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maggio/2002 - Interviste
Polizia Europee - Belgio
Politiche della sicurezza a confronto
di Rossella Selmini

I problemi della sicurezza interna, della prevenzione e del contrasto ai fenomeni criminali in Italia e, più in generale, in Europa, costituiscono ormai da tempo un tema assai complesso e di non facile soluzione.
Il “Servizio promozione e sviluppo delle politiche della sicurezza e della Polizia locale” della Regione Emilia-Romagna, ha dedicato il quaderno n. 24 di “Città Sicure” al “Quadro istituzionale e normativo delle politiche di sicurezza (in Europa)”.
Di questa ricerca comparata pubblichiamo in questo numero il capitolo dedicato alla struttura di Polizia nel Belgio, uno studio curato da Patrick Hebberecht. Presentiamo altresì ampi stralci dell’introduzione di Rossella Selmini all’intera ricerca; ricerca che ha preso in considerazione le politiche della sicurezza e le relative strutture delle Polizie nazionali e locali in Germania, Inghilterra e Galles, Francia e Spagna

* * *

Nei paesi europei gli interventi sulla sicurezza urbana e la nuova prevenzione rappresentano ormai, perlomeno in alcuni contesti, un insieme di azioni consolidate e un corpo di politiche pubbliche, locali e nazionali, di un certo rilievo, per la loro visibilità, il loro essere oggetto di discussione e di competizione politica, per le consistenti risorse che, almeno in alcuni casi, ad esse vengono dedicate. Si può indubbiamente sostenere che, se pure con un diverso livello di sviluppo nei vari paesi, esiste oggi in Europa un consolidato filone di interventi, legislativi, regolamentari, amministrativi, che sono espressione di politiche, locali e nazionali e di programmi, sul tema della sicurezza e della prevenzione. Le politiche di sicurezza e di prevenzione, nella accezione con cui le intendiamo oggi, sono entrate definitivamente nell’insieme delle politiche pubbliche, pur continuando ad occupare un’area “grigia”, i cui confini con le politiche penali e criminali, con le politiche sociali, del lavoro, dell’urbanistica, ecc. rimangono a tutt’oggi incerti o in continua ridefinizione.
In una prima fase (che va indicativamente dalla prima metà degli anni ’80 alla prima degli anni ’90) lo sviluppo di queste politiche e di queste azioni si era manifestato attraverso due diversi modelli che fanno riferimento alla esperienza francese e a quella anglo-americana. Nelle ricerche comparate sulle politiche di sicurezza viene infatti messo in evidenza come nel Regno Unito si assista alla elaborazione e diffusione di un modello (che ha alcune similitudini con quello degli Stati Uniti)basato principalmente sulla prevenzione della criminalità, sul rafforzamento del ruolo della Polizia e del governo centrale e sulla diffusione di pratiche di prevenzione situazionale, mentre nel modello francese sembrano prevalere forme di prevenzione sociale inquadrate nelle politiche urbane e dove gli attori locali, e i sindaci in primo luogo, giocano un ruolo egemone.
Si tratta di modelli che spesso la ricerca comparata ha collegato alle diverse tradizioni amministrative, giuridiche e culturali dei vari paesi: lo sviluppo della prevenzione sociale in Francia sarebbe così da ricondursi non solo all’idea di prevenzione che si è affermata in quel contesto, anche come risultato del dibattito scientifico della tradizione criminologica dell’area francofona, ma anche del ruolo delle città, dei sindaci e dei quartieri: cioè della struttura amministrativa tipica di quel paese. Così come la “nuova” prevenzione in Inghilterra, Galles e Scozia appare essere, anche, il frutto di un’azione amministrativa fortemente centrata sul ruolo del ministero dell’Interno e delle Forze di polizia nazionali.
Nel tempo, tuttavia, il peso e il ruolo giocato dai diversi attori sembra cambiare e si assiste a una ridistribuzione di responsabilità, che è spesso il risultato di un processo conflittuale. Questi modelli di riferimento appaiono infatti oggi, e anche questa ricerca lo dimostra, assai meno univoci di quanto si poteva pensare. Rimangono, a contraddistinguere le due esperienze, i grandi principi di fondo, ma si affacciano elementi nuovi e in parte anche contrastanti con il modello originario. La Francia sembra perseguire con convinzione una politica preventiva orientata alle cause, alle grandi azioni di riforma sociale, alle politiche “globali” e ciò ancora oggi, nel momento in cui la questione della prevenzione della criminalità - e soprattutto delle inciviltà e del disagio del mondo giovanile - viene ancorata alle politiche del lavoro. Ma il nuovo orientamento alla sicurezza vede anche un ruolo prioritario delle istituzioni tradizionalmente repressive (la Polizia, la magistratura), una centralità del ruolo dei prefetti, e la elaborazione di dispositivi correzionali, come i gruppi di trattamento della devianza. E, seppure nel Regno Unito si stia accentuando il peso dei sindaci e delle autonomie locali, ad indicare il perseguimento di politiche di community safety, centrate sugli attori locali, è pur vero che priorità e modalità di realizzazione delle politiche di sicurezza continuano ad essere stabilite a livello centrale e che il “Crime and Disorder Act” del 1998 introduce anche dispositivi che limitano la libertà individuale, quali sono le “ordinanze per i comportamenti antisociali”, dimostrando così le difficoltà di superare un modello originario di “nuova” prevenzione basato più sul controllo dei comportamenti e dell’ambiente che sulle azioni di sviluppo sociale.
Ciò che appare quindi evidente è che gli anni ’90, cioè la fase “matura” delle politiche di sicurezza in Europa, mostrano, in molti paesi oltre a quelli analizzati in questa ricerca, una crescente tendenza al rafforzamento dei poteri centrali in materia di sicurezza. Che lo Stato disinvesta nella funzione penale, attribuendo ad altri soggetti alcune responsabilità nella prevenzione dei reati non implica quindi che rinunci a stabilire priorità e vincoli e che le autorità centrali non ricoprano, anche se a fasi alterne, il ruolo principale.
Decisamente diversa è la situazione di paesi come la Spagna e l’Italia, dove invece le politiche di sicurezza nascono e rimangono per un lungo periodo all’interno dei governi locali e dove solo di recente, come nel caso italiano, si sono avviate forme di collaborazione con il governo centrale per la realizzazione di attività finalizzate alla sicurezza [...].
La ricerca ha avuto l’obiettivo di ricostruire le politiche di sicurezza e nuova prevenzione avviate in alcuni paesi europei (per l’esattezza: Belgio, Francia, Germania, Inghilterra e Galles e Spagna) non sul piano dei contenuti, bensì sul piano del quadro politico, istituzionale e organizzativo in cui tali politiche e tali interventi sono nati e si sono sviluppati.
L’interesse per la ricostruzione di questo quadro è evidente: la ricerca comparata può offrire a chi in Italia riflette su questo tema spunti di riflessione e conoscenze utili, a maggior ragione in una fase in cui l’assetto istituzionale dei poteri sta conoscendo nel nostro Paese un momento di trasformazione (si pensi alle recenti riforme riguardanti il conferimento di nuove competenze alle Regioni nel campo della Polizia locale e amministrativa).
Inoltre, conoscere l’assetto istituzionale e il ruolo dei vari attori coinvolti (in primo luogo, le Forze di polizia) può consentire di capire meglio alcuni processi interni alle politiche di sicurezza e di nuova prevenzione (più in generale, interni al sistema penale), così come può offrire elementi di valutazione sui risultati e l’efficacia di quelle stesse politiche. In riferimento ai processi interni, la ricostruzione del quadro istituzionale può contribuire a chiarire se e come gli Stati stiano disinvestendo nel monopolio della sicurezza, redistribuendo compiti e responsabilità a nuovi attori, istituzionali e non, e quindi, più in generale, se e con quali modalità si stia attuando, attraverso strumenti istituzionali, e spesso amministrativi, una ristrutturazione delle forme del controllo sociale. Ancora l’analisi del contesto istituzionale può aiutare a capire, nell’intreccio tra intervento istituzionale e discipline criminologiche e sociologiche, come cambiano i concetti tradizionali di prevenzione e sicurezza.
La ricerca che qui presentiamo ha avuto l’obiettivo di descrivere questo quadro normativo e istituzionale per cominciare a rispondere ad alcuni interrogativi di fondo:
- Qual è la storia recente e lo sviluppo delle politiche di sicurezza e di “nuova” prevenzione nei paesi europei?
- Chi sono e chi sono stati i promotori e gli attori principali sul piano istituzionale?
- Quale ruolo ha la Polizia, nel quadro delle competenze date e in prospettiva, nell’avvio e nella gestione di programmi di sicurezza e prevenzione?
- Qual è il quadro normativo e amministrativo che sorregge tali politiche?
- Esistono assetti istituzionali, soprattutto sul piano della distribuzione e ridefinizione delle competenze, favorevoli allo sviluppo di politiche di sicurezza e di azioni di “nuova” prevenzione?
- Quanto e come tali assetti istituzionali e organizzativi condizionano il contenuto delle politiche pubbliche di sicurezza e di prevenzione?
- Come si è evoluto nel tempo il rapporto tra livello centrale e periferia?
- Quali conflitti e forme di contrattazione caratterizzano tale rapporto?
- Quali strumenti di collaborazione sono stati individuati? [...]
In primo luogo, quello che emerge con evidenza è il diverso livello delle relazioni esistenti tra autorità locali e autorità centrali nei diversi paesi, ed anche come, all’interno di uno stesso paese, nel corso del tempo, pesi e responsabilità dei diversi livelli istituzionali si redistribuiscano in maniera differente. La ricerca conferma un aspetto che anche nel caso italiano ha una grande rilevanza e cioè il fatto che le politiche di sicurezza si collochino indubbiamente al centro della contrapposizione tra Stato centrale e autonomie locali. L’altro aspetto evidente è come questa contrapposizione sia molto più dinamica e suscettibile di rapidi, anche se a volte impercettibili, cambiamenti nel corso di pochi anni.
IL caso più significativo è quello della Francia, dove, nel tempo, il ruolo del governo centrale diventa più forte e significativo (in particolare con il ricorso ai “contratti di sicurezza”) a scapito del ruolo giocato dai sindaci e dalle autorità locali. Il processo inverso avviene, anche se con qualche ambiguità, nel caso dell’Inghilterra e del Galles dopo l’emanazione del “Crime and Disorder Act” del 1998, che vincola le autorità locali alla compartecipazione. In ogni caso, che si ricorra alla contrattualizzazione delle relazioni, o che questa sia stabilita per legge, emerge evidente come uno dei nodi problematici - e non poteva essere altrimenti - delle politiche di sicurezza nella accezione odierna sia proprio quello delle relazioni tra autorità centrali e locali e del difficile riequilibrio dei poteri e delle competenze. Tant’è che in molti casi è necessario utilizzare, appunto, strumenti vincolanti (le leggi) o di concertazione (contratti, protocolli o, come nel caso italiano, accordi di programma) per trovare forme di intermediazione tra i diversi livelli.
In ogni caso, nella maggior parte dei paesi in cui la ricerca è stata condotta, esclusa la Spagna e la Germania, è lo Stato nazionale a mantenere di fatto, un ruolo egemone, cioè a riservarsi la competenza nella definizione delle priorità e dell’orientamento che le strategie di sicurezza e di prevenzione devono avere, anche a livello locale. Questo aspetto appare particolarmente interessante nel caso del Belgio, paese a struttura federalista, dove il livello federale di coordinamento delle politiche di sicurezza è molto forte, a differenza di quanto avviene in Germania, dove sembra che i diversi livelli territoriali si muovano parallelamente. [...]
Un altro aspetto che emerge con chiarezza dai rapporti è il ruolo delle Polizie nel governo delle nuove politiche di sicurezza, divenuto indubbiamente sempre più importante in numerosi paesi europei durante tutto il decennio passato. Più che nel caso dell’Inghilterra e del Galles, dove da sempre la Polizia ha avuto un ruolo fondamentale nelle politiche di sicurezza, è interessante cogliere l’importanza crescente assunta invece in paesi dove questo ruolo era più marginale. Nel caso della Repubblica Federale Tedesca, in particolare, soltanto pochi anni fà veniva rilevato come le Forze di polizia fossero ancora lontane da un approccio preventivo, anche perché fortemente professionalizzate su tematiche diverse, quali il terrorismo e più in generale, la sicurezza interna dello Stato. [...]
A questi aspetti va aggiunto che, pressoché in tutti i paesi considerati, si assiste ad una profonda trasformazione dei Corpi di Polizia, a tentativi, più o meno riusciti, di riforma delle competenze, delle forme di coordinamento e alla sperimentazione delle iniziative di “Polizia di prossimità”. [...]

Rossella Selmini Curatrice del lavoro per conto della Regione Emilia-Romagna.
Coordinatore della ricerca prof. Stanislao Rinaldi
Supervisione scientifica del prof. Alessandro Baratta

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