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aprile/2002 - Laboratorio
Laboratorio
Fra propaganda e verità
di Francesco Mesiti

In un precedente articolo apparso nel numero di giugno di questa rivista, abbiamo spiegato come sia fondamentale, per un efficiente uso dei poteri di sicurezza pubblica, la lealtà verso le istituzioni. Il maggiore pericolo per tale sicurezza è l’intreccio di interessi illeciti (vedasi taluni fatti verificatisi in due città dove operazioni di repressione sono state gestite dalla criminalità per far conseguire carriere brillanti al fine di gestire direttamente o indirettamente l’apparato repressivo).
Il violare i doveri assunti con giuramento, costituisce (oltre che una miseria morale) il venir meno del funzionamento degli uffici. È necessario, senza giudizi sommari né approssimativi, far emergere la verità.
In un articolo apparso su un settimanale si evidenzia come l’attività di repressione sui patrimoni conseguiti illecitamente dalla criminalità comune e organizzata non raggiunge il fine voluto dalla legge. L’articolista citava anche il caso di Aldo De Benedittis della “banda della Magliana”.
Non par dubbio che l’autore evidenzi una realtà ma neanche intuisce, come d’altronde ogni ignaro cittadino, tutte le ragioni profonde di tali fatti, la cui gravità è sommersa come risulta nella ordinanza di confisca dei beni di suddetto sodalizio.
L’arma principale del crimine è la disponibilità di risorse economiche a mezzo della quale condiziona il funzionamento dei poteri e le attività produttive, assolda i suoi killer, si organizza militarmente. La Polizia di prevenzione è tale ove riesca a stroncare questo meccanismo perverso (non certo pattugliando le strade). Non sembra dubbio che l’aver represso singoli episodi criminali senza incidere sulla capacità economica dell’organizzazione, rende impossibile l’effettiva repressione del fenomeno nel suo insieme. A questo punto è necessario verificare se c’è stato e c’è ancora condizionamento dell’attività di repressione dello Stato ed individuare le responsabilità di qualsiasi tipo circa ogni fenomeno di contiguità con gestioni illecite o comunque inettitudine circa l’esercizio di tali poteri. Ai fatti trascritti occorre dare risposta. Il 28/2/2001 la Cassazione, confermando l’ordinanza di confisca beni emessa dalla nona Sezione del Tribunale di Roma, ha reso non più contestabili i fatti in essa contenuti.
A pagina 489 di detta ordinanza si legge “... la dove non è arrivata l’intimidazione risulta che Nicoletti abbia fatto abituale ricorso alla corruzione di pubblici ufficiali, come evidenziano le gravi vicende sopra accennate, che hanno visto coinvolti alti magistrati, funzionari di cancelleria, funzionari della questura di Roma, ufficiali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, curatori fallimentari, ufficiali di Polizia giudiziaria in servizio per la Procura della Repubblica di Roma, pubblici amministratori; il tutto in un contesto di stretti e non chiariti rapporti con esponenti della politica italiana. Va ricordato come il Nicoletti sia stato in possesso di documentazione riservata della Provincia di Roma (vicende Stirpe) e addirittura di un rapporto verosimilmente redatto dai servizi segreti (vedi nota del 6/10/1995 della questura di Roma –Ulco e relativo allegato) su di lui, a riprova delle incredibili addentrature che un personaggio come Nicoletti è riuscito ad avere nei più disparati uffici pubblici...”.
Nonostante numerosi quotidiani abbiano messo in evidenza la gravità dei fatti, ed in particolare i documenti contenenti elenchi di persone comprovanti rapporti tra i pericolosi gruppi criminali riconducibili alla cosiddetta “banda della Magliana” e rappresentanti delle istituzioni, non risulta che siano state aperte inchieste amministrative per far luce sulla vicenda; anzi risulta essere stato disarticolato l’ufficio che ha conseguito tali risultati.
A tali preoccupanti fatti che gettano oscure ombre sulla leale tutela dei cittadini, si aggiunge la vicenda del controllo del gioco d’azzardo da parte della criminalità organizzata, i cui risvolti circa l’estrema pericolosità, si rilevano nelle gravi conseguenze in danno di numerosi cittadini che, ridotti sul lastrico, hanno visto distrutta la propria famiglia ed alcuni si sono tolti la vita.
È possibile che i fatti emersi in tale altro procedimento non abbiano determinato un’attività amministrativa di verifica? A pagina 119 dell’ordinanza, emessa dal Tribunale di Roma (anch’essa confermata per Cassazione e quindi definitiva) che disponeva la confisca di beni a carico del gruppo criminale riconducibile alla “banda della Magliana” (De Benedittis) si legge “... un’organizzazione di stampo mafioso diretta al controllo del mercato illecito del gioco d’azzardo tramite video poker, prima mediante la partecipazione alla cosiddetta “banda di Testaccio”, associazione mafiosa poi distaccatasi dalla “banda della Magliana” e poi come capo di un’autonoma associazione mafiosa che si serviva della collaborazione delle Forze dell’ordine (mediante sistematici atti di corruzione o di concorso con gli stessi in abuso di atti di ufficio), per ottenere il predominio nel medesimo mercato illecito...”.
Non è possibile ignorare tali fatti; non è possibile non individuare ogni responsabilità su contiguità, collusioni o condizionamenti circa tali intrecci illeciti o inettitudine ad esercitare le funzioni.
La democrazia ha come nemici: “tirannide, sofisma, ipocrisia”.
Francesco Mesiti
Siulp - Frosinone

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