’Interno e della Giustizia non sono stati ridotti, ma sono anzi aumentati soprattutto in seguito a vari programmi nazionali sulla sicurezza che si sono succeduti. A partire dal 1992, attraverso la politica di contrattazione, una parte del budget federale è stata ridistribuita alle città e ai Comuni che presentavano un certo tasso di piccola o media delinquenza.
Negli anni ’80 e negli anni ’90 la scelta governativa è stata quella di intervenire sempre meno nella gestione economica del paese. La volontà politica di affrontare i problemi sociali a livello strutturale è costantemente diminuita, mentre c’è stata molta attenzione a sviluppare politiche di contrasto verso le inciviltà e gli attentati all’ordine pubblico, che sono le manifestazioni visibili di questi nuovi problemi sociali. I governi di centro-sinistra si sono distinti da quelli di destra e di centro-destra per la loro convinzione che alla politica repressiva dovessero affiancarsi forme di controllo sociale meno repressivi. Si tratta di una versione socialdemocratica dello “Stato di sicurezza” che ha sostituito lo “Stato-provvidenza”.
Nonostante i discorsi dei Ministri socialisti dell’Interno, secondo cui la politica di sicurezza si doveva raccordare alle politiche sociali, la pratica ha dimostrato che i problemi sociali sono stati in qualche modo “inglobati” nel discorso sulla sicurezza: la politica della città, la politica sulla tossicodipendenza, i problemi dell’immigrazione sono ora definiti in primo luogo come problemi di criminalità e di insicurezza. Le politiche sociali degli altri ministeri federali e delle Regioni e delle Comunità vengono allora subordinate alle politiche di sicurezza del governo, mentre lo Stato non interviene che in caso di problemi di ordine pubblico. I successi elettorali della estrema destra non hanno fatto che sottolineare questa evoluzione verso uno stato di sicurezza.
Il ruolo della Polizia sulla politica di prevenzione
La nuova prevenzione di Polizia, sviluppata in Belgio all’inizio degli anni ’80 grazie all’interessamento di alcuni giovani ufficiali di Polizia municipale e della Gendarmeria, ha anticipato la riorganizzazione profonda dei servizi di Polizia e dello Stato degli anni ’90. Lo sviluppo di una politica federale sulla sicurezza è andata di pari passo con i programmi governativi di riforma e di riorganizzazione dei servizi di Polizia, che si è accentuata in particolare alla fine degli anni ’80.
Il modello preventivo elaborato all’inizio degli anni ’80 viene ripreso a livello governativo e generalizzato nelle nove province del Belgio: la Polizia (comunale e Gendarmeria) assume un ruolo centrale nella promozione delle politiche di prevenzione.
La funzione di Polizia di base è attribuita ora alla Polizia comunale. La Gendarmeria viene smilitarizzata e deve funzionare come una Polizia di seconda linea, mentre è soprattutto la Polizia comunale che si occupa della prevenzione, in virtù del suo legame più stretto con la realtà locale. Al tempo stesso, il ruolo della Polizia comunale viene messo in secondo piano, essendo riservata al governo la priorità di sviluppo a livello locale della politica amministrativa di prevenzione. D’altro canto i sindaci, per mancanza di competenze, spesso hanno delegato il loro Corpo di Polizia comunale a occuparsi delle politiche preventive: i casi in cui i sindaci hanno avuto un ruolo diretto e di primo piano sono rari.
Sostanzialmente, nella maggior parte di Comuni e città, la Polizia municipale ha continuato a mantenere un ruolo dominante nelle politiche di prevenzione, confermato nel 1992 dal fatto che i progetti di prevenzione dei contratti di sicurezza erano sempre legati al riassestamento della Polizia municipale stessa. Ma anche la Gendarmeria non ha inteso rinunciare a gestire numerose attività di prevenzione, né ha mai accettato un ruolo di secondo piano in questo campo; ha continuato dunque ad esercitare pratiche preventive nei comuni periferici o rurali ed ha comunque avviato, anche nelle città più grandi, dove la Polizia comunale ha il monopolio delle pratiche preventive, dei servizi di assistenza alle vittime.
Per entrambe queste Forze di polizia lo sviluppo di una politica di prevenzione di Polizia è stata un mezzo importante per riguadagnare una parte della legittimità persa.
La prevenzione della criminalità
Come si è già detto, le nuove forme di prevenzione si evolvono, negli anni ’80, verso la prevenzione della vittimizzazione, anche se rimangono alcuni progetti preventivi che agiscono sulle cause e sul singolo deviante (soprattutto i giovani) o sul processo di marginalizzazione che induce i giovani a commettere reati. A partire dai primi anni ’90 questi aspetti sociali sono sempre meno evidenti e le misure si riducono ad interventi per sorvegliare e “tenere occupati” quei giovani che sfuggono al controllo della famiglia o della scuola affinché essi siano meno visibili, e non costituiscano più una minaccia negli spazi pubblici.
La prevenzione in Belgio è quasi esclusivamente prevenzione della piccola e della media delinquenza contro i beni e le persone. Progetti di prevenzione della violenza tra le persone sono rari, come i casi della piccola e media delinquenza verso il patrimonio pubblico e le imprese. La prevenzione della criminalità organizzata e dei colletti bianchi non è un obiettivo delle politiche preventive.
Per quanto riguarda poi i progetti di prevenzione della vittimizzazione di orientamento tecnico e situazionale, essi si rivolgono in primo luogo a quegli strati della classe media che non hanno ancora fatto ricorso ai servizi del mercato privato della sicurezza. Più rari sono i progetti preventivi indirizzati a quartieri degradati, e pochi quelli rivolti agli anziani. A tutti questi progetti preventivi si è sempre accompagnato, comunque, un consistente controllo repressivo nelle strade e nei quartieri.
Le difficoltà di una politica di prevenzione
Dal 1990 le autorità locali sono state coinvolte nella politica federale di prevenzione della criminalità. Ai sindaci è stato attribuito un ruolo promotore nell’elaborazione e nella realizzazione delle politiche locali di prevenzione, soprattutto attraverso la previsione dei contratti di sicurezza o di prevenzione, dei quali essi sono contraenti ed esecutori. La loro cultura preventiva si è in questo modo accresciuta in questo decennio e lo stesso è avvenuto per funzionari e coordinatori, oltre che per la Polizia, che operano al loro fianco che hanno sviluppato una certa competenza in materia di criminalità e di prevenzione. Tuttavia, spesso la loro analisi dei problemi di criminalità e di insicurezza è stata fortemente condizionata da una visione di Polizia. Per mancanza di formazione o di sostegno da parte del ministero dell’Interno, le autorità pubbliche locali di rado sono riuscite ad elaborare una dinamica propria in materia di sicurezza: in molte città i progetti preventivi sono un’appendice del servizio di Polizia comunale. Addirittura gli aspetti sociali, essendo percepiti innanzitutto come problemi di criminalità o di sicurezza, sono subordinati alle stesse politiche di sicurezza e di prevenzione.
Per quanto riguarda il funzionamento dei partenariati, sono sorte a proposito numerose difficoltà. A parte poche eccezioni non si sono formati sotto l’autorità dei sindaci dei veri partenariati tra i diversi attori sociali della prevenzione. Rispetto a quelli di natura prettamente politica o ai programmi locali di prevenzione, maggiori possibilità di riuscita si sono avute per quei partenariati imperniati su progetti concreti. Ancora meglio sono andate le cose per i partenariati che non hanno visto conflitti tra diversi approcci professionali: è per questo infatti che la Polizia preferisce in ogni caso collaborare con soggetti privi di qualche particolare visione professionale, quali ad esempio genitori di alunni, gruppi di autodifesa, gestori di locali notturni, in generale disposti a subordinare la propria visione a quella della Polizia. Spesso medesima disponibilità si è avuta con assistenti di prevenzione con formazione di assistenti sociali, di criminologi, di psicologi o di sociologi. Ben più difficile si sono dimostrati i partenariati con gli operatori sociali, soprattutto nel caso di programmi diretti alla prevenzione dell’accesso al crimine: numerosi conflitti sono insorti, per esempio, tra la Polizia e gli operatori di strada che lavorano con i giovani.
Con lo sviluppo federale delle politiche di prevenzione, sono stati istituiti numerosi organi di concertazione, ma essi sono serviti soprattutto allo scambio di informazioni e raramente hanno portato a politiche e programmi effettivamente condivisi da tutti i partner.
Gli stessi Consigli comunali di prevenzione hanno spesso funzionato male: raramente sono stati davvero organi di consulenza del sindaco, in alcuni casi addirittura sono stati informati dei contratti di sicurezza quando essi erano già stati conclusi, senza poterne in alcun modo influenzare il contenuto. Ancora peggio per la concertazione a livello federale con il Consiglio Superiore per la Prevenzione della Criminalità che, si diceva, non si è più riunito dopo il 1992.
Come si e già accennato, un certo grado di integrazione è stato raggiunto a livello di singoli progetti, mentre molta strada resta ancora da percorrere per quanto riguarda l'integrazione tra i differenti progetti che compongono un contratto di sicurezza, o tra queste politiche e le politiche preventive di altre associazioni.
L’assenza di una base scientifica delle politiche preventive
Contrariamente a quanto avvenuto in altri paesi (la Francia con il rapporto Bonnemaison, i Paesi Bassi con il rapporto Roethof) i piani governativi sulla sicurezza non sono stati preceduti dal lavoro di una commissione di esperti: manca quindi una base scientifica delle politiche di prevenzione e di sicurezza. Di fatto, lo sviluppo della politica federale belga in materia di sicurezza è improntato dalle teorie dell’opportunità, della scelta razionale e del controllo situazionale e, tra il 1988 e il 1991, una certa influenza è stata esercitata anche dalle teorie dell’esclusione sociale. Le note e le circolari del ministero dell’Interno però non fanno che vaghi riferimenti a queste teorie.
Scarsa anche l’attenzione prestata alla valutazione delle politiche di prevenzione e di sicurezza. Tema completamente ignorato negli anni ’80, tra il ’91 e il ’92 il ministero dell’Interno ha preso l’iniziativa coraggiosa di fare valutare i progetti dei contratti di sicurezza da quattro équipe di ricerca, ma poi è stato lo stesso Ministro a non tenere minimamente conto nelle sue successive azioni di programmazione politica. A partire dal 1992 ci sono stati tentativi di ricerche private, le quali però non hanno dato risultati soddisfacenti, vista la scarsità di finanziamenti e la grande mole di progetti da valutare.
La valutazione interna non è migliorata neppure con la costituzione nel 1993 del Segretariato permanente per le Politiche di Prevenzione, nonostante disponesse di mezzi finanziari consistenti e di competenze qualificate. È soltanto, come si è detto, negli anni ’96 e ’97 che questo organismo, insieme al ministero dell’Interno, ha iniziato a svolgere un ruolo importante nella valutazione interna dei contratti di sicurezza/società e di prevenzione.
Un bilancio della politica di prevenzione
Negli ultimi dieci anni i vari governi hanno investito molto nelle politiche di prevenzione, sia in strutture che in mezzi finanziari e in personale, ma il bilancio di queste politiche non è incoraggiante. Anche se ci sono stati effetti positivi, le misure adottate sono ancora poco conosciute e poco visibili alla popolazione. Inoltre sia il governo federale sia le autorità locali hanno difficoltà, come si è detto, derivanti dalla mancanza di valutazione interna ed esterna delle politiche e dei risultati ottenuti. L’opinione pubblica risulta ancora molto allarmata dalla criminalità, in particolare medio-piccola, che percepisce in aumento, mentre i partiti di destra e di estrema destra sostengono fortemente una impostazione repressiva, non riservando grande fiducia nelle politiche di prevenzione. L’attuale maggioranza di centro-sinistra infine appare in panne, con poche idee ed ispirazioni per rinnovare e rivitalizzare la propria politica di sicurezza e finisce per riprendere suggerimenti ispirati a filosofie sicuritarie formulate dalla destra, anche estrema.
Un Piano Federale di Sicurezza
Il 14 luglio 1999 si è formato il governo “Arcobaleno” del primo ministro Verhofstadt, costituito dalla coalizione tra i partiti, liberale, socialdemocratico e verde (quest’ultimo per la prima volta al potere federale). L’accordo programmatico di governo “Un ponte verso il ventunesimo secolo” si proponeva l’esecuzione degli “Accords d’Octopus” che, mirando al raggiungimento di una maggiore sicurezza ed al miglioramento del funzionamento della giustizia, prevedeva la riforma della Polizia e della giustizia (più rapida ed umana), la redazione di un piano di sicurezza ed una nuova politica dell’esecuzione delle pene.
Dopo gli interventi correttivi apportati dalle componenti verdi e socialdemocratiche, nel maggio 2000 si arriva all’approvazione del Piano Federale di Sicurezza, i cui obiettivi sono la riduzione effettiva di tutte le forme criminali, l’aumento reale del livello di scoperta dei reati commessi ed una riduzione del sentimento di insicurezza della popolazione. Vengono enunciate nove priorità, ciascuna accompagnata da uno specifico programma di sicurezza comprendente diversi progetti (il totale finale sarà di 92) di intervento a lungo, corto e medio termine: aggressioni, criminalità organizzata, criminalità dei colletti bianchi, la tratta degli esseri umani, i delitti sessuali, la delinquenza giovanile, il fenomeno degli hooligans, il consumo ed il traffico di stupefacenti e gli incidenti stradali con lesioni personali. Corollari previsti per l’efficacia del Piano Federale di Sicurezza sono tutta una serie di interventi e di riforme a largo respiro che prevedono la semplificazione di diritto e procedura penale, la modernizzazione della Polizia, l’istituzione di un servizio federale di lotta alla corruzione, l’adozione di misure di prevenzione per l’impresa, l’allargamento dell’applicazione di mediazione e di pene alternative, e così via. La pretesa del Piano Federale di Sicurezza è dunque quella di garantire un approccio globale ed integrato alla criminalità ed all’insicurezza e di costituire il quadro di riferimento delle altre iniziative inerenti, compresi i piani di sicurezza della Polizia (federali e locali), che erano stati istituiti nel 1998.
L’analisi dell’insicurezza \e della criminalità
Il Piano Federale di Sicurezza contiene anche un’analisi dell’insicurezza nella società belga.
In via di principio, la sicurezza viene intesa come diritto dell’uomo e come necessità per il mantenimento dello stato di diritto. Definita ora in modo ampio, ora in modo più stretto, la sicurezza rappresenta per la concezione del governo federale una componente necessaria di uno Stato attivo di assistenza sostenuto da una maggiore produttività economica e dalla protezione sociale.
Secondo il Piano Federale la sicurezza non è soltanto materia di Polizia e giustizia, ma è legata alle prospettive che la società offre ed alle reti da predisporre per coloro che si trovano in difficoltà: si tratta di un concetto che ha a che fare con tutto ciò che riguarda la sicurezza personale a livello relazionale ed emozionale.
Una politica di sicurezza, allora, non può essere semplicemente ridotta ad una lotta contro la criminalità, ma si deve realizzare anche attraverso la lotta all’esclusione sociale, il rinnovamento urbano, la massima accessibilità dei servizi pubblici, condizioni importanti per una politica di sicurezza efficace.
Il bisogno di sicurezza sta sempre più diventando un bene di consumo che si compra come qualsiasi altro; in seguito a questa evoluzione, la sicurezza sociale non è più una garanzia per nessuno e la sicurezza è proprio il campo in cui più si sta sviluppando la dualità socio-economica della nostra società.
Nonostante questa impostazione strutturale dell’insicurezza, il Piano Federale di Sicurezza finisce poi per ridurre l’insicurezza oggettiva ad una serie di elementi, quali la vittimazione da delitto, da catastrofe e da incidente e quella soggettiva alla paura di rimanere vittima di reati o di incidenti.
Il concetto di una politica di sicurezza integrale
Il Piano Federale intende per politica di sicurezza integrale un approccio globale che tenga conto di tutti i fattori che possono minacciare o promuovere la sicurezza e si tratta di un concetto che è alla base dello sviluppo dei programmi di sicurezza, organizzati secondo le nove priorità. Ognuno di essi contiene dunque misure proattive, preventive, preparative, repressive e misure di trattamento.
Il fine della politica di sicurezza integrale è l’integrazione orizzontale di tutti gli attori potenzialmente coinvolti, l’insegnamento, il benessere, lo sviluppo economico, la gestione del territorio e l’ambiente, gli affari sociali, la sanità pubblica, la circolazione stradale, la Polizia e la giustizia. Infatti le autorità pubbliche devono essere di stimolo alla politica di sicurezza, ma, in ultima istanza, sono i cittadini, le famiglie, i quartieri, le scuole, le associazioni, le istituzioni e le imprese che si devono impegnare per una società di maggiore sicurezza. Sono questi gli attori pubblici e privati, diversi da Polizia e giustizia, che il Piano Federale ha il proposito di coinvolgere, riponendo inoltre molte aspettative dalla cooperazione locale con imprese di sicurezza privata e reti locali di informazione.
Anche l’aspetto dell’integrazione verticale deve essere presa in considerazione, sia come ripartizione di competenze tra il livello federale e quello di comunità e Regioni, sia come coordinamento degli interventi pubblici anche a livello internazionale.
La prevenzione della criminalità
Passando ad una dimensione più concreta, diventa più difficile individuare dal Piano Federale le politiche di prevenzione che il governo si propone di condurre. Oltre alla già citata programmazione secondo il modello delle nove priorità, il Piano Federale contiene anche un diverso progetto elaborato dal Ministro incaricato della politica dei grandi centri urbani, per molti aspetti in contrasto con quanto già descritto. Aggiungendo a questa contraddizione evidente la confusione generale determinata dal non pieno consenso politico e dalle procedure seguite per l’elaborazione del piano, è facile comprendere come siano arrivati al livello locale raccomandazioni ed indirizzi vaghi e poco elaborati. In termini molto generali, tali indicazioni possono essere schematicamente ricondotte ad alcune aree di intervento:
- politiche urbane di rinnovamento, di sviluppo del lavoro e di integrazione;
- cooperazione, ai fini preventivi, tra autorità pubbliche da un lato e associazioni professionali, reti locali di informazione ed imprese di sicurezza privata (e non), dall’altro;
- prevenzione situazionale nel campo della sicurezza negli stadi;
- presenza della Polizia sulle strade, con particolari contatti con il settore scolastico, ai fini della prevenzione della devianza giovanile;
- controllo della diffusione di armi tra i privati e dei grandi flussi di traffico di armi.
La politica locale di sicurezza integrale deve quindi accordarsi alle raccomandazioni del Piano Federale di Sicurezza. L’elaborazione è affidata ai sindaci, controllati dal Consiglio comunale, mentre la realizzazione pratica dovrebbe essere affidata ad appositi consiglieri comunali responsabili della sicurezza. La valutazione resta compito del Consiglio comunale di prevenzione, che deve essere snellito nella sua struttura, e deve essere riconosciuta maggiore indipendenza ed autonomia d’azione al funzionario di prevenzione.
Tutti i contratti di sicurezza, infine, devono essere trasformati in contratti di prevenzione, tenuta ferma la loro adozione, che deve essere però uniformata alle linee guida del Piano Federale di Sicurezza. Il settore “Polizia” degli stessi contratti viene trasferito alla competenza della Polizia locale.
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