Il ministro dell’Interno, Claudio Scajola, continua a rispondere negativamente. Lo Stato, dice, non ha alcuna responsabilità nella morte del giurista Marco Biagi, ovvero non ci sono stati errori, né scelte superficiali. È stato un evento drammatico che purtroppo nessuno ha potuto evitare, né prevedere. E non è neppure il caso di avviare una Commissione parlamentare di inchiesta come qualcuno ha già chiesto. La famiglia del giurista non è però soddisfatta delle dichiarazioni ufficiali. È troppo il dolore che si prova per accontentarsi di qualche giustificazione formale e non è stato neppure un caso che la moglie di Biagi e il resto della sua famiglia si siano opposti ai funerali di Stato che lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, aveva proposto. Hanno detto: “No grazie”. Non si tratta di risentimenti, di rabbia o di una particolare forma di protesta politica. Si tratta di giustizia e di pulizia morale, la stessa dote che viene attribuita - a ragione - a Marco Biagi, ucciso a Bologna, come era stato assassinato Massimo D’Antona a Roma.
Noi ovviamente non sappiamo come sono andate davvero le cose. Non sappiamo se ci sono stati errori, difetti di comunicazione, scelte superficiali di prefetti, sottosegretari o ministri. Non lo sappiamo e non vogliamo neppure avanzare ipotesi strampalate, tantomeno congetture non suffragate da fatti e notizie concrete. Ci piacerebbe però sapere solo due o tre cose che sono state dette sui giornali, accennate qua e là, buttate lì nel calderone quotidiano delle notizie e poi dimenticate. Ci piacerebbe cioè sapere se è vero che il giurista aveva ricevuto delle minacce dirette sia all’Università sia al telefono della sua abitazione. È stato scritto sui giornali, è stato detto a più riprese e da persone diverse anche in televisione. È vero che Biagi ricevette una telefonata che recitava più o meno così: “Sappiamo che ti hanno lasciato solo”?
Speriamo di poterne sapere di più tra qualche tempo. Anche perché la Commissione parlamentare non ci sarà, ma ci sarà l’inchiesta della magistratura, già istruita dai magistrati di Bologna. Ci interessa molto questa verità non tanto per confermare qualche critica o verificare qualche inefficienza della macchina pubblica. Anzi noi speriamo davvero che non ci siano state superficialità in questa storia. Ma se le minacce ci sono state e sono state dirette, che cosa c’entra il discorso generale sulle scorte? Si doveva proteggere e difendere quest’uomo?
Queste domande portano il discorso sulla ricomparsa del terrorismo e sulla minaccia sempre presente del terrorismo internazionale. Su questi punti ci ha molto colpito il discorso del ministro Scajola alla Festa della Polizia 2002, i festeggiamenti per un compleanno molto particolare della Polizia italiana, i suoi 150 anni di storia. Il discorso di Scajola si è concentrato per una buona parte proprio sul terrorismo. Diciamo che almeno due terzi del suo discorso è dedicato a questo argomento, mentre della criminalità comune, degli scippi, delle rapine, dei furti e via dicendo il ministro ha parlato molto meno, quasi in coda. Sicuramente alla coda politica del suo ragionamento che possiamo così schematizzare: lo Stato, in questo momento, ha il pieno controllo della sicurezza nel Paese. Diminuiscono, rassicura il ministro, tutti i reati, la gente ha meno paura. Sono passati solo pochi mesi dalla forsennata campagna elettorale durante la quale i due schieramenti si sono scontrati più sui problemi della criminalità, che sulle grandi questioni economiche e strategiche.
Da quel che si è capito dal discorso ufficiale del ministro dell’Interno nel campo della lotta alla criminalità diffusa sono stati fatti passi da gigante e i cittadini italiani sarebbero ora molto più tranquilli. Quello che si teme invece, che temono i cittadini e lo Stato, è proprio il terrorismo. Dobbiamo davvero aspettarci altri anni di piombo? Certo c’e qualche segnale, ma speriamo anche qui che il ministro si sbagli o che pecchi di eccessivo zelo. Gli anni di piombo in Italia sono stati un periodo tremendo per il Paese. Sono stati anni di dolore, di drammi umani, di confusione e paura continue. Nessuno può dire che ci sia mai stato davvero un qualche nesso positivo tra le lotte sociali e per la democrazia e il terrorismo. Gli assassini, le gambizzazioni, gli attentati di ogni tipo hanno sempre danneggiato i lavoratori e la gente in lotta per i propri diritti o per migliorare le proprie condizioni. Hanno lasciato una scia di sangue e di dolore perché il terrorismo, negli anni più neri e più di piombo, uccideva con una frequenza calcolata con precisione matematica. È il concetto stesso di terrorismo che implica la frequenza e la metodicità dell’attentato alla democrazia. Siamo davvero alla vigilia di un altro periodo storico così drammatico?
Altro elemento che preoccupa il ministro Scajola, ma anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, è il terrorismo internazionale e il suo possibile rapporto con l’Italia. Sono state arrestate delle persone sul nostro territorio che potrebbero essere legate ad Al Qaeda. Sono stati sventati degli attentati, come quello del possibile o presunto avvelenamento dell’acquedotto di Roma. Poi sono stati diffusi dei nomi di presunti terroristi appartenenti alle organizzazioni criminali internazionali. Si è parlato anche di possibili attentati durante le grandi manifestazioni. Perfino durante l’ormai famoso vertice del G8 a Genova nel luglio del 2001 si è detto che Bin Laden avrebbe voluto compiere una delle sue azioni criminali. Sono veri anche tutti questi allarmi? Si dice che il nostro Paese potrebbe divenire crocevia del terrorismo internazionale capace di colpire in ogni momento e che proprio in questi giorni ha fatto la sua ricomparsa con il nuovo video di Bin Laden. Anche qui contano i tempi e la frequenza e sarebbe vitale saper rispondere alle troppe domande che rimangono in sospeso. Quello che preoocupa, prima di tutto, sono i troppi misteri sulla scena.
Paolo Andruccioli
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