Il documento firmato Br, apparso dopo l’omicidio a Bologna del consulente del ministro Maroni, presenta notevoli anomalie tanto da far dubitare sulla veridicità della fonte, che sembrerebbe sconoscere il pensiero di Marx e Lenin
Sull’omicidio di Marco Biagi, da quanto se ne sa sino ad oggi, esistono elementi contraddittori. La firma della Br-Pcc è data per conclamata in base ad un documento di rivendicazione, inviato per e-mail, su cui non sono poche le notazioni da compiere. Ma prima di affrontare questo tema, è possibile soffermarsi su ciò che emerge dalla dinamica dell’assassinio. A partire dal percorso, a quanto si dice quasi completamento filmato da telecamere a circuito chiuso poste in diversi punti di quel tragitto, a Bologna, che il docente universitario ha compiuto prima di essere ucciso.
Quelle memorie ottiche avrebbero filmato, in un montaggio a staffetta, il drammatico film degli ultimi minuti di vita di Biagi che, partendo in bicicletta dalla stazione di Bologna è stato ucciso di fianco al portone della sua abitazione in via Valdonica. La sera dello scorso 19 marzo sembra dunque traboccare di immagini, per fotogrammi, che individuano la vittima sin dal suo arrivo, in treno, da Modena. Naturalmente, al di là della figura dell’economista, gli investigatori si sono concentrati su tutti i soggetti che gli appaiono vicino durante l’itinerario. Su questo argomento si susseguono riunioni dei quattro magistrati che si occupano del caso, il procuratore Luigi Persico, l’aggiunto Italo Materia, i sostituti Paolo Giovagnoli e Claudio Caretto, oltre che degli investigatori di Ros e Reparto Operativo dei Carabinieri, Ucigos e Digos della Polizia.
La ricostruzione del “video” avrebbe come autori i carabinieri del Nucleo Operativo di Bologna, con il supporto del Ros, e con l’aiuto dell’ingegnere, nominato come consulente dalla Procura, che ha progettato il sistema di telecamere per la sicurezza urbana. Le immagini, inoltre, sarebbero integrate da centinaia di testimonianze portate dai bolognesi, e il quadro dovrebbe adesso reggere il confronto con le varie ipotesi investigative emerse sino ad ora. Il procuratore Persico si dice soddisfatto, e agli investigatori dice: “Stanno lavorando bene”. La Procura, al tempo stesso, continua a rinnovare i suoi appelli per trovare testimonianze in merito al motorino su cui i due killer hanno atteso la vittima e su cui, dopo aver sparato, hanno preso la fuga.
L’impianto a circuito chiuso della Polfer, alla stazione di Bologna, avrebbe fornito molti elementi; uno strumento utile, si dice, visto che già in passato ha aiutato a risolvere più di un’indagine, compresa quella riguardante un omicidio accaduto nel ‘90. Dopo lo “sguardo” elettronico della Polfer, gli impianti a circuito chiuso di altri enti, tra cui alcune banche, avrebbero registrato il percorso. Ad esempio, nella zona universitaria adiacente a via Valdonica, sono presenti le telecamere antidegrado del progetto sicurezza urbana del Comune di Bologna, telecamere che, però, non avrebbero registrato l’arrivo di Biagi. Una particolare attenzione degli investigatori sarebbe indirizzata verso alcune immagini che mostrano il professore universitario che arriva il treno da Modena. Al binario “uno” del piazzale ovest, ad attendere l’arrivo del convoglio si vedrebbe solo un ragazzo, l’aspetto normale. Biagi scende e se ne va. Il ragazzo fa lo stesso, dopo aver abbracciato e baciato una giovane scesa da una carrozza. Ebbene ci sarebbe qualcosa, nell’atteggiamento dei due giovani, che continua a non convincere gli investigatori. Si parla di particolari, un’impressione, come se non si tratti di una vera coppia di innamorati, tanto le effusioni risultano artefatte.
Mentre si sta ragionando sul tragico videoclip a “circuito chiuso”, si apprende che il giorno prima dell’omicidio, proprio in via Valdonica, sarebbero state girate le scene di un film. Sceneggiatura di quei ciack: una zuffa tra studenti negli anni delle contestazione. Considerata “una via senza tempo” e quindi per questo idonea a ospitare riprese di filmati d’epoca, via Valdonica viene scelta per girare alcune scene di un film in lavorazione, che dovrebbe avere per titolo Il segreto del successo. Dal racconto di un giornalaio bolognese, che in queste riprese ha fatto la comparsa, emerge la descrizione del set. La scena riguarderebbe una zuffa tra ex parlamentari degli anni ’70 e due attori protagonisti, travestiti da fascisti. All’azione partecipano 10-12 persone, mentre per consentire le riprese, la strada verrà chiusa tra le 10,30 e mezzogiorno.
La Procura, adesso, starebbe vagliando l’ipotesi di una circostanza che, francamente, appare stupefacente: anche in via Salaria a Roma, dove tre anni fa viene ucciso Massimo D’Antona, alla vigilia del delitto sarebbero state effettuate riprese di un film.
Incongruenze, ipotesi, certezze, imprecisioni. E supertestimoni che, secondo dichiarazione della Procura, non ci sono, se non nei titoli dei giornali.
Fino ad ora, l’omicidio di Marco Biagi, pur contenendo (a partire dall’individuazione del tipo di obiettivo da parte dei mandanti) spunti notevoli di somiglianza con quello di Massimo D’Antona, appare un po’ troppo costretto in una tipologia di “omicidio fotocopia”. A partire dall’utilizzo dell’arma.
A tutt’oggi, secondo fonti di stampa, si avalla decisamente l’ipotesi che i terroristi che il 20 maggio ’99, a Roma, uccisero Massimo D’Antona e quelli che il 19 marzo scorso hanno assassinato, a Bologna, Marco Biagi, abbiano voluto firmare i due delitti ricorrendo alla stessa pistola e alle stesse munizioni: una calibro nove corto, forse una Makarov, e probabilmente proiettili della stessa marca, Sellier & Bellot. È vero, tra l’altro, che a dischiudere la strada di questa ipotesi siano stati proprio ambienti vicini agli inquirenti, oltre che le primissime, francamente avventate, dichiarazioni del ministro dell’Interno, Claudio Scajola, che a giustificazione di una presunta pratica “brigatista”, dedita all’uso di una stessa arma a firma delle azioni compiute, citerà addirittura il caso Moro.
Nel caso degli omicidi Biagi-D’Antona, indicazioni sul presunto utilizzo di una stessa arma sarebbero emerse sulla base degli accertamenti fatti dal Ris dei Carabinieri. Il peso ed il materiale delle ogive dei proiettili dei due delitti, alle analisi, è risultato essere lo stesso, un fatto che, sommato alla constatazione di un calibro particolare, ha condotto alla deduzione dell’utilizzo di stesse munizioni. Il Ris, si dice, basandosi anche sul catalogo delle armi, avrebbe avanzato diverse ipotesi, avvalorandone però una: quella dell’uso di una pistola Makarov, una vecchia arma comune all’interno del Patto di Varsavia, reperibile senza eccessive difficoltà sui mercati clandestini dopo il disfacimento del blocco sovietico. Che anche le munizioni siano le stesse, gli inquirenti lo ipotizzerebbero per deduzione. Nel caso dell’omicidio D’Antona verranno repertate solo le ogive, visto che sul luogo dell’agguato non saranno trovati bossoli. In quel caso i killer - si è sempre sostenuto - avrebbero utilizzato un sacchetto raccogli-bossoli. Nell’assassinio Biagi sono stati repertati anche i bossoli che sul fondello riportano la S&B, ovvero Sellier & Bellot, marca della Repubblica ceca nata nel 1825, produttrice di munizioni di tutti i calibri e che ha fiduciari in tutto il mondo, compresi gli Usa. Il rappresentante italiano della S&B è in provincia di Pisa, a San Giuliano Terme. Domanda: perché nell’omicidio di Bologna sono stati trovati i bossoli? Tre risposte tra tante: il sacchetto raccoglitore potrebbe non aver funzionato; usando la stessa pistola, per i terroristi non sarebbe stato importante non lasciare bossoli; si voleva dare la firma piena ai due delitti.
Un’altra ipotesi: qualcuno sta mimando una contiguità autorale del gruppo di fuoco dell’omicidio D’Antona e di quello dell’omicidio Biagi.
Un “mucchio di stupidaggini” ha solo il significato di una provocazione. Soprattutto se si pensa che il supporto di Internet offre, nel bene e nel male, un mastodontico archivio di informazioni e messaggi. Molti di questi, come spesso capita nella vita, sono veri, falsi, provocatori, di abboccamento, criptici, inesatti, e via dicendo.
Ora vien da chiedersi perché, dopo che la rivendicazione dell’omicidio di Marco Biagi è arrivata per e-mail a più di 500 mittenti, organi inquirenti, di punto in bianco, decidano di oscurare tre siti Internet intestati Brigate rosse. L’atto è conseguente ad un’inchiesta, aperta dalla Procura della Repubblica di Bergamo ed in svolgimento tra le città di Bergamo, Roma, Napoli, che ha condotto la Polizia Postale di Milano ad effettuare, appunto, l’oscuramento. Il provider che ospitava i tre siti è gestito da un società con sede in un centro commerciale della periferia di Bergamo, mentre i siti risulterebbero registrati, nel settembre del 2000, sotto il nome di due persone residenti a Caivano, in provincia di Napoli. Da parte della titolare dell’inchiesta, il pubblico ministero Manuela Cantù, non è giunta alcuna dichiarazione sugli sviluppi delle indagini. A quanto pare, comunque, le ipotesi potrebbero andare dall’apologia di reato e all’istigazione a delinquere. I siti sottoposti a sequestro, si ricorda, avrebbero contenuto anche rivendicazioni di gruppi terroristici e frasi di compiacimento per l’assassinio di Marco Biagi.
Dopo aver dato notizia di quanto sopra, allora, è interessante qui riproporre uno stralcio di un documento dei Carc (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo), sequestrato in una sede di questo gruppo all’epoca dell’omicidio D’Antona, in seguito ad un’inchiesta sui Carc che sostanzialmente non ha prodotto risultati di rilievo. Perché riproporre qualcosa del genere? Perché, se sulla rivendicazione dell’omicidio D’Antona, firmata Br-Pcc, i Carc affermano quanto di seguito, ci si chiede cosa dovrebbero dire dopo aver letto la rivendicazione dell’omicidio Biagi.
Ebbene, secondo i Carc l’autore della rivendicazione dell’assassinio di Massimo D’Antona, firmata dalle Br-Pcc, espone tesi che dimostrano “l’estraneità sostanziale del suo pensiero e dei suoi riferimenti al movimento comunista”. Per i Carc, tale autore ha studiato poco le opere di Marx e Lenin e scrive in modo “asettico e professorale”, sbagliando l’analisi sulla lotta di classe. Quella dei Carc è una critica radicale e documentata, un lavoro svolto al computer, con l’aggiunta di commenti e citazioni al testo della rivendicazione D’Antona. Le critiche rivolte all’estensore della rivendicazione, indicato con il nome “l’Autore” o “il professore”, sono impietose. Esse evidenziano che nel ripercorrere le lotte di classe in Italia, l’Autore della rivendicazione dimostrerebbe di non coglierne tutti gli aspetti. “È come confondere - afferma il documento Carc - l’astrattezza di una grammatica della lingua italiana con la ricchezza dei Promessi Sposi o dell’Infinito. Il nostro Autore dovrebbe familiarizzare di più con le opere di Marx, di Lenin e degli altri grandi esponenti del materialismo dialettico e meno con i manuali universitari”. Il documento critico mette in contrapposizione il progetto dichiarato dalle Br-Pcc (“logorare lo Stato, destabilizzare lo Stato”) con quello che gli estensori del documento stesso indicano come già delineato sulla rivista La Voce, periodico vicino ai Carc. “Noi - sostengono gli estensori della critica alle Br-Pcc - sosteniamo che il regime politico del nostro Paese è già in crisi e di per se stesso diventa ogni giorno più instabile. Darsi da fare per destabilizzarlo è come darsi da fare per scuotere una pianta di frutta mentre il vento continua a squassarla. Il compito principale da svolgere in questa fase per far avanzare verso la rivoluzione socialista è costruire un centro di aggregazione, di raccolta, di direzione e di formazione delle forze rivoluzionarie, cioè ricostruire il partito comunista della classe operaia”.
Inoltre, viene criticata l’affermazione delle Br-Pcc secondo la quale l’aver ucciso D’Antona “spezza la mediazione politica neocorporativa”. “I fatti - commentano i Carc - diranno a tutti se l’attacco delle Br-Pcc sortisce davvero questo risultato o se questa affermazione è una vanteria. Le Br-Pcc fanno da mosche cocchiere, come con De Mita nel 1988. Uccidono un progetto che è destinato comunque a morire. Il governo Prodi è durato 29 mesi. Arriverà a tanto il governo D’Alema? La fine della legislatura è nell’aprile del 2001”. “La conferma pratica - continua il documento dei Carc - della tesi delle Br-Pcc si avrebbe solo se non solo il governo D’Alema cadesse, ma se l’attacco permettesse ad esse di fare passi avanti nella Formazione delle Forze, anziché ricadere in una nuova ‘discontinuità’, come quella del 1982 e quella del 1988”.
Insomma i Carc, già dall’omicidio D’Antona, esprimono un forte dubbio sulla validità di chi si firma Br-Pcc. “Per costruire il partito - ricordano i Carc - occorre tessere dalla clandestinità la rete di organizzazioni territoriali e di azienda degli operai e degli altri proletari comunisti, annodando ad essa i fili già esistenti”. Poi, un’interessante accusa all’Autore della rivendicazione di D’Antona: quella di “nascondere le malefatte e gli insegnamenti del revisionismo moderno” e di adottare “tesi tipiche della cultura borghese di sinistra”. “L’Autore - chiosano i Carc - parla come un sindacalista che prende sul serio l’autonomia dei sindacati e il potere dei sindacati, come un politico che prende sul serio l’autonomia degli uomini e delle forze politiche, come uno che prende per serie le motivazioni religiose delle guerre di religione, come uno che valuta gli uomini in base all’idea che essi hanno di sé, in generale come uno che prende sul serio le manfrine della politica-spettacolo”.
Sarebbe interessante sapere se, notazioni del genere, ad esempio tra gli investigatori, sono state avanzate nei confronti della rivendicazione dell’omicidio Biagi, distribuita ben bene per e-mail. Ebbene i Carc, sul documento D’Antona, offrono spunti più che interessanti per una lettura di quel mucchio di pagine della rivendicazione Biagi. Un sapiente e sorprendente dosaggio di macro-ignoranza ed iper-specializzazione, di simulazione e dissimulazione, di massima sonante e di collage a-consequenziale istruito con ossessività acritica, eppure apparentemente metodica.
Per tutte una constatazione e una domanda: le Br-Pcc del 2000 non sono le Brigate rosse e, dunque, che cosa sono? Possibile ipotesi: sono qualcuno che sta mimando maldestramente le Br-Pcc di fine anni ’80?
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